RECENSIONI
Vittoria Bogo Deledda
Il metodo del diavolo
Effequ edizioni, Pag. 253 Euro 13,00
Questo libro è come una conchiglia chiusa, forse nasconde una perla. Dico forse perché non lo si riesce a dischiuderlo del tutto.
Mariella Manca è una ragazza apparentemente come tante altre, ma nasconde un'irrequietezza insolita che la porta a confrontarsi con la psicanalisi. (Dottor Lucetta dice che sogno. Che sognare demoni è molto comune. Fa parte della crescita. Spesso si tratta di una reazione salutare alla Civiltà della Colpa oppure è un modo di onorare il padre per un legame mai in fondo compreso, sostiene.)
Quando i risultati non sono quelli che si vorrebbero è letteralmente 'spedita' dalla nonna centenaria Anastasia su una barca per un lungo viaggio, in compagnia di un ex galeotto e di una provocante donna ucraina e del diavolo che ogni tanto le appare.
Tornerà cambiata, ma conscia dei suoi limiti e del suo rapporto col male (la scena finale in cui prima sviene e poi riprendendosi ascolta il diavolo che canta Time after time di Cindy Lauper nella versione jazzy di Miles Davis, è nello stesso davvero inusuale e da antologia).
Diciamocelo: la Deledda (e che cognome!) ricorda la pessima Simonetta Agnello Hornby, ma per fortuna non lo è, perché con sapienza sa mischiare un linguaggio che a volte è vernacolare, a volte è di calco classico (bello lo spunto d'annunziano a pag. 99: Era arrivato il maestrale. Sibilava dalle creste collinari sui bordi cespugliosi di ruta fiorita che rilasciavano un tipico odore quasi soffocante. S'impennava sulle groppe rocciose delle moli calcaree più interne vorticando tra gli orti vetrosi di nuvole altissime. Traforava le superfici di luce. Con la luce smerigliava le cime degli alberi. Ravvivava i prati in accenti di bronzo e d'oro) e a volte è talmente moderno da rasentare il plagio delle voglie consumistiche dell'indigena letteratura tutta giovanilistica.
Ecco dov'è il quesito e il fascino di questo romanzo inconsueto: sfugge ad ogni catalogazione (e per fortuna! Ma cos'è davvero: una storia di gioventù incompresa? Un gioco di rimandi letterari con l'illuminista Voltaire che si scontra con la crudele concretezza del diavolo? Un romanzo di formazione? Se non addirittura la rappresentazione di un'epopea familiare con a capo l'immarciscibile centenaria Anastasia?), ma non riesce nello stesso tempo a trascinare il lettore verso un'identificazione che si ritiene necessaria. Il romanzo della Deledda è una sorta di Nilo, quando esonda lascia dietro sé una sostanza che si sa indispensabile, ma difficile da raccogliere.
Bando alle metafore. Il metodo del diavolo è un'operazione per lo più riuscita (ci piace ribadire l'eterogeneità degli strumenti adoperati), ma soffre di una riconducibilità all'essenza. O quel che si chiede spesso: la trama tutta d'un pezzo!
E poi (ma si celia): perché Vittoria Bogo Deledda è un po' medusa e un po' pirana (come dice la seconda di copertina)?
Perché nascondersi dietro queste brevi e anodine informazioni?
Perché la quarta di copertina è così brutta?
Perché non ha ringraziato a fine romanzo, come ormai fanno tutti, quelli che hanno contribuito alla realizzazione della storia? (E per questo: applausi!)
di Alfredo Ronci
Mariella Manca è una ragazza apparentemente come tante altre, ma nasconde un'irrequietezza insolita che la porta a confrontarsi con la psicanalisi. (Dottor Lucetta dice che sogno. Che sognare demoni è molto comune. Fa parte della crescita. Spesso si tratta di una reazione salutare alla Civiltà della Colpa oppure è un modo di onorare il padre per un legame mai in fondo compreso, sostiene.)
Quando i risultati non sono quelli che si vorrebbero è letteralmente 'spedita' dalla nonna centenaria Anastasia su una barca per un lungo viaggio, in compagnia di un ex galeotto e di una provocante donna ucraina e del diavolo che ogni tanto le appare.
Tornerà cambiata, ma conscia dei suoi limiti e del suo rapporto col male (la scena finale in cui prima sviene e poi riprendendosi ascolta il diavolo che canta Time after time di Cindy Lauper nella versione jazzy di Miles Davis, è nello stesso davvero inusuale e da antologia).
Diciamocelo: la Deledda (e che cognome!) ricorda la pessima Simonetta Agnello Hornby, ma per fortuna non lo è, perché con sapienza sa mischiare un linguaggio che a volte è vernacolare, a volte è di calco classico (bello lo spunto d'annunziano a pag. 99: Era arrivato il maestrale. Sibilava dalle creste collinari sui bordi cespugliosi di ruta fiorita che rilasciavano un tipico odore quasi soffocante. S'impennava sulle groppe rocciose delle moli calcaree più interne vorticando tra gli orti vetrosi di nuvole altissime. Traforava le superfici di luce. Con la luce smerigliava le cime degli alberi. Ravvivava i prati in accenti di bronzo e d'oro) e a volte è talmente moderno da rasentare il plagio delle voglie consumistiche dell'indigena letteratura tutta giovanilistica.
Ecco dov'è il quesito e il fascino di questo romanzo inconsueto: sfugge ad ogni catalogazione (e per fortuna! Ma cos'è davvero: una storia di gioventù incompresa? Un gioco di rimandi letterari con l'illuminista Voltaire che si scontra con la crudele concretezza del diavolo? Un romanzo di formazione? Se non addirittura la rappresentazione di un'epopea familiare con a capo l'immarciscibile centenaria Anastasia?), ma non riesce nello stesso tempo a trascinare il lettore verso un'identificazione che si ritiene necessaria. Il romanzo della Deledda è una sorta di Nilo, quando esonda lascia dietro sé una sostanza che si sa indispensabile, ma difficile da raccogliere.
Bando alle metafore. Il metodo del diavolo è un'operazione per lo più riuscita (ci piace ribadire l'eterogeneità degli strumenti adoperati), ma soffre di una riconducibilità all'essenza. O quel che si chiede spesso: la trama tutta d'un pezzo!
E poi (ma si celia): perché Vittoria Bogo Deledda è un po' medusa e un po' pirana (come dice la seconda di copertina)?
Perché nascondersi dietro queste brevi e anodine informazioni?
Perché la quarta di copertina è così brutta?
Perché non ha ringraziato a fine romanzo, come ormai fanno tutti, quelli che hanno contribuito alla realizzazione della storia? (E per questo: applausi!)
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