RECENSIONI
Emmanuel Carrère
Io sono vivo, voi siete morti
Adelphi, Traduzione di Federica e Lorenza Di Lella, Pag. 352 Euro 19,00
Accostarsi alla biografia di Philip Dick è stato certamente, per Emmanuel Carrère, allettante come un invito a nozze, dal momento che gli ha consentito di affrontare un tema a lui caro: quello del dualismo, della vita in bilico fra due dimensioni contrastanti. Ne Il Regno, romanzo successivo, Carrère tratterà questo aspetto in chiave autobiografica, raccontando l’alternarsi nella sua vita di un elemento religioso abbracciato e negato in momenti diversi con pari convinzione. Soprattutto evidenzierà il dramma del sentirsi esposti al rischio di albergare in sé una visione della realtà avvertita come estranea eppure riconosciuta come parte della propria storia. La vertigine del rischio di cadere là dove si era caduti una volta, ribaltando l’intera visione del mondo. Qui racconta un dualismo portato all’estremo e sconfinante nella follia. La percezione di due dimensioni parallele, l’una negazione dell’altra, in una teoria senza fine di illusioni e di inganni. Ogni verità raggiunta è sempre la penultima.
Sì, perché Philip Dick, il genio della fantascienza, non era tanto un abile inventore di mondi quanto un fedele cronista di mondi che credeva di conoscere di persona.
Traumatizzato a tre anni vedendo il volto del padre coperto da una maschera antigas che lo rendeva mostruoso, il giovane Philip riceve un colpo definitivo dalla cordicella della luce del bagno. Fa ridere dirlo, ma furono proprio certi piccoli dettagli incongruenti a dargli la sensazione di una realtà occulta dietro la facciata delle cose familiari.
Ma non trovava la cordicella. Eppure sapeva che penzolava lì accanto alla porta, sulla sinistra. Era assurdo. Con le braccia tese in avanti e le dita aperte si mise a mulinare le mani nell’oscurità. Fu preso da una specie di panico, come se intorno a lui tutto fosse scomparso (…) e all’improvviso si rese conto che non c’era nessuna cordicella. C’era e c’era sempre stato un interruttore a parete, sulla destra della porta.
Non solo l’episodio gli dà lo spunto per una storia di fantascienza, ma entra come un tarlo destinato a minare, con un millimetrico lavoro di erosione, tutte le sue certezze.
Attingendo all’abbondante materiale biografico (fra cui un monumentale epistolario) Carrère racconta una vita sregolata, da eterno bohémien, in una vertigine di droghe e di amori compulsivi, di sconfinamenti nella psicosi e di fughe nel misticismo. E puntualmente inserisce nel percorso biografico la produzione letteraria dello scrittore, descrivendo le opere e rivelando i retroscena della loro genesi.
I deliri paranoici di Philip Dick nascono in genere dalle sue personali angosce, ma in qualche caso sono stimolati da fatti reali, come l’immancabile intrusione degli agenti dell’FBI sguinzagliati a caccia di comunisti nell’era del maccartismo. Quasi offeso del fatto che si interessino più a sua moglie che a lui finirà per sfornare L’occhio nel cielo. Più tardi coltiverà l’idea di essere finito nel mirino dei servizi segreti per aver involontariamente rivelato, con i suoi romanzi, delle verità pericolose. E ossessionato da quest’idea ne trarrà nuovi tormenti e nuova linfa letteraria.
Carrère è un fascinoso affabulatore e un narratore incallito. È inevitabile, quando parla di qualcuno, che ci metta del suo. In questo libro se ne ha la prova quando racconta dello shock subito da Dick alla lettura di un fatto di cronaca riguardante un bambino paralizzato. Ebbene, ne Il Regno egli attribuisce a se stesso quello shock e quel pianto. Non trovo perciò raccomandabile prendere alla lettera tutto ciò che racconta, né pretendere troppo rigore storico (magari c’è nell’intenzione, ma il narratore che è in lui gli prende la mano).
Non ha importanza. Il protagonista del libro (che sia o meno un ritratto fedele) è vivo davvero, come dice i titolo, e si impone al lettore con l’evidenza disarmante del suo dramma infinito.
di Giovanna Repetto
Sì, perché Philip Dick, il genio della fantascienza, non era tanto un abile inventore di mondi quanto un fedele cronista di mondi che credeva di conoscere di persona.
Traumatizzato a tre anni vedendo il volto del padre coperto da una maschera antigas che lo rendeva mostruoso, il giovane Philip riceve un colpo definitivo dalla cordicella della luce del bagno. Fa ridere dirlo, ma furono proprio certi piccoli dettagli incongruenti a dargli la sensazione di una realtà occulta dietro la facciata delle cose familiari.
Ma non trovava la cordicella. Eppure sapeva che penzolava lì accanto alla porta, sulla sinistra. Era assurdo. Con le braccia tese in avanti e le dita aperte si mise a mulinare le mani nell’oscurità. Fu preso da una specie di panico, come se intorno a lui tutto fosse scomparso (…) e all’improvviso si rese conto che non c’era nessuna cordicella. C’era e c’era sempre stato un interruttore a parete, sulla destra della porta.
Non solo l’episodio gli dà lo spunto per una storia di fantascienza, ma entra come un tarlo destinato a minare, con un millimetrico lavoro di erosione, tutte le sue certezze.
Attingendo all’abbondante materiale biografico (fra cui un monumentale epistolario) Carrère racconta una vita sregolata, da eterno bohémien, in una vertigine di droghe e di amori compulsivi, di sconfinamenti nella psicosi e di fughe nel misticismo. E puntualmente inserisce nel percorso biografico la produzione letteraria dello scrittore, descrivendo le opere e rivelando i retroscena della loro genesi.
I deliri paranoici di Philip Dick nascono in genere dalle sue personali angosce, ma in qualche caso sono stimolati da fatti reali, come l’immancabile intrusione degli agenti dell’FBI sguinzagliati a caccia di comunisti nell’era del maccartismo. Quasi offeso del fatto che si interessino più a sua moglie che a lui finirà per sfornare L’occhio nel cielo. Più tardi coltiverà l’idea di essere finito nel mirino dei servizi segreti per aver involontariamente rivelato, con i suoi romanzi, delle verità pericolose. E ossessionato da quest’idea ne trarrà nuovi tormenti e nuova linfa letteraria.
Carrère è un fascinoso affabulatore e un narratore incallito. È inevitabile, quando parla di qualcuno, che ci metta del suo. In questo libro se ne ha la prova quando racconta dello shock subito da Dick alla lettura di un fatto di cronaca riguardante un bambino paralizzato. Ebbene, ne Il Regno egli attribuisce a se stesso quello shock e quel pianto. Non trovo perciò raccomandabile prendere alla lettera tutto ciò che racconta, né pretendere troppo rigore storico (magari c’è nell’intenzione, ma il narratore che è in lui gli prende la mano).
Non ha importanza. Il protagonista del libro (che sia o meno un ritratto fedele) è vivo davvero, come dice i titolo, e si impone al lettore con l’evidenza disarmante del suo dramma infinito.
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Emmanuel Carrère
Il Regno
Adelphi, Pag. 430 Euro 22,00Definire questo libro inquadrandolo in qualche genere o categoria sarebbe, più che riduttivo, impossibile. Vi si trova tutto ciò che può uscire dalla penna di un grande scrittore: autobiografia, narrativa, esegesi, storia, filosofia, analisi letteraria.
Emmanuel Carrère
V13
Adelphi, Pag.267 Euro 20.00Personalmente ho un rapporto conflittuale con Carrère. Ho cominciato a seguirlo quasi subito, soprattutto con I baffi e poi con La settimana bianca. In seguito, come si suol dire, mi sono arenato, e nemmeno l’insistenza di una mia amica a farmi leggere Limonov e ancora di più Il regno mi hanno convinto del contrario.
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