RECENSIONI
Giulio Mozzi
Il male naturale
Laurana editore, Pag. 216 Euro 15,50
Ritengo Mozzi personaggio vagamente schizofrenico (più nell'accezione di una autocommiserazione d'effetto che nel senso clinico) e valga la considerazione che lo preferisco scrittore piuttosto che suggeritore (fa pure l'editor no?).
Alla fine del libro, citandosi o autocelebrandosi... c'est la même chose, dichiara: Io amo il mio lettore ma non per questo intendo compiacerlo. A causa dell'amore che ho per lui desidero inquietarlo. Per carità, andrebbe pure bene, ma mettesse l'anima in pace, perché non gli basta nemmeno l'inquietudine, quando ad un interdetto Vitaliano Trevisan (I quindicimila passi) consigliò di stupire i lettori (ma inquietare e stupire non è la même chose...).
Su questo libro poi si son dette scemenze varie e se n'è parlato troppo, e mi meraviglio che sia stato pure ripubblicato (uscì inizialmente per Mondadori, ora per Laurana editore , ma sulla sua importanza va fatto un distinguo): divenne 'famoso' perché un deputato leghista presentò un'interrogazione all'allora Presidente del Consiglio D'Alema su 'presunti' contenuti osceni di un racconto 'Amore', dove vi si descriveva un rapporto sessuale tra un bambino ed un adulto. Da questo si deduce che i deputati in generale non leggono nulla, sono ignoranti come muli e agiscono per sentito dire, perché ne Il male naturale vi è un'altra storia tematicamente 'ambigua' (pedofilia?) che ha una struttura ben più riuscita ma che non è stato mai menzionata (sai le risate se il libro, visti i tempi, fosse nuovamente sequestrato?).
Ma non è su queste ciance noiose che vuole soffermarsi la mia disanima: m'interessa di più, come è ovvio, la qualità dell'opera e l'importanza che eventualmente può avere. Il male naturale, proprio perché viviamo in un'epoca di miserie, è stato di molto sopravvalutato e a volte da l'impressione che sia stata una risposta ad hoc dello scrittore alle accuse di 'buonismo' rivoltegli contro dopo l'uscita del suo primo libro La felicità terrena (Einaudi). I personaggi di questo sembrano decisamente fuori le righe e 'attratti' da una pericolosa attitudine alla confusione, se non addirittura ad una vera e propria psicopatologia, lontano quindi da qualsivoglia 'mitezza' caratteriale (o è solo il desiderio di Mozzi di 'inquietare'?): penso alla strana Ruota (eh sì è un nome!) che ha difficoltà a confrontarsi col prossimo ('Vite'), a Lorenza che, colpa un rapporto schizofrenico con la madre, si tagliuzza il corpo ('Aperture'), A Dalia, paraplegica, che vuole assolutamente fare sesso con un uomo nonostante abbia problemi con le mani ('Bella') a Mario che non sa decidersi se riaccostarsi alla moglie o scopare con una cameriera minorenne ('Bianca') o allo stesso Giulio (sì proprio lui) che si innamora di un pischello ('Super nivem') ma soffre terribili sensi di colpa e sente addosso a sé il male (quello naturale?): Ho bisogno della punizione perché il male che costituisce la mia natura ha prodotto dentro la mia carne una così grande quantità di dolore che la mia persona non riesce in alcun modo a sopportarla: la mia carne è ridotta a un ammasso tremante (pag. 103)- Io non voglio niente, è una vita che agisco per abolire la mia volontà in quanto so che è una volontà esclusivamente di male... (pag. 105).
La mostruosa (dura molte pagine) dissertazione solo parzialmente riprodotta qui sopra sul male non poteva non venire da uno scrittore che si professa cattolico, ma che non si sottrae, con naturalezza bisogna dire, alle suggestioni ambigue della carne e della psicopatologia.
Ribadisco: ciance anche queste. Il male naturale, nonostante queste mie resistenze, è un libro da leggere e che ha una sua relativa importanza (né giudiziaria, né storica). Lo si apprezza unicamente da un punto di vista stilistico e linguistico. La scrittura di Mozzi ha una sua cristallina bellezza (per carità lasciamo da parte le digressioni, che fa un suo estimatore a fine libro, Demetrio Paolin, sulle figure retoriche della reiterazione e dell'accumulo, se non addirittura sull'ispirazione 'paolina' dello stesso) e se confrontata coi coetanei dell'epoca (ricordiamo che la prima edizione del libro risale al 1998), ma anche con la pochezza espressiva della gioventù indigena di ora, dimostra di avere una statura diversa. Una spanna sopra gli altri, per intenderci.
Ma ribadisco che come editor e a volte come scrittore (suggeritore o qualsivoglia s'intenda) Mozzi dovrebbe mettersi l'anima in pace.
E amen.
di Alfredo Ronci
Alla fine del libro, citandosi o autocelebrandosi... c'est la même chose, dichiara: Io amo il mio lettore ma non per questo intendo compiacerlo. A causa dell'amore che ho per lui desidero inquietarlo. Per carità, andrebbe pure bene, ma mettesse l'anima in pace, perché non gli basta nemmeno l'inquietudine, quando ad un interdetto Vitaliano Trevisan (I quindicimila passi) consigliò di stupire i lettori (ma inquietare e stupire non è la même chose...).
Su questo libro poi si son dette scemenze varie e se n'è parlato troppo, e mi meraviglio che sia stato pure ripubblicato (uscì inizialmente per Mondadori, ora per Laurana editore , ma sulla sua importanza va fatto un distinguo): divenne 'famoso' perché un deputato leghista presentò un'interrogazione all'allora Presidente del Consiglio D'Alema su 'presunti' contenuti osceni di un racconto 'Amore', dove vi si descriveva un rapporto sessuale tra un bambino ed un adulto. Da questo si deduce che i deputati in generale non leggono nulla, sono ignoranti come muli e agiscono per sentito dire, perché ne Il male naturale vi è un'altra storia tematicamente 'ambigua' (pedofilia?) che ha una struttura ben più riuscita ma che non è stato mai menzionata (sai le risate se il libro, visti i tempi, fosse nuovamente sequestrato?).
Ma non è su queste ciance noiose che vuole soffermarsi la mia disanima: m'interessa di più, come è ovvio, la qualità dell'opera e l'importanza che eventualmente può avere. Il male naturale, proprio perché viviamo in un'epoca di miserie, è stato di molto sopravvalutato e a volte da l'impressione che sia stata una risposta ad hoc dello scrittore alle accuse di 'buonismo' rivoltegli contro dopo l'uscita del suo primo libro La felicità terrena (Einaudi). I personaggi di questo sembrano decisamente fuori le righe e 'attratti' da una pericolosa attitudine alla confusione, se non addirittura ad una vera e propria psicopatologia, lontano quindi da qualsivoglia 'mitezza' caratteriale (o è solo il desiderio di Mozzi di 'inquietare'?): penso alla strana Ruota (eh sì è un nome!) che ha difficoltà a confrontarsi col prossimo ('Vite'), a Lorenza che, colpa un rapporto schizofrenico con la madre, si tagliuzza il corpo ('Aperture'), A Dalia, paraplegica, che vuole assolutamente fare sesso con un uomo nonostante abbia problemi con le mani ('Bella') a Mario che non sa decidersi se riaccostarsi alla moglie o scopare con una cameriera minorenne ('Bianca') o allo stesso Giulio (sì proprio lui) che si innamora di un pischello ('Super nivem') ma soffre terribili sensi di colpa e sente addosso a sé il male (quello naturale?): Ho bisogno della punizione perché il male che costituisce la mia natura ha prodotto dentro la mia carne una così grande quantità di dolore che la mia persona non riesce in alcun modo a sopportarla: la mia carne è ridotta a un ammasso tremante (pag. 103)- Io non voglio niente, è una vita che agisco per abolire la mia volontà in quanto so che è una volontà esclusivamente di male... (pag. 105).
La mostruosa (dura molte pagine) dissertazione solo parzialmente riprodotta qui sopra sul male non poteva non venire da uno scrittore che si professa cattolico, ma che non si sottrae, con naturalezza bisogna dire, alle suggestioni ambigue della carne e della psicopatologia.
Ribadisco: ciance anche queste. Il male naturale, nonostante queste mie resistenze, è un libro da leggere e che ha una sua relativa importanza (né giudiziaria, né storica). Lo si apprezza unicamente da un punto di vista stilistico e linguistico. La scrittura di Mozzi ha una sua cristallina bellezza (per carità lasciamo da parte le digressioni, che fa un suo estimatore a fine libro, Demetrio Paolin, sulle figure retoriche della reiterazione e dell'accumulo, se non addirittura sull'ispirazione 'paolina' dello stesso) e se confrontata coi coetanei dell'epoca (ricordiamo che la prima edizione del libro risale al 1998), ma anche con la pochezza espressiva della gioventù indigena di ora, dimostra di avere una statura diversa. Una spanna sopra gli altri, per intenderci.
Ma ribadisco che come editor e a volte come scrittore (suggeritore o qualsivoglia s'intenda) Mozzi dovrebbe mettersi l'anima in pace.
E amen.
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