RECENSIONI
Luigi Pestalozza
Il gioco e la guerra
MobyDick, Pag. 63 Euro 12,00
Mobydick ripropone un testo pubblicato da Feltrinelli nel 1976 ma sempre attuale, come attuale è il dono della memoria. Anzi, come spiega l'Autore nella nota finale a questa edizione, di rinnovata attualità:
... che anche soltanto una cronaca familiare, milanese, degli anni Trenta fascisti, di una famiglia rasa al suolo per il suo antifascismo, che scopre in modo così brutale che cos'era il fascismo quotidiano, la normalizzazione fascista, abbia oggi un senso. Preciso.
Nella stessa nota l'Autore racconta come l'ispirazione gli sia venuta da un pranzo con Giorgio Napolitano, durante il quale la conversazione cadde sulle rispettive esperienze giovanili, e dalle domande che poi il figlioletto gli pose per capire meglio gli avvenimenti di quel periodo.
Così, in diciannove giorni, alzandomi ogni mattina alle 5, ho scritto per lui...
Non si pensi però che sia un racconto per bambini, tutt'altro. Sembra piuttosto che sotto lo sguardo curioso del figlio come sotto l'azione di un catalizzatore, l'Autore sia stato stimolato a meglio dialogare con se stesso per ricomporre il filo dei ricordi. Luigi Pestalozza, musicologo di fama, ricostruisce con esemplare chiarezza la storia di una coscienza: dall'età di dodici anni, quando avvertiva confusamente le contraddizioni della propaganda fascista senza riuscire a prendere partito fra la saggezza dei genitori e le bugie della scuola, fino alla scelta di entrare nelle file della Resistenza, all'età di sedici anni. Fra questi due momenti sembra trascorrere un'intera vita, perché il lavoro interiore è lungo e profondo. I pilastri di questa via sono i libri: libri di storia, per primi, poi di filosofia, avidamente cercati come un nutrimento necessario. Ed è bello come l'Autore li citi uno per uno, nella sequenza cronologica della sua ricerca di consapevolezza, descrivendone l'impatto, emotivo prima ancora che razionale, e la risonanza dei loro messaggi nella sua mente giovanile.
Perfino Salgari, sotto la veste avventurosa, portava il suo contributo educativo: mi insegnò che cosa erano gli oppressi e gli oppressori. (...) E poi mi fece venire la voglia di saperne di più di quei mondi che raccontava, dei fatti storici che riferiva.
Anche la musica era per lui fonte di gioia e conforto, ma poteva goderne solo all'ombra del fratello maggiore: per la famiglia, che era stata benestante e che poi, per la coerenza antifascista dei genitori, si era ridotta ad una vita di sacrificio, un pianista in casa bastava. Così Luigi deve accontentarsi di guardare e ascoltare, mentre il fratello prende lezioni e si esercita al pianoforte. Ma fa buon viso, e quei momenti diventano indimenticabili, lui al pianoforte e io a leggere, e a interromperci per scambiarci i nostri entusiasmi.
Mentre ancora per un ingannevole senso patriottico spera nella conclusione vittoriosa della guerra, segnando addirittura su un quaderno le navi inglesi affondate, si fanno strada in lui nuove idee di giustizia sociale. Vi contribuiscono insieme l'esistenza in famiglia di una moralità intransigente senza un'esplicita pedantesca pedagogia, le letture che gli raccontano i grandi movimenti di popolo come la rivoluzione francese e quella russa, e infine la scoperta diretta della brutalità fascista. Quando poi il cognato, ufficiale medico, torna dal fronte di Russia con i guanti di lana impregnati del sangue dei feriti e gli svela la crudeltà e il borioso pressapochismo della guerra fascista, il processo di cambiamento interiore si avvia a una rapida maturazione.
La narrazione di Pestalozzi risulta gradevolissima per la coinvolgente semplicità, che filtra i grandi fatti storici attraverso la sua quotidianità di ragazzo. E non mancano momenti di pathos e di svolte inaspettate, come quando il padre dell'Autore si trova a fronteggiare, solo e con immenso coraggio, un soldato tedesco che sta per portargli via un figlio. Meglio di un romanzo.
di Giovanna Repetto
... che anche soltanto una cronaca familiare, milanese, degli anni Trenta fascisti, di una famiglia rasa al suolo per il suo antifascismo, che scopre in modo così brutale che cos'era il fascismo quotidiano, la normalizzazione fascista, abbia oggi un senso. Preciso.
Nella stessa nota l'Autore racconta come l'ispirazione gli sia venuta da un pranzo con Giorgio Napolitano, durante il quale la conversazione cadde sulle rispettive esperienze giovanili, e dalle domande che poi il figlioletto gli pose per capire meglio gli avvenimenti di quel periodo.
Così, in diciannove giorni, alzandomi ogni mattina alle 5, ho scritto per lui...
Non si pensi però che sia un racconto per bambini, tutt'altro. Sembra piuttosto che sotto lo sguardo curioso del figlio come sotto l'azione di un catalizzatore, l'Autore sia stato stimolato a meglio dialogare con se stesso per ricomporre il filo dei ricordi. Luigi Pestalozza, musicologo di fama, ricostruisce con esemplare chiarezza la storia di una coscienza: dall'età di dodici anni, quando avvertiva confusamente le contraddizioni della propaganda fascista senza riuscire a prendere partito fra la saggezza dei genitori e le bugie della scuola, fino alla scelta di entrare nelle file della Resistenza, all'età di sedici anni. Fra questi due momenti sembra trascorrere un'intera vita, perché il lavoro interiore è lungo e profondo. I pilastri di questa via sono i libri: libri di storia, per primi, poi di filosofia, avidamente cercati come un nutrimento necessario. Ed è bello come l'Autore li citi uno per uno, nella sequenza cronologica della sua ricerca di consapevolezza, descrivendone l'impatto, emotivo prima ancora che razionale, e la risonanza dei loro messaggi nella sua mente giovanile.
Perfino Salgari, sotto la veste avventurosa, portava il suo contributo educativo: mi insegnò che cosa erano gli oppressi e gli oppressori. (...) E poi mi fece venire la voglia di saperne di più di quei mondi che raccontava, dei fatti storici che riferiva.
Anche la musica era per lui fonte di gioia e conforto, ma poteva goderne solo all'ombra del fratello maggiore: per la famiglia, che era stata benestante e che poi, per la coerenza antifascista dei genitori, si era ridotta ad una vita di sacrificio, un pianista in casa bastava. Così Luigi deve accontentarsi di guardare e ascoltare, mentre il fratello prende lezioni e si esercita al pianoforte. Ma fa buon viso, e quei momenti diventano indimenticabili, lui al pianoforte e io a leggere, e a interromperci per scambiarci i nostri entusiasmi.
Mentre ancora per un ingannevole senso patriottico spera nella conclusione vittoriosa della guerra, segnando addirittura su un quaderno le navi inglesi affondate, si fanno strada in lui nuove idee di giustizia sociale. Vi contribuiscono insieme l'esistenza in famiglia di una moralità intransigente senza un'esplicita pedantesca pedagogia, le letture che gli raccontano i grandi movimenti di popolo come la rivoluzione francese e quella russa, e infine la scoperta diretta della brutalità fascista. Quando poi il cognato, ufficiale medico, torna dal fronte di Russia con i guanti di lana impregnati del sangue dei feriti e gli svela la crudeltà e il borioso pressapochismo della guerra fascista, il processo di cambiamento interiore si avvia a una rapida maturazione.
La narrazione di Pestalozzi risulta gradevolissima per la coinvolgente semplicità, che filtra i grandi fatti storici attraverso la sua quotidianità di ragazzo. E non mancano momenti di pathos e di svolte inaspettate, come quando il padre dell'Autore si trova a fronteggiare, solo e con immenso coraggio, un soldato tedesco che sta per portargli via un figlio. Meglio di un romanzo.
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