RECENSIONI
Simon Raven
Il morso sul collo
Gargoyle books, Pag. 246 Euro 13,00
Personaggio al di là delle mode e della morale (credo si possa attribuire a lui una delle battute del secolo. Ad una lettera della moglie che diceva: Tua moglie e il bambino muoiono di fame STOP. Manda del denaro prima possibile STOP. Rispose immediato: Spiacente, non ho una lira STOP. Suggerisco di mangiare il bambino. STOP) dettò il suo stesso epitaffio in questi termini: "Divise volentieri la propria bottiglia e, finché era giovane e attraente, il proprio letto". Si vociferava ai suoi tempi che nel letto transitassero non solo donne, ma anche numerosi uomini e che quindi non sorprende che tra le tematiche a lui care nella letteratura scegliesse anche il vampirismo (suvvia, perché scandalizzarsi, non è forse il vampiro la quintessenza dell'ambiguità sessuale? Non è forse vero che una delle caratterizzazioni cinematografiche più riuscite di Tom Cruise è stata proprio la parte ne Intervista al vampiro?).
Perché di questo parla Il morso sul collo (ça va sans dire: paraculata dell'editore in odor di Twilight. Perché il titolo originale dell'opera, tradotta ineccepibilmente da Paolo De Crescenzo, è un po' più 'sottile': Doctors wear scarlet che, se non erro, vorrebbe dire che i dottori vestono di rosso): di un giovane archeologo di successo, Richard Fountain, che durante un viaggio in Grecia fa perdere le sue tracce e costringe alcuni amici e conoscenti a cercarlo tra le isole del mediterraneo.
Raven conosce alla perfezione i meccanismi della finzione: pur ambientando il romanzo subito dopo la seconda guerra mondiale, si respira un'aria così classica, così ottocentesca, così fin de siècle, che da un momento all'altro ci si potrebbe aspettar di vedere Dracula in persona. Ma ho l'impressione che la materia, al di là dei ricalchi cinematografici di moda, soffra inevitabilmente di questa diacronia: il vampiro sembra imporre allo scrittore una sua dinamica che, ossimoricamente, non può davvero considerarsi evolutiva.
Insomma, se si scrive di vampiri è fatale che le atmosfere siano quelle pur se i personaggi e le situazioni vengono trasferite in altri tempi. Simon Raven non sfugge dunque a questa trappola (se proprio vogliamo chiamarla così, e se qualcuno la ritiene un limite se la prenda con Bram Stoker. Io la intenderei in altro modo: la vitalità e l'immortalità universalmente riconosciute di uno scrittore geniale), ma aggiunge, perché è autore di razza, un qualcosa di suo, che di questi tempi di scoppiettanti necessità coreografiche, può sembrare controproducente: un'interminabile attesa (mai noiosa) dell'evento, dell'incontro con la 'creatura', con la circostanza che segna il romanzo. Insomma la resa a quattrocchi col vampiro.
Il morso sul collo vive di una sospensione temporale: ma nulla è risaputo, nulla è legnoso e lagnoso. Poi arriva quel che ci si aspetta ed il risultato non delude.
Non siamo di fronte ad un capolavoro, intendiamoci, ma ad un raffinato esercizio di 'genere' che in quest'epoca di finta agitazione appare più inquieto di molte altre avventure ritenute tali.
Direi che lo si potrebbe consigliare anche ai più scettici.
di Alfredo Ronci
Perché di questo parla Il morso sul collo (ça va sans dire: paraculata dell'editore in odor di Twilight. Perché il titolo originale dell'opera, tradotta ineccepibilmente da Paolo De Crescenzo, è un po' più 'sottile': Doctors wear scarlet che, se non erro, vorrebbe dire che i dottori vestono di rosso): di un giovane archeologo di successo, Richard Fountain, che durante un viaggio in Grecia fa perdere le sue tracce e costringe alcuni amici e conoscenti a cercarlo tra le isole del mediterraneo.
Raven conosce alla perfezione i meccanismi della finzione: pur ambientando il romanzo subito dopo la seconda guerra mondiale, si respira un'aria così classica, così ottocentesca, così fin de siècle, che da un momento all'altro ci si potrebbe aspettar di vedere Dracula in persona. Ma ho l'impressione che la materia, al di là dei ricalchi cinematografici di moda, soffra inevitabilmente di questa diacronia: il vampiro sembra imporre allo scrittore una sua dinamica che, ossimoricamente, non può davvero considerarsi evolutiva.
Insomma, se si scrive di vampiri è fatale che le atmosfere siano quelle pur se i personaggi e le situazioni vengono trasferite in altri tempi. Simon Raven non sfugge dunque a questa trappola (se proprio vogliamo chiamarla così, e se qualcuno la ritiene un limite se la prenda con Bram Stoker. Io la intenderei in altro modo: la vitalità e l'immortalità universalmente riconosciute di uno scrittore geniale), ma aggiunge, perché è autore di razza, un qualcosa di suo, che di questi tempi di scoppiettanti necessità coreografiche, può sembrare controproducente: un'interminabile attesa (mai noiosa) dell'evento, dell'incontro con la 'creatura', con la circostanza che segna il romanzo. Insomma la resa a quattrocchi col vampiro.
Il morso sul collo vive di una sospensione temporale: ma nulla è risaputo, nulla è legnoso e lagnoso. Poi arriva quel che ci si aspetta ed il risultato non delude.
Non siamo di fronte ad un capolavoro, intendiamoci, ma ad un raffinato esercizio di 'genere' che in quest'epoca di finta agitazione appare più inquieto di molte altre avventure ritenute tali.
Direi che lo si potrebbe consigliare anche ai più scettici.
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