RECENSIONI
Isaac Rosa
Il paese della paura
Gran via, Pag. 275 Euro 16,50
Vi è mai capitato di detestare un personaggio di un film e poi rendersi conto che l'odio provato dipendeva esclusivamente dalla bravura dell'attore che lo impersonava (riversando poi parte del risentimento su quest'ultimo?). Credo proprio di sì (e mica sono strano solo io!).
Mi è successo leggendo questo libro: Carlos, il protagonista, è un uomo insopportabile, ha paura di tutto e di tutti (solo i morti non mordono, avrebbero detto i latini!), figuriamoci poi del diverso e dell'emarginato (Per Carlos sono numerosi gli spazi che in città gli possono provocare un senso di insicurezza. Tra essi compare, ancora una volta, la povertà, l'emarginazione, i posti in cui abitano quei rancorosi e disperati che da un momento all'altro possono sfogare contro di lui la loro rabbia sociale). Per una sorta, come si diceva prima, di traslazione ho cominciato a provare insofferenza anche per l'autore, un trentaseienne spagnolo che ha già alle spalle una discreta carriera letteraria.
Credo che in lui, e quindi nel personaggio che di sicuro lo rappresenta, sia scattata quella molla del disagio che ha permesso poi, ad un comico straordinario come Antonio Albanese, di costruire un personaggio azzeccatissimo come 'il ministro della paura'.
Con un'unica differenza: nel caso del comico vi è un'esperazione del panico dal punto di vista politico, cioè quando si vuole che lo stesso sia il mezzo per il controllo delle masse. Nel caso dello scrittore la paura diventa una specie di interruttore socio-psicologico che scatta nel momento in cui si parano davanti situazioni credute 'devianti'.
L'idea c'è e noi tutti la sentiamo: e senza nasconderci troppo, la sentiamo come la sente Carlos, bloccato sistematicamente da inquietudini quotidiane continue ed opprimenti. Ma il nostro risentimento nei confronti del personaggio letterario e dello scrittore, che ce lo 'consegna' così poco integrato, cresce.
Carlos, con la sua incapacità di gestire qualsiasi urgenza o anche un semplice contrattempo, finirà con l'essere vessato da un ragazzino che ha la stessa età di suo figlio, tredici anni. Vessazione che col tempo diventa sempre più una ossessione paranoica: Quel ragazzino è carne da cannone, si dice, e immagina possibili finali drammatici per un ragazzino come lui: diverse forme di sparizione, tutte violente, accoltellato durante una rissa, picchiato a morte per qualche conto in sospeso, uno scontro a gran velocità mentre guida un'auto rubata, investito mentre attraversa la tangenziale senza usare il cavalcavia pedonale, un colpo sparato dall'arma di un amico o di un familiare, oppure un poliziotto violento che vuole dargli una lezione, fargli prendere un bello spavento...
Carlos non sarà un leone, anzi se la fa spesso 'sotto', ma forse, nella sua angosciosa alienazione mentale, che è resa alla vita, anzi, alla morte, trova lumi di preveggenza: perché proprio una di queste cose accadrà al ragazzino violento.
Il paese della paura è un paese che davvero esiste e che in fondo è dentro di noi. Il paese della paura non è il risultato di un allargamento dei confini, ma di una sbagliata e razzista globalizzazione. Nessuno ha la bacchetta magica per evitare la deriva, ma chiudersi in un guscio ritenuto falsamente protettivo è il peggior sbaglio.
Forse nel mio personale risentimento nei confronti dello scrittore spagnolo non vi è nulla dal punto di vista letterario (anche se gli elenchi sistematici delle fonti d'angoscia del protagonista alla lunga 'appallano'): ve n'è dal punto di vista sociologico. Vero che viviamo in un mondo di paure, ma renderlo ancor più pregnante forse è il sistema più rapido perché ci si possa ritorcere contro. In modo definitivo. E andiamo a sproloquiare come la Moratti.
di Alfredo Ronci
Mi è successo leggendo questo libro: Carlos, il protagonista, è un uomo insopportabile, ha paura di tutto e di tutti (solo i morti non mordono, avrebbero detto i latini!), figuriamoci poi del diverso e dell'emarginato (Per Carlos sono numerosi gli spazi che in città gli possono provocare un senso di insicurezza. Tra essi compare, ancora una volta, la povertà, l'emarginazione, i posti in cui abitano quei rancorosi e disperati che da un momento all'altro possono sfogare contro di lui la loro rabbia sociale). Per una sorta, come si diceva prima, di traslazione ho cominciato a provare insofferenza anche per l'autore, un trentaseienne spagnolo che ha già alle spalle una discreta carriera letteraria.
Credo che in lui, e quindi nel personaggio che di sicuro lo rappresenta, sia scattata quella molla del disagio che ha permesso poi, ad un comico straordinario come Antonio Albanese, di costruire un personaggio azzeccatissimo come 'il ministro della paura'.
Con un'unica differenza: nel caso del comico vi è un'esperazione del panico dal punto di vista politico, cioè quando si vuole che lo stesso sia il mezzo per il controllo delle masse. Nel caso dello scrittore la paura diventa una specie di interruttore socio-psicologico che scatta nel momento in cui si parano davanti situazioni credute 'devianti'.
L'idea c'è e noi tutti la sentiamo: e senza nasconderci troppo, la sentiamo come la sente Carlos, bloccato sistematicamente da inquietudini quotidiane continue ed opprimenti. Ma il nostro risentimento nei confronti del personaggio letterario e dello scrittore, che ce lo 'consegna' così poco integrato, cresce.
Carlos, con la sua incapacità di gestire qualsiasi urgenza o anche un semplice contrattempo, finirà con l'essere vessato da un ragazzino che ha la stessa età di suo figlio, tredici anni. Vessazione che col tempo diventa sempre più una ossessione paranoica: Quel ragazzino è carne da cannone, si dice, e immagina possibili finali drammatici per un ragazzino come lui: diverse forme di sparizione, tutte violente, accoltellato durante una rissa, picchiato a morte per qualche conto in sospeso, uno scontro a gran velocità mentre guida un'auto rubata, investito mentre attraversa la tangenziale senza usare il cavalcavia pedonale, un colpo sparato dall'arma di un amico o di un familiare, oppure un poliziotto violento che vuole dargli una lezione, fargli prendere un bello spavento...
Carlos non sarà un leone, anzi se la fa spesso 'sotto', ma forse, nella sua angosciosa alienazione mentale, che è resa alla vita, anzi, alla morte, trova lumi di preveggenza: perché proprio una di queste cose accadrà al ragazzino violento.
Il paese della paura è un paese che davvero esiste e che in fondo è dentro di noi. Il paese della paura non è il risultato di un allargamento dei confini, ma di una sbagliata e razzista globalizzazione. Nessuno ha la bacchetta magica per evitare la deriva, ma chiudersi in un guscio ritenuto falsamente protettivo è il peggior sbaglio.
Forse nel mio personale risentimento nei confronti dello scrittore spagnolo non vi è nulla dal punto di vista letterario (anche se gli elenchi sistematici delle fonti d'angoscia del protagonista alla lunga 'appallano'): ve n'è dal punto di vista sociologico. Vero che viviamo in un mondo di paure, ma renderlo ancor più pregnante forse è il sistema più rapido perché ci si possa ritorcere contro. In modo definitivo. E andiamo a sproloquiare come la Moratti.
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