RECENSIONI
Tomaso Franco
Il tesoro di ruggine
MobyDick, Pag. 138 Euro 12.00
E' un bel libro. Un libro che può ricordare, per certi tratti, La Storia di Elsa Morante. Quello era un affresco, questo un cammeo. Sbocciato dal flusso della memoria, adotta della memoria il linguaggio stesso. Raccontato in prima persona, rievoca nei suoni, negli odori, in tutte le più delicate sfumature, l'esperienza di un'infanzia in campagna, immutabile nei suoi punti fermi da un'estate all'altra, finché la guerra e i grandi eventi legati alla fine del fascismo non arrivano a stravolgere ogni cosa.
I mesi là in campagna non erano mesi, erano la vita completa, senza confini né durata, una meraviglia in movimento. Non posso dire quanti anni avessi allora. Tutto era intenso e rapido, un perenne fluire sotto il grande cielo, e un anno era unito all'altro come un tempo solo.
E' raro trovare una così grande penetrazione della psicologia infantile, perché non si tratta di descrivere semplicemente le emozioni, ma di riprodurre quei particolari meccanismi mentali che rendono così diversa, rispetto all'adulto, la percezione del tempo, della causalità, dell'importanza dei dettagli, della relazione fra le cose. E diversa da quella dell'adulto, e tuttavia emotivamente intensa, è la percezione della sessualità.
Era il tempo dei miei diversi amori per la Rosanna e per la Elsa, ma non sapevo cosa significasse amore. Chi era amoroso possedeva qualcosa che mi era misterioso. Capivo che aveva a che fare col sedere e che dava allegria e una forza speciale.
Il potere evocativo dell'Autore è tale da riportare a galla, nel lettore che se ne fosse dimenticato, tutto il pathos di certi elementi cruciali dell'esperienza infantile in campagna: il rapporto fascinoso con la natura, il senso del gruppo, le piccole imprese, le scoperte e le trasgressioni, e soprattutto il piacere dei segreti condivisi.
Un gabinetto doveva essere intimo e sicuro. Io scelsi il posto e tutti insieme lavorammo per allestirlo. Si aprì un passaggio sotto la siepe, invisibile ai grandi. La canapa iniziava subito, molto più alta di noi, fitta e scura. Penetravamo lì in mezzo senza abbattere gli steli che erano forti ed elastici, così nessuno avrebbe notato nulla.
In questo mondo agreste, dove il piccolo Tato trascorre le vacanze, esistono rigide divisioni sociali, sottolineate da un muro che divide la sfera dei contadini da quella dei signori. Eppure c'è una divisione molto più significativa per Tato, che è quella fra il mondo degli adulti e quello dei bambini, che si ritrovano tutti insieme sotto una mitica quercia per condividere i giochi. Ci sono però dei momenti importanti in cui ogni bambino deve riunirsi alla società a cui appartiene e adattarsi alle sue regole. Così è per il padroncino Tato ogni volta che il padre, gerarca fascista, torna dalla città e pretende di imporre quei metodi educativi che dovrebbero trasformare il figlio in un vero uomo e un perfetto italiano.
Mio padre invece se ne andava col viso contratto da una ricercata severità. Mi lasciava con uno schiaffo, dosato tra un maschile buffetto e un anticipo di punizione per le colpe che certo avrei commesso.
Mentre Tato è impegnato a scoprire, in tutta calma, i grandi e placidi misteri della vita, come l'amore fra i giovani e la morte dei vecchi, gli si precipitano addosso ben altri misteri, più complicati e paurosi. La guerra, i bombardamenti, gli sfollati, i soldati che si preparano per andare a morire in Russia. La violenza diventa più vicina e palpabile anche nella realtà quotidiana, e l'incanto del mondo infantile va in pezzi davanti ai suoi occhi che sono, tuttavia, pur sempre occhi di bambino.
Il passaggio dalla serenità iniziale ad un clima drammatico, fino agli avvenimenti più tragici, è trattato dall'Autore con grande efficacia e insieme, cosa rara, con uno straordinario equilibrio, senza stonature, senza eccessi, senza mutamenti di stile. Soprattutto senza mai dimenticare, nemmeno per un attimo, che anche le cose da adulti devono essere filtrate dallo sguardo infantile del narratore. E' un romanzo che rende partecipi e lascia soddisfatti.
di Giovanna Repetto
I mesi là in campagna non erano mesi, erano la vita completa, senza confini né durata, una meraviglia in movimento. Non posso dire quanti anni avessi allora. Tutto era intenso e rapido, un perenne fluire sotto il grande cielo, e un anno era unito all'altro come un tempo solo.
E' raro trovare una così grande penetrazione della psicologia infantile, perché non si tratta di descrivere semplicemente le emozioni, ma di riprodurre quei particolari meccanismi mentali che rendono così diversa, rispetto all'adulto, la percezione del tempo, della causalità, dell'importanza dei dettagli, della relazione fra le cose. E diversa da quella dell'adulto, e tuttavia emotivamente intensa, è la percezione della sessualità.
Era il tempo dei miei diversi amori per la Rosanna e per la Elsa, ma non sapevo cosa significasse amore. Chi era amoroso possedeva qualcosa che mi era misterioso. Capivo che aveva a che fare col sedere e che dava allegria e una forza speciale.
Il potere evocativo dell'Autore è tale da riportare a galla, nel lettore che se ne fosse dimenticato, tutto il pathos di certi elementi cruciali dell'esperienza infantile in campagna: il rapporto fascinoso con la natura, il senso del gruppo, le piccole imprese, le scoperte e le trasgressioni, e soprattutto il piacere dei segreti condivisi.
Un gabinetto doveva essere intimo e sicuro. Io scelsi il posto e tutti insieme lavorammo per allestirlo. Si aprì un passaggio sotto la siepe, invisibile ai grandi. La canapa iniziava subito, molto più alta di noi, fitta e scura. Penetravamo lì in mezzo senza abbattere gli steli che erano forti ed elastici, così nessuno avrebbe notato nulla.
In questo mondo agreste, dove il piccolo Tato trascorre le vacanze, esistono rigide divisioni sociali, sottolineate da un muro che divide la sfera dei contadini da quella dei signori. Eppure c'è una divisione molto più significativa per Tato, che è quella fra il mondo degli adulti e quello dei bambini, che si ritrovano tutti insieme sotto una mitica quercia per condividere i giochi. Ci sono però dei momenti importanti in cui ogni bambino deve riunirsi alla società a cui appartiene e adattarsi alle sue regole. Così è per il padroncino Tato ogni volta che il padre, gerarca fascista, torna dalla città e pretende di imporre quei metodi educativi che dovrebbero trasformare il figlio in un vero uomo e un perfetto italiano.
Mio padre invece se ne andava col viso contratto da una ricercata severità. Mi lasciava con uno schiaffo, dosato tra un maschile buffetto e un anticipo di punizione per le colpe che certo avrei commesso.
Mentre Tato è impegnato a scoprire, in tutta calma, i grandi e placidi misteri della vita, come l'amore fra i giovani e la morte dei vecchi, gli si precipitano addosso ben altri misteri, più complicati e paurosi. La guerra, i bombardamenti, gli sfollati, i soldati che si preparano per andare a morire in Russia. La violenza diventa più vicina e palpabile anche nella realtà quotidiana, e l'incanto del mondo infantile va in pezzi davanti ai suoi occhi che sono, tuttavia, pur sempre occhi di bambino.
Il passaggio dalla serenità iniziale ad un clima drammatico, fino agli avvenimenti più tragici, è trattato dall'Autore con grande efficacia e insieme, cosa rara, con uno straordinario equilibrio, senza stonature, senza eccessi, senza mutamenti di stile. Soprattutto senza mai dimenticare, nemmeno per un attimo, che anche le cose da adulti devono essere filtrate dallo sguardo infantile del narratore. E' un romanzo che rende partecipi e lascia soddisfatti.
di Giovanna Repetto
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