CLASSICI
Alfredo Ronci
Il compagno ‘forzato’. ‘Il compagno’ di Cesare Pavese.
Tra le tante considerazioni fatte su Pavese, quella che più mi ha colpito è stata quella di Barberi Squarotti indicata nel suo libro La narrativa italiana del dopoguerra. Diceva il critico: … fino alla domanda conclusiva, che sugella drammaticamente tutta l’opera del Pavese, e che, nella metafora dei morti fascisti, dei “morti inutili” della parte sbagliata, significa la richiesta, per una risoluzione effettiva del giorno d’oggi in un rinnovamento efficace e sicuro, di tener conto dei mostri e dei fantasmi, di non accantonarli come “errore”, per evitare che ancora vengano fuori con la stessa forza di fenomeni non compresi e semplicemente nascosti, per superstizione o incapacità.
Anche lo stesso Il compagno, pur se giocato da un altro punto di vista, soffre della stessa partecipazione pavesiana. Innanzi tutto curioso questo titolo, perché nel personaggio principale non c’è affatto la stoffa del “comunista” pur se conosce la prigione. L’ideologia che sostiene Pablo è una sorta di “educazione sentimentale” che conferma in pratica quel che è sempre stato detto su Pavese: un uomo di mezzo, mai convinto, ma per scarsa, s’intenda, partecipazione.
E lo stesso Pavese dichiarava francamente di aver immaginato, nel romanzo, un giovanotto piccolo borghese, scioperato ed incolto, qualcosa peggio di un proletario, e di averlo messo di fronte a certe realtà.
Innanzi tutto realtà geografiche. La storia si svolge spezzata in due. La prima appartiene a Torino: Finii la notte nel caffè della stazione. Tutte le strade erano vuote. Non c’era di aperto che quello. Qui la nebbia era il vapore della macchina espresso, e un odore più freddo che veniva da fuori. Era odore di carbone e di treni.
La seconda, quella che in parte delineerà la storia e le scelte di Pablo, è Roma: Tornai la sera e avevo ancora quel sapore sulla bocca. Adesso capivo perché a Roma la gente riempiva le strade e ridevano e andavano, e non solo i ricconi ma anche in barriera. Bastava guardare quel cielo sui tetti, per convincersi che il mare non era lontano.
Torino è la base su cui partono tutte le direttive di Pablo, ma è anche la città in cui il suo più grande amico, Amelio, ha avuto un incidente ed è semiparalizzato nella sua stanzetta di casa. Ed è anche il luogo in cui sopravvive Linda, la ragazza di Amelio, e su cui Pablo non sa definirsi completamente.
Ma Pablo sa di essere in una condizione di mezzo e subisce le direttive e le disposizioni dei suoi amici-colleghi (di Roma): - Se tu non sapessi com’è – mi spiegò – non saresti un compagno. Ma altro è saperlo, altro sapersi regolare. Tutti siamo borghesi quando abbiamo paura. E chiuder gli occhi e non vedere il temporale, è soltanto paura, paura borghese. Che cos’è, se non questo, il marxismo: veder le cose come sono e provvedere?
Il tutto del racconto, se vogliamo, si risolve quando Pablo risiede a Roma. Città di cui conoscerà anche la galera e dove saprà, per conoscenze dirette, che Amelio, il suo amico che aveva subìto un incidente ed era rimasto parzialmente paralizzato, ha conosciuto pure lui la prigione.
E forse il compagno di cui Pablo non si sentirà mai totalmente di appartenere, forse lo avverte nella vicinanza col suo amico, del quale lui stesso aveva preferito esternare le sue proprietà mondane piuttosto che politiche.
Ha di nuovo ragione Barberi Squarotti quando dice, dell’intera produzione di Pavese che… ciò che lo interessa sono le angosce, le nevrosi, le ossessioni, i segreti inconfessabili e descrivili soltanto attraverso metafore, immagini, allusioni mitiche.
Qualcuno ha detto che Il compagno è un romanzo minore di Pavese, se non addirittura il più debole. Se ne riscontra comunque la commovente dinamicità e la divorante lucidità dell’autore che nel suo Il mestiere di vivere, a proposito dello scritto annotò: 8 ottobre 1948. Riletto, ad apertura di pagina, pezzo del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C’è una tensione superiore al normale, folle, dovuta alla cadenza sdrucciola delle frasi. Uno slancio continuamente bloccato. Un ansare…
Sarà dunque stato anche un romanzo minore ma ne Il compagno ritroviamo appunto quel respiro indeciso, ma nello stesso tempo vitale, dell’arte di Pavese. Il suo suicidio dirà oltre. O forse, visti i comenti, assolutamente nulla.
L’edizione da noi considerata è:
Cesare Pavese
Il compagno
Einaudi tascabili
Anche lo stesso Il compagno, pur se giocato da un altro punto di vista, soffre della stessa partecipazione pavesiana. Innanzi tutto curioso questo titolo, perché nel personaggio principale non c’è affatto la stoffa del “comunista” pur se conosce la prigione. L’ideologia che sostiene Pablo è una sorta di “educazione sentimentale” che conferma in pratica quel che è sempre stato detto su Pavese: un uomo di mezzo, mai convinto, ma per scarsa, s’intenda, partecipazione.
E lo stesso Pavese dichiarava francamente di aver immaginato, nel romanzo, un giovanotto piccolo borghese, scioperato ed incolto, qualcosa peggio di un proletario, e di averlo messo di fronte a certe realtà.
Innanzi tutto realtà geografiche. La storia si svolge spezzata in due. La prima appartiene a Torino: Finii la notte nel caffè della stazione. Tutte le strade erano vuote. Non c’era di aperto che quello. Qui la nebbia era il vapore della macchina espresso, e un odore più freddo che veniva da fuori. Era odore di carbone e di treni.
La seconda, quella che in parte delineerà la storia e le scelte di Pablo, è Roma: Tornai la sera e avevo ancora quel sapore sulla bocca. Adesso capivo perché a Roma la gente riempiva le strade e ridevano e andavano, e non solo i ricconi ma anche in barriera. Bastava guardare quel cielo sui tetti, per convincersi che il mare non era lontano.
Torino è la base su cui partono tutte le direttive di Pablo, ma è anche la città in cui il suo più grande amico, Amelio, ha avuto un incidente ed è semiparalizzato nella sua stanzetta di casa. Ed è anche il luogo in cui sopravvive Linda, la ragazza di Amelio, e su cui Pablo non sa definirsi completamente.
Ma Pablo sa di essere in una condizione di mezzo e subisce le direttive e le disposizioni dei suoi amici-colleghi (di Roma): - Se tu non sapessi com’è – mi spiegò – non saresti un compagno. Ma altro è saperlo, altro sapersi regolare. Tutti siamo borghesi quando abbiamo paura. E chiuder gli occhi e non vedere il temporale, è soltanto paura, paura borghese. Che cos’è, se non questo, il marxismo: veder le cose come sono e provvedere?
Il tutto del racconto, se vogliamo, si risolve quando Pablo risiede a Roma. Città di cui conoscerà anche la galera e dove saprà, per conoscenze dirette, che Amelio, il suo amico che aveva subìto un incidente ed era rimasto parzialmente paralizzato, ha conosciuto pure lui la prigione.
E forse il compagno di cui Pablo non si sentirà mai totalmente di appartenere, forse lo avverte nella vicinanza col suo amico, del quale lui stesso aveva preferito esternare le sue proprietà mondane piuttosto che politiche.
Ha di nuovo ragione Barberi Squarotti quando dice, dell’intera produzione di Pavese che… ciò che lo interessa sono le angosce, le nevrosi, le ossessioni, i segreti inconfessabili e descrivili soltanto attraverso metafore, immagini, allusioni mitiche.
Qualcuno ha detto che Il compagno è un romanzo minore di Pavese, se non addirittura il più debole. Se ne riscontra comunque la commovente dinamicità e la divorante lucidità dell’autore che nel suo Il mestiere di vivere, a proposito dello scritto annotò: 8 ottobre 1948. Riletto, ad apertura di pagina, pezzo del Compagno. Effetto di toccare un filo di corrente. C’è una tensione superiore al normale, folle, dovuta alla cadenza sdrucciola delle frasi. Uno slancio continuamente bloccato. Un ansare…
Sarà dunque stato anche un romanzo minore ma ne Il compagno ritroviamo appunto quel respiro indeciso, ma nello stesso tempo vitale, dell’arte di Pavese. Il suo suicidio dirà oltre. O forse, visti i comenti, assolutamente nulla.
L’edizione da noi considerata è:
Cesare Pavese
Il compagno
Einaudi tascabili
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