RECENSIONI
Furio Bordon
Il canto dell'orco
Sellerio, Pag. 404 Euro 13,00
Poco tempo fa abbiamo intervistato Fabio Cremonesi, patron delle edizioni gran via, a proposito degli sviluppi della nuova narrativa di lingua spagnola e dei contenuti "politici"delle loro opere. Cito testuali le sue parole: Il recupero della memoria storica è senza dubbio uno dei fenomeni più interessanti della Spagna degli ultimi anni: una memoria negata o manipolata nei quasi quarant'anni della dittatura e in buona sostanza anche durante la cosiddetta transizione alla democrazia. Noi italiani dovremmo riflettere sul fatto che si tratta prevalentemente di autori che non hanno vissuto in prima persona gli anni del franchismo (ve lo immaginate un venticinquenne italiano che scrive un best seller sul delitto Matteotti?).
Devo smentirlo: ci sono autori, pure giovanissimi, che s'insinuano anche con un certo mestiere tra le pieghe del nostro passato (penso al Sarasso di Confine di Stato) e che in qualche modo tentano la carta di una riproducibilità di certe atmosfere, anche se piuttosto lontano da una localizzazione politica. E poi ci sono periodi storici che per una sorta di fascino perverso (Mario Pirani, anni fa, scrisse addirittura un saggio su Il fascino del nazismo) catturano l'attenzione sia degli autori che dei lettori.
Furio Bordon (che non è di primo pelo) con Il canto dell'orco (non ironizzate, ma è chiaro che una rivista che si chiama Paradiso degli Orchi non potesse ignorare un titolo del genere) dà forma ad un fantasma. E realizza un noir "morale", come egli stesso lo ha definito, che fa i conti col passato e con le inevitabili scie che le tragedie si portano dietro.
Luca Simoni, giornalista di nera, incappa in una vicenda di assassinio dove è coinvolto Martino Mozzati, noto anche come "boia di Cavalta", quest'ultima una località dove furono sterminate da un reparto di SS italiani cinquanta persone. Ben presto tra i due nasce una sorta di complicità, di cameratismo che porterà le loro vite ad un isolamento dal resto del consesso umano.
Perché si parlava di noir "morale"? Perché crediamo che l'autore abbia in qualche modo voluto esibire una ridefinizione del male, attraverso la figura di un fascista, ed anche una sua riconoscibilità, al di là, come avrebbe detto la Harendt, della sua banalità . Una riconoscibilità che è lontana da un revisionismo storico (Pansa non docet) teso ad una destrutturazione di valori oggettivi (per intenderci, la resistenza è un valore oggettivo).
Bordon ha le idee lucide anche per quanto riguarda la Storia e le ferite che lascia. Ecco cosa dice Tegolino, un reduce dai campi di concentramento, durante un colloquio col giornalista Simoni proposito di quel che può diventare un uomo dopo esperienze-limite: non creda, dottor Simoni, alla mistica trascendente della natura umana, al fiore sempre vivo nel fango e a tutte quelle stupidaggini. L'uomo può sopportare fino a un certo limite: se viene costretto a superarlo, diventa un'altra cosa. E non mi domandi cosa, perché non lo so. (pag. 321).
Probabilmente Primo Levi avrebbe sottoscritto una dichiarazione del genere.
Si tenga presente che il romanzo è ambientato negli anni '70 ed è stato scritto una ventina di anni fa ed ora da Sellerio riproposto. Ma non credo che la maggior vicinanza a certe vicende possa in qualche modo solleticarne un tentativo di ricomposizione: no, questo è un noir "morale" (ci piace la definizione e la sfruttiamo) perché eticamente valido è lo sforzo di non incasellare ideologie o responsabilità in compartimenti-stagni e come dice giustamente il risvolto della terza di copertina : anticipava una serie di elementi che si sono poi accampati nella maniera del noir italiano di questi anni.
di Alfredo Ronci
Devo smentirlo: ci sono autori, pure giovanissimi, che s'insinuano anche con un certo mestiere tra le pieghe del nostro passato (penso al Sarasso di Confine di Stato) e che in qualche modo tentano la carta di una riproducibilità di certe atmosfere, anche se piuttosto lontano da una localizzazione politica. E poi ci sono periodi storici che per una sorta di fascino perverso (Mario Pirani, anni fa, scrisse addirittura un saggio su Il fascino del nazismo) catturano l'attenzione sia degli autori che dei lettori.
Furio Bordon (che non è di primo pelo) con Il canto dell'orco (non ironizzate, ma è chiaro che una rivista che si chiama Paradiso degli Orchi non potesse ignorare un titolo del genere) dà forma ad un fantasma. E realizza un noir "morale", come egli stesso lo ha definito, che fa i conti col passato e con le inevitabili scie che le tragedie si portano dietro.
Luca Simoni, giornalista di nera, incappa in una vicenda di assassinio dove è coinvolto Martino Mozzati, noto anche come "boia di Cavalta", quest'ultima una località dove furono sterminate da un reparto di SS italiani cinquanta persone. Ben presto tra i due nasce una sorta di complicità, di cameratismo che porterà le loro vite ad un isolamento dal resto del consesso umano.
Perché si parlava di noir "morale"? Perché crediamo che l'autore abbia in qualche modo voluto esibire una ridefinizione del male, attraverso la figura di un fascista, ed anche una sua riconoscibilità, al di là, come avrebbe detto la Harendt, della sua banalità . Una riconoscibilità che è lontana da un revisionismo storico (Pansa non docet) teso ad una destrutturazione di valori oggettivi (per intenderci, la resistenza è un valore oggettivo).
Bordon ha le idee lucide anche per quanto riguarda la Storia e le ferite che lascia. Ecco cosa dice Tegolino, un reduce dai campi di concentramento, durante un colloquio col giornalista Simoni proposito di quel che può diventare un uomo dopo esperienze-limite: non creda, dottor Simoni, alla mistica trascendente della natura umana, al fiore sempre vivo nel fango e a tutte quelle stupidaggini. L'uomo può sopportare fino a un certo limite: se viene costretto a superarlo, diventa un'altra cosa. E non mi domandi cosa, perché non lo so. (pag. 321).
Probabilmente Primo Levi avrebbe sottoscritto una dichiarazione del genere.
Si tenga presente che il romanzo è ambientato negli anni '70 ed è stato scritto una ventina di anni fa ed ora da Sellerio riproposto. Ma non credo che la maggior vicinanza a certe vicende possa in qualche modo solleticarne un tentativo di ricomposizione: no, questo è un noir "morale" (ci piace la definizione e la sfruttiamo) perché eticamente valido è lo sforzo di non incasellare ideologie o responsabilità in compartimenti-stagni e come dice giustamente il risvolto della terza di copertina : anticipava una serie di elementi che si sono poi accampati nella maniera del noir italiano di questi anni.
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