RECENSIONI
Véronique Duborgel
In fuga dall'Opus Dei
Piemme, Pag. 172 Euro 12,00
Non si tratta di un'opera letteraria, né pretende di esserlo. Non ha nemmeno la freschezza ingenua dei diari, degli sfoghi spontanei. E' troppo presa, l'Autrice, dall'impegno didascalico di argomentare, fornire prove e ragionamenti, ottenere comprensione dal lettore, quasi ancora dovesse giustificarsi, povera donna, per aver lasciato un'istituzione che l'ha costretta a tredici anni d'inferno. E' però un libro da leggere, per il forte impatto della testimonianza che porta. Perché è l'Opus Dei vista da dentro, e per giunta vista da una donna. Se il volto arrogante, vincente, maschile dell'Opera appare terribile, la faccia complementare dell'asservimento femminile è addirittura terrificante. Questa setta, già altrove definita "santa mafia", era un tempo riservata agli uomini: l'inclusione di membri femminili non è segno d'apertura, bensì una strategia per avere mano d'opera gratuita, silenziosa e complice, e per dare ai membri maschi compagne che siano ineccepibili sotto il profilo della regola imposta. Parliamo, in quest'ultimo caso, dei membri definiti "soprannumerari", che a differenza dei "numerari" non fanno voto di castità, ma fondano famiglie che sono vetrine pubblicitarie e fucine di nuova manovalanza. Il primo precetto ovviamente è di non limitare in alcun modo il numero dei figli.
L'Autrice racconta le strategie di reclutamento di cui lei stessa è stata vittima inconsapevole, dal momento in cui si era fidanzata con un aspirante membro dell'Opera. Descrive la paziente tessitura intorno a lei di una ragnatela i cui ingredienti erano la dissimulazione, l'ipocrisia e l'inganno. Salvo poi trovarsi incastrata e già condizionata da un assiduo lavaggio del cervello.
Comincia così un lungo calvario, sotto l'occhio onnisciente dell'Opera, con il costante assillo della "correzione fraterna".
L'esercizio ha come protagoniste quattro persone. La prima, invitata a prendere nota delle minime mancanze delle adepte, denuncia alla direttrice il 'difetto' trovato in una delle sue compagne. La mancanza può anche essere semplicemente l'accavallare le gambe durante la messa. La direttrice incarica allora una terza sorella, completamente estranea al 'delitto' constatato, di compiere la correzione fraterna nei confronti di colei che ha mancato.
A questo proposito la povera Véronique, madre di nove figli, racconta che in un'occasione le fu chiesto di rimproverare un'altra mamma, che aveva perso il suo bambino, perché alle riunioni di gruppo non si mostrava abbastanza gioiosa! Un'immagine di gioia ed armonia, non importa quanto fittizia, è la testimonianza a cui è obbligato ogni membro e ogni famiglia opusdeiana.
In un clima di continuo sospetto, di incomprensione, di violenze psicologiche di ogni tipo (anche da parte del marito fondamentalista che le proibisce perfino di avere delle opinioni), l'Autrice racconta di aver tuttavia rinviato la sua fuga per tredici anni, attanagliata dai dubbi e ricattata con lo spauracchio della dannazione eterna. Tanto grave è il plagio, che la descrizione del successivo processo di liberazione ha la stessa connotazione drammatica della disassuefazione da una droga. C'è da chiedersi perché Amnesty non abbia mai deciso di mobilitarsi.
di Giovanna Repetto
L'Autrice racconta le strategie di reclutamento di cui lei stessa è stata vittima inconsapevole, dal momento in cui si era fidanzata con un aspirante membro dell'Opera. Descrive la paziente tessitura intorno a lei di una ragnatela i cui ingredienti erano la dissimulazione, l'ipocrisia e l'inganno. Salvo poi trovarsi incastrata e già condizionata da un assiduo lavaggio del cervello.
Comincia così un lungo calvario, sotto l'occhio onnisciente dell'Opera, con il costante assillo della "correzione fraterna".
L'esercizio ha come protagoniste quattro persone. La prima, invitata a prendere nota delle minime mancanze delle adepte, denuncia alla direttrice il 'difetto' trovato in una delle sue compagne. La mancanza può anche essere semplicemente l'accavallare le gambe durante la messa. La direttrice incarica allora una terza sorella, completamente estranea al 'delitto' constatato, di compiere la correzione fraterna nei confronti di colei che ha mancato.
A questo proposito la povera Véronique, madre di nove figli, racconta che in un'occasione le fu chiesto di rimproverare un'altra mamma, che aveva perso il suo bambino, perché alle riunioni di gruppo non si mostrava abbastanza gioiosa! Un'immagine di gioia ed armonia, non importa quanto fittizia, è la testimonianza a cui è obbligato ogni membro e ogni famiglia opusdeiana.
In un clima di continuo sospetto, di incomprensione, di violenze psicologiche di ogni tipo (anche da parte del marito fondamentalista che le proibisce perfino di avere delle opinioni), l'Autrice racconta di aver tuttavia rinviato la sua fuga per tredici anni, attanagliata dai dubbi e ricattata con lo spauracchio della dannazione eterna. Tanto grave è il plagio, che la descrizione del successivo processo di liberazione ha la stessa connotazione drammatica della disassuefazione da una droga. C'è da chiedersi perché Amnesty non abbia mai deciso di mobilitarsi.
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