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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Sven Nordqvist

Il mondo di Maja

La Margherita edizioni, Pag. 28 Euro 16,00
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Quando uno pensa a cosa sia un libro illustrato, pensa quello che ci è dato di pensare e desumere dagli scaffali della nostre librerie: prima di tutto che il libro illustrato ha soprattutto a che fare coi bimbi e, poi, che i nostri bimbi devono essere miracolosamente cretini, o peggio.

E certo perché i libri per l'infanzia che si vedono in giro sembrano per lo più scritti e illustrati direttamente dall'infanzia medesima. Il che non è una giustificazione, perché non si capisce con quale diritto un bambino possa scrivere e disegnare a quella maniera senza che si additi in lui un vizio perverso e vergognoso dell'anima: perché, ecco, da noi gli illustratori cercano sempre di fare assomigliare le loro creazioni a quella tipica carta da regalo che sceglierebbe una signora grassa e scema per omaggiare di saponette un'altra signora grassa e scema; magari c'è chi ci varia sopra una imitazione del Mattotti o altro; e poi quelli che disegnano sul prestampato dei formati grafici del computer i loro stucchevoli; però sono pochissimi quelli che copiano la Zwerger (quelli stanno quasi tutti in Bulgaria e Grecia): ma, del resto, da noi non arriva più nemmeno la Zwerger, quella in persona e originale, essendo il suo formato irriducibile alla portata mentale dei nostri addetti ai lavori.

Ovvio che, in questo panorama, si isola il lavoro tutto da salvare dell'Adelphi che, oltre alle più che ottime e studiatissime scelte per l'infanzia, ha in catalogo libri illustrati e libri di sole immagini che precipitano dai più proibiti ed estatici sogni medievali e rinascimentali: si potrebbe citare dal Poliphili ad un suo epigono (non si dice in senso diminutivo) quale l'Ernst di Una settimana di bontà, e via dicendo.

(L'Adelphi dovrebbe giusto esplorare qualche contemporaneo, tipo un Javier Sàez Castàn con il suo Soñario profondo, irriverente, appena un po' troppo felice)

Per il resto si tratta di episodi, un Armin Greder (catalogo Orecchio Acerbo), o un Shaun Tan (il suo stupefacente l'Approdo è edito da Elliot) ; oppure questo Il mondo di Maja di Sven Nordqvist.

Questo coloratissimo libro è, per dirla alla Redon, una vera e propria macchina per pensare, per generare scale di pensieri.

Nordqvist si ingegna di concentrare in una ognuna delle sue immagini uno spazio prospettico che getta uno sguardo su un vastissimo panorama (è inutile chiedersi se interiore o esteriore come è inutile chiedersi se l'anima è più di un singolo individuo o del mondo) in cui si accostano, si fondano, stridono, entrano in armonia i più disparati elementi. Certo ci deve essere un certo gusto e compiacimento a buttare su una pagina il meglio di sé come viene, ma il compiacimento è il peggiore difetto dei migliori artisti: pupazzi, figurine infantili, caricature, disegni realistici vengono presi come da strada e ficcati in una grande scatola ci Cornell, ognuna sistemata in un ordine insondabile (che è quello della poesia: perché quella parola deve stare lì e non prima?) nella cornice piegata tra una dimensione improbabile che si deve situare tra la seconda, la terza e la nullesima in cui le architetture, fossero anche montagne abitate, sono un elaborazione pensosa di Piranesi, tanto elaborata che il suo patetico si esalta nel nonsenso di Esher (ma in questa esaltazione dovrebbero abbeverarsi gli architetti e gli ecologisti: guardate come qui è chiaro quanto l'arte imiti la natura che imita l'arte): qui tutto è vivo, e pencola sull'abisso di questa terra con la risorsa di grandi mongolfiere (che ognuno si può costruire con tazze e pere).

Ed è così che Nordqvist ha deciso di raccontare questa avventura di Maja, sapendo che l'importante non era tanto che al suo personaggio capitasse qualcosa, ma che vivesse l'avventura coi suoi vari corollari di meraviglia, incongruo e paura (the sense of danger must not disappear, W. H. Auden) in maniera radicale, ovvero sia attraverso il corpo vivo della nostra immaginazione; delle immagini della nostra avventura umana.

Immagini, dicevamo, come macchine per pensare, come strumenti capace di riportare il pensiero alla sua matrice immaginativa (e così la memoria, e così la coscienza, così la vita): quel percorso di riappropriazione della propria realtà più profonda che è la vera avventura.





di Pier Paolo Di Mino


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