RECENSIONI
Murakami Haruki
Kafka sulla spiaggia
Einaudi, Pag. 514 Euro 20,00
Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki è un quadro che prende vita, ne inventa e ne rende agli occhi commossi, agli sguardi che si muovono al di qua della pagina scritta.
La mistica fantastica dello scrittore giapponese, riservato e schivo, non si lascia andare a distrazioni umane. La realtà viene messa a tacere.
Per 500 pagine l'irreale prende la parola, incanta con il monologo e il dialogo tra vita, sogni infranti, sogni mai conosciuti, pensieri ritrovati, pensieri perduti, parole bruciate (nel calderone del cuore spezzato dall'odio), oppure assaporate (in un pasto caldo con uno sconosciuto che fa da compagno di viaggio).
L'epidermide porosa della narrazione è scossa dai brividi delle lettere che scivolano come ghiaccio in una pentola calda, brividi che lasciano il pianto sospeso a metà tra la gola e gli occhi e il respiro gonfio di acqua. Una commozione dell'anima che non sa reagire davanti a tanta crudele bellezza. Perché l'esistenza sa essere meravigliosamente crudele con i suoi giochi, con le sue paure, con gli incubi portati allo stremo e capovolti come bicchieri pieni sulla tovaglia del reale, dell'ora, del tempo che si vive senza saperne approfittare.
Gli eroi di questa tela sono due colori diversi e uniti dallo stesso pennello della storia, del destino che sa avvicinare anche nell'anonimato del volto e nella fratellanza del passato.
Gli eroi di questa tela sono due colori diversi di una stessa sfumatura: quella di Kafka più forte, più limpida, più tormentata e densa, la sfumatura dell'adolescenza.
Quella di Nakata più leggera, con meno bisogno di entrare nelle maglie del dipinto, una sfumatura dolce che lascia andare e si lascia andare alla mano del pittore, che non si ribella, sapendo di essere l'ultimo mezzo per la bellezza di una vecchiaia che sta iniziando il suo inchino al mondo. Un inchino silenzioso. Vero. Dignitoso.
La brezza acuta della storia sale lentamente, arriva da lontano, arriva dalle spalle dei due protagonisti. Coglie di sorpresa il lettore ma avvisa, saluta il collo e il cuore con un respiro che sa di mandorle e pioggia. Vibra nelle gambe su fino agli occhi e li fa socchiudere come a veder meglio un amico che ci saluta in mezzo al buio.
Questo libro è un amico che sapevamo di avere e che torna a raccontare cosa è accaduto negli anni in cui non ha avuto la voce per farsi ascoltare. Un amico che ha attraversato il denso strato dei sogni, del fantastico e ci si è perduto dentro ridendo e gridando.
Senza intaccare i nostri luoghi comuni, la nostra condizione sociale, il nostro "mondo" è tornato a rivelare la sua nuova vita.
A volte le fantasticherie umane sono fantasmi che ci servono cibo in un luogo inesistente. O un gatto che ci aiuta a trovare un nuovo livello della nostra anima.
La fantasia qui gioca a cavallina con ogni parola e paura, salta la distanza annullandola. Tutto si confonde in un lucido movimento di pianoforte, tutto si mescola in una sapiente e minuziosa scelta di tempi, in un dosare attento di sentimenti e figure irreali.
Tutto si confonde in un cibo per le anime affamate. Una pietanza calda che rinfresca le fatiche, accoglie i dolori, risveglia il vuoto che portiamo dentro per colmarlo con lentezza. E mentre lo riempie di quella sostanza fatta della luce stessa del sole, ci fa finalmente respirare il dolce sapore di una gioia inconsapevole.
di Alex Pietrogiacomi
La mistica fantastica dello scrittore giapponese, riservato e schivo, non si lascia andare a distrazioni umane. La realtà viene messa a tacere.
Per 500 pagine l'irreale prende la parola, incanta con il monologo e il dialogo tra vita, sogni infranti, sogni mai conosciuti, pensieri ritrovati, pensieri perduti, parole bruciate (nel calderone del cuore spezzato dall'odio), oppure assaporate (in un pasto caldo con uno sconosciuto che fa da compagno di viaggio).
L'epidermide porosa della narrazione è scossa dai brividi delle lettere che scivolano come ghiaccio in una pentola calda, brividi che lasciano il pianto sospeso a metà tra la gola e gli occhi e il respiro gonfio di acqua. Una commozione dell'anima che non sa reagire davanti a tanta crudele bellezza. Perché l'esistenza sa essere meravigliosamente crudele con i suoi giochi, con le sue paure, con gli incubi portati allo stremo e capovolti come bicchieri pieni sulla tovaglia del reale, dell'ora, del tempo che si vive senza saperne approfittare.
Gli eroi di questa tela sono due colori diversi e uniti dallo stesso pennello della storia, del destino che sa avvicinare anche nell'anonimato del volto e nella fratellanza del passato.
Gli eroi di questa tela sono due colori diversi di una stessa sfumatura: quella di Kafka più forte, più limpida, più tormentata e densa, la sfumatura dell'adolescenza.
Quella di Nakata più leggera, con meno bisogno di entrare nelle maglie del dipinto, una sfumatura dolce che lascia andare e si lascia andare alla mano del pittore, che non si ribella, sapendo di essere l'ultimo mezzo per la bellezza di una vecchiaia che sta iniziando il suo inchino al mondo. Un inchino silenzioso. Vero. Dignitoso.
La brezza acuta della storia sale lentamente, arriva da lontano, arriva dalle spalle dei due protagonisti. Coglie di sorpresa il lettore ma avvisa, saluta il collo e il cuore con un respiro che sa di mandorle e pioggia. Vibra nelle gambe su fino agli occhi e li fa socchiudere come a veder meglio un amico che ci saluta in mezzo al buio.
Questo libro è un amico che sapevamo di avere e che torna a raccontare cosa è accaduto negli anni in cui non ha avuto la voce per farsi ascoltare. Un amico che ha attraversato il denso strato dei sogni, del fantastico e ci si è perduto dentro ridendo e gridando.
Senza intaccare i nostri luoghi comuni, la nostra condizione sociale, il nostro "mondo" è tornato a rivelare la sua nuova vita.
A volte le fantasticherie umane sono fantasmi che ci servono cibo in un luogo inesistente. O un gatto che ci aiuta a trovare un nuovo livello della nostra anima.
La fantasia qui gioca a cavallina con ogni parola e paura, salta la distanza annullandola. Tutto si confonde in un lucido movimento di pianoforte, tutto si mescola in una sapiente e minuziosa scelta di tempi, in un dosare attento di sentimenti e figure irreali.
Tutto si confonde in un cibo per le anime affamate. Una pietanza calda che rinfresca le fatiche, accoglie i dolori, risveglia il vuoto che portiamo dentro per colmarlo con lentezza. E mentre lo riempie di quella sostanza fatta della luce stessa del sole, ci fa finalmente respirare il dolce sapore di una gioia inconsapevole.
di Alex Pietrogiacomi
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