RECENSIONI
Manuela Gandini
Ileana Sonnabend, "the Queen of art"
Castelvecchi, Pag. 357 Euro 25,00
Magari potrebbe capitare ancora, proprio parlando di arte (che ha a che fare con le immagini, giusto?) di riappropriarsi di un qualche sentimento immaginoso.
Quando Roberto Longhi, sulle non tanto magre quanto basse e tarchie spoglie di un così transeunte Caravaggio Michelangelo pittore a Roma prima, poi maldestramente itinerante, si inventa un ormai durevole titano di uomo, genio folgorato, anima tormentata, assassino nato (insomma i capisaldi direi sacri di un Letteratura & Delinquenza votato al successo più giusto e buono) noi gli dobbiamo tutto. Non solo ci insegna, al di là di qualsiasi congettura e logica che non sia brunianamente fantastica, cos'è la pittura, ma ci toglie l'inutile di qualsiasi interpretazione, valutazione storica fino al lavoro di spolvero in archivio (mioddio un'altra monografia sui contratti intestati al cugino di Antiveduto Grammatica); e vogliamo dirlo che Baudelaire non aveva neanche bisogno che il pittore dipingesse per farci godere un quadro che valesse le sue parole, per darci la pittura senza farla passare per mani troppo interinali?
Ecco perché, allora, è tutto una goduria il bel libro su Ileana Sonnabend di Manuela Gandini, un affresco, a tratti struggente, del secolo lentissimo e fangoso che ci siamo lasciati alle spalle, fra Finis Austriae, un paio di guerre mondiali, un po' di fascismi, la shoa, il patto atlantico, e il surrealismo che gli stanchi di Breton trasformano in Hollywood, grafica o Pop Art; e via via nello scolo della storia fino ai giorni nostri.
Struggente, commovente: emozioni simili le possiamo trovare solo sulle pagine di quel Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay che Michael Chabon ha dedicato esattamente alla stessa materia: un secolo che ha celebrato le più trasognate speranze, i più infiammati e infiammanti ideali, che ha cercato nell'arte una mistica e che ha finito per vendere tutto questo in confezioni bene ornate, all'asta televisiva, secondo gli ultimi risultati spendibili della ricerca di Freud, Adler e Jung, la trimurti che ha inventato il marketing: una storia molto triste, troppo normale che, incrociando le due letture, si risolve in qualche passaggio nei gusti sessuali fra le due metà del secolo, in qualche eccesso prima e tanto prudente prurito dopo, e poi tutta questa tiritera di idee di chiesa e partito, queste beghe di galleristi, piccoli artisti paranoici e sospettosi, e qualcuno che si presta a tradirli, da bravo, per non ingombrare le cliniche psichiatriche; il secolo che si è risolto a fare fumettazzi o pubblicità (non importa se in galleria o altrove) in questa gara a chi fa più chiasso (e con i borghesi che riconrrono gli artisti con i soldi in mano per farsi stupire: "E famme raccapriccià, e daje a coso!").
Nel romanzo del celebratissimo narratore questa storia viene incarnata tutta nella vicenda di un ebreo che fugge la persecuzione nazista (insieme al Golem) e che, da europeo con un immancabile futuro come minimo Tristan Tzara, diventerà tutto insieme americano, fumettista creatore di un supereroe e pazzo convinto di essere la sua creatura: è solo parlando dell'eccezionale, insegna Edgar Wind, che si può capire qualcosa del normale.
Ed è per questo che da Plutarco in poi, solo a salvarci troppe cadute nell'ossessione del documento, scrivere di uomini e donne eccezionali è la manna dal cielo, è la salvezza.
Fa bene questo Ileana Sonnabend che ci offre una chiave eccezionale di uscita dal nostro tormento quotidiano in una maniera non poco originale; perché se il Kavalier di Chabon sceglie ancora, primo romanticismo, la pazzia, la Sonnabend decide di esserci, ed esserci (blasfemia per il Grande Fratello) senza essere importante: "la mia vita non è importante", è la frase dietro cui si celava, con la quale si manifestava, la Regina dell'Arte.
E la sua lunga storia di coraggio, intelligenza, amore, sentimenti, affetti, fiducia e delusioni, fughe e conquiste, cultura e passione è tutta sotto il tratto di questa essenzialità, di questo scavo, e vuoto che la Gandini racconta, coerentemente, con una penna delicata e invisibile, con il fascino discreto di pochi movimenti, nella raccolta precipitata con studiata indifferenza di tante voci diverse attraverso le quali parla quella unica, fondamentale della Sonnabend.
di Pier Paolo Di Mino
Quando Roberto Longhi, sulle non tanto magre quanto basse e tarchie spoglie di un così transeunte Caravaggio Michelangelo pittore a Roma prima, poi maldestramente itinerante, si inventa un ormai durevole titano di uomo, genio folgorato, anima tormentata, assassino nato (insomma i capisaldi direi sacri di un Letteratura & Delinquenza votato al successo più giusto e buono) noi gli dobbiamo tutto. Non solo ci insegna, al di là di qualsiasi congettura e logica che non sia brunianamente fantastica, cos'è la pittura, ma ci toglie l'inutile di qualsiasi interpretazione, valutazione storica fino al lavoro di spolvero in archivio (mioddio un'altra monografia sui contratti intestati al cugino di Antiveduto Grammatica); e vogliamo dirlo che Baudelaire non aveva neanche bisogno che il pittore dipingesse per farci godere un quadro che valesse le sue parole, per darci la pittura senza farla passare per mani troppo interinali?
Ecco perché, allora, è tutto una goduria il bel libro su Ileana Sonnabend di Manuela Gandini, un affresco, a tratti struggente, del secolo lentissimo e fangoso che ci siamo lasciati alle spalle, fra Finis Austriae, un paio di guerre mondiali, un po' di fascismi, la shoa, il patto atlantico, e il surrealismo che gli stanchi di Breton trasformano in Hollywood, grafica o Pop Art; e via via nello scolo della storia fino ai giorni nostri.
Struggente, commovente: emozioni simili le possiamo trovare solo sulle pagine di quel Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay che Michael Chabon ha dedicato esattamente alla stessa materia: un secolo che ha celebrato le più trasognate speranze, i più infiammati e infiammanti ideali, che ha cercato nell'arte una mistica e che ha finito per vendere tutto questo in confezioni bene ornate, all'asta televisiva, secondo gli ultimi risultati spendibili della ricerca di Freud, Adler e Jung, la trimurti che ha inventato il marketing: una storia molto triste, troppo normale che, incrociando le due letture, si risolve in qualche passaggio nei gusti sessuali fra le due metà del secolo, in qualche eccesso prima e tanto prudente prurito dopo, e poi tutta questa tiritera di idee di chiesa e partito, queste beghe di galleristi, piccoli artisti paranoici e sospettosi, e qualcuno che si presta a tradirli, da bravo, per non ingombrare le cliniche psichiatriche; il secolo che si è risolto a fare fumettazzi o pubblicità (non importa se in galleria o altrove) in questa gara a chi fa più chiasso (e con i borghesi che riconrrono gli artisti con i soldi in mano per farsi stupire: "E famme raccapriccià, e daje a coso!").
Nel romanzo del celebratissimo narratore questa storia viene incarnata tutta nella vicenda di un ebreo che fugge la persecuzione nazista (insieme al Golem) e che, da europeo con un immancabile futuro come minimo Tristan Tzara, diventerà tutto insieme americano, fumettista creatore di un supereroe e pazzo convinto di essere la sua creatura: è solo parlando dell'eccezionale, insegna Edgar Wind, che si può capire qualcosa del normale.
Ed è per questo che da Plutarco in poi, solo a salvarci troppe cadute nell'ossessione del documento, scrivere di uomini e donne eccezionali è la manna dal cielo, è la salvezza.
Fa bene questo Ileana Sonnabend che ci offre una chiave eccezionale di uscita dal nostro tormento quotidiano in una maniera non poco originale; perché se il Kavalier di Chabon sceglie ancora, primo romanticismo, la pazzia, la Sonnabend decide di esserci, ed esserci (blasfemia per il Grande Fratello) senza essere importante: "la mia vita non è importante", è la frase dietro cui si celava, con la quale si manifestava, la Regina dell'Arte.
E la sua lunga storia di coraggio, intelligenza, amore, sentimenti, affetti, fiducia e delusioni, fughe e conquiste, cultura e passione è tutta sotto il tratto di questa essenzialità, di questo scavo, e vuoto che la Gandini racconta, coerentemente, con una penna delicata e invisibile, con il fascino discreto di pochi movimenti, nella raccolta precipitata con studiata indifferenza di tante voci diverse attraverso le quali parla quella unica, fondamentale della Sonnabend.
di Pier Paolo Di Mino
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