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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Peter Rushforth

Kindergarten

Elliot, Pag. 216 Euro 16,00
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Hansel e Gretel era soltanto una favola nera, di povertà e miseria. Nell'opera prima di Peter Rushforth è l'allegoria dell'agguato quotidiano della morte, della malvagità degli uomini, della più dolorosa linea d'ombra dei ragazzi: quella che coincide con la necessaria accettazione della normalità della fine della vita. Anche quando si tratta di fine violenta. È un'allegoria addolcita dalla gentilezza e dal pudore di chi ha conosciuto sofferenze abnormi e incomprensibili, e ormai vecchia (un male è stato come una carezza: è accaduto) si ritrova a condividerle, poco a poco, con le nuove generazioni. È una che ha una vita da raccontare e raccontando va a eternarla; una che prima illustrava le favole, e poi in una di queste – magari cupa come in certi frangenti degli Andersen – era piombata. Non è stata l'unica, né la prima, né l'ultima. Come dimenticarsene? Solo chi è troppo giovane si illude di essere esente dai rovesci della sorte, dal destino di essere: umano.

Natale 1978. Tre fratelli hanno perso la mamma in un attentato terroristico, avvenuto a Roma soltanto pochi mesi prima. Queste feste le passeranno con la nonna, e avranno un sapore inevitabilmente differente. Non c'è rimedio e non c'è consolazione per la perdita di una madre, figuriamoci per una perdita prematura. Serve esperienza per accettare che la vita si compone di arbitrii, ingiustizie, casualità, atrocità: non è solo questo, ma niente e nessuno esclude che si ripetano, a distanza di una generazione.

Nonna Lilli, scampata all'Olocausto emigrando, sola e sconosciuta, in Inghilterra, nel 1939, aveva un aspetto giovanile – sembrava una cantante folk – ed era stata una famosa illustratrice di fiabe. Dei Fratelli Grimm e non solo. I suoi libri erano stati bruciati dai nazisti nei primi anni Trenta, assieme alle opere di Marx, Freud, Heine, Mann. Quel Natale sta assieme ai nipotini per dare vita a una festa in stile tedesco: rigenerando, lei espatriata, una memoria distante e antica. Oltretutto, estranea alla sua religione: ebraica. Convertirsi, una volta inglese e sposata, non ha cambiato le cose. L'essenza niente può mutarla: non una cittadinanza, né una dichiarazione di circostanza.

La vigilia, Weihnachten, è associata alle rivelazioni magiche. Le montagne si schiudono svelando i loro tesori di pietre preziose, le campane delle chiese risuonano da città sommerse in fondo ai mari, sugli alberi spuntano fiori e frutti, il sole fa tre salti di gioia e i puri di cuore comprendono il linguaggio degli animali (pp. 43-44).

La rivelazione magica è che l'umanità è capace di sconfiggere le avversità e il dolore: sperando, e imparando ad accettare la natura delle cose e la caducità dell'esistenza. La terribile esperienza esistenziale di quegli ebrei tedeschi che cercavano, come potevano, di scampare al prossimo eccidio – nel libro, efficacemente espressa per integrazioni di carteggi metà burocratici, metà sentimentali, prodromici al trasferimento in UK – è viatico alla comprensione dell'ingiustizia della morte della padre nei piccoli. Intanto, alla televisione – è uno dei leit motiv del libro – da giorni interi, terroristi tengono prigionieri bambini d'una scuola di Berlino Ovest. Segno che l'assurdità del male è proprio incontrollabile, e nient'affatto episodica.

E tuttavia non è invincibile. Basta ascoltare. Basta sorridere della nostra natura (è possibile), basta accettare. Accettare che niente abbia senso che non sia il miracolo del presente, dei sentimenti, dell'appartenenza; infine, della memoria.

Un Canto di Natale cupo ma non depressivo. Triste, ma non malinconico. Infine, fiabesco: fedele alla linea tracciata dai fratelli Grimm.



di Gianfranco Franchi


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