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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Jakob Arjouni

Kismet - Destino

Marcos y Marcos, Pag. 268 Euro 15,00
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Marco Lodoli, su "Repubblica", ha scritto: Jakob Arjouni è il più importante scrittore tedesco di romanzi noir. Già nel 1985, quando il genere non era ancora trionfante come oggi, diede vita al detective privato Kemal Kayankaya, turco da sempre residente a Francoforte, un duro dal cuore tenero che a modo suo rappresenta la nuova Europa, miscela di genti e culture diverse, di milioni di persone comunque e sempre alla disperata ricerca di una soluzione per sbarcare il lunario.

Scopriamo, allora, com'è nata la saga di Kemal Kayankaya, grazie a questa intervista rilasciata dall'autore a Luca Crovi: Avevo diciannove anni quando scrissi il primo romanzo della serie, Happy birthday, turco! Ero nel Sud della Francia, frequentavo l'università, ma ben presto capii che non ero fatto per studiare. Non parlavo la lingua e non conoscevo nessuno. Dando vita a Kayankaya, ho creato un amico. Mentre scrivevo il libro, ho capito che Kayankaya è un ottimo amico, così ho iniziato il secondo romanzo, Troppa birra, detective! - sic et simpliciter.

Questo per darvi le prime coordinate necessarie: Jakob Bothe, alias Jakob Arjouni, niente affatto turco ma sensibile, evidentemente, nei confronti della problematica integrazione d'una nuova etnia tanto numerosa nel tessuto sociale tedesco, è un autore di genere apprezzato in patria e non solo. Questo suo nuovo libro, il quarto della serie dedicata all'investigatore chandleriano, turco di Francoforte, è un divertissement – per quanti, come me, non amano affatto il genere, altro non può essere: pardon – caratterizzato da dialoghi cinematografici o fumettari, brevi e frizzanti, intervallati da descrizioni satiriche e non di rado spiazzanti, come in questo (godibile) frangente: Ora la osservavo davvero per la prima volta. Il suo viso mi ricordava uno di quei tavolini da bistrot, quando ci si mangia in due. Occhi, naso e bocca sembravano spingersi a vicenda oltre il bordo. Non aveva poi una faccia particolarmente magra, ma tutti i dettagli erano grandi e pronunciati come una sequenza lievemente sovradimensionata di lineamenti di bellezza classica. Enormi occhi scuri, quasi da morbo di Basedow, naso importante, appena ricurvo, e labbra simili a cuscini gonfiabili rosa. Inoltre si muoveva come quelle ragazze dalle gambe lunghe che non si sa mai bene se intuiscano cosa possono scatenare in un uomo soltanto con una breve, insignificante camminata su e giù per la stanza(p. 161).

Una colonna sonora pop (Janet Jackson, Bonnie Tyler) con episodica incursione rock (Van Morrison), un ritmo narrativo alto e mai frenetico, una singolare capacità di tratteggiare un protagonista antieroico, fedele ai dettami del genere, completano il quadro. Quel che più potrebbe interessarci è la descrizione del clima tedesco contemporaneo, del potere della criminalità organizzata, dei suoi protagonisti: Gangster sempre nuovi e sempre più isolati che dovevano far fagotto sempre più in fretta. Venivano dalla Germania, dall'Austria, dall'Italia, dall'Albania, dalla Romania, dalla Turchia, dalla Jugoslavia, dalla Russia, dalla Bielorussia e da una manciata di Paesi dell'America Latina. Si aveva la sensazione che nel quartiere della stazione di Francoforte si stesse tenendo una sorta di Olimpiadi del crimine. L'importante era partecipare (pag. 67).

Stando al filtro di Arjouni, a Francoforte, al di là di qualche boss albanese, turco e tedesco, la situazione è caotica e irrisolta. In questo contesto, inserisce nuovi protagonisti – i Croati – profittando per prendersi gioco, o per fustigare, i loro sentimenti anti-islamici (xenofobi in generale: il nazionalismo esasperato dalla guerra a questo trascina e imprigiona). Il romanzo indaga la condotta di un fantomatico Esercito della Ragione, germano-croato, che sin dal nome sembra dichiarare di voler essere altro che una comune cricca di banditi: loro erano qualcosa di più puro ed elevato, consacrati a una causa. Quella della Croazia. Almeno, questa è la propaganda: la realtà è al solito molto più bieca.

Entrano nella vita del detective protagonista perché è impegnato, nelle prime battute, a difendere – e aggredire – i banditi che vanno a domandare il pizzo al suo amico Romario, ristoratore brasiliano ("Saudade" è il simbolico nome del suo locale); quando, regolati i conti, ritroverà il locale bruciato e il povero amico impaurito (complessa è la burocrazia, e nemica dell'extracomunitario, in tutta Europa) e rifugiato in casa sua, andrà in cerca di giustizia.

Da un ristorante all'altro: ecco quello dell'Esercito della Ragione.

Che questa cucina ormai di rado si chiamasse jugoslava, bensì come una delle regioni che negli ultimi anni si erano congedate dalla Jugoslavia con l'energico sostegno del ministero degli esteri tedesco, veniva suggerito dall'offerta di cocktail su cui erano incollate bandierine croate e tedesche (pag. 119-120). Dovremmo esserci intesi.

Il titolo, Kismet, significa "Sarà quel che sarà. È la vita. Quel che deve succedere succede": come dire, "destino". E il destino porterà Kayankaya a smascherare i banditi croati, rivelare lo sfruttamento di poveri bosniaci, festeggiare il nuovo locale (Irish Pub) e il permesso di soggiorno di Romario; tra scalcinati viaggi coi cadaveri nel baule, segretarie intraprendenti, dolci profughe in cerca dei genitori e meditazioni sulla distanza tra le scopate diversive e i grandi amori. Molte sigarette e un po' di alcol. Divertente, sicuro.

Kismet-Destino: per gli appassionati del noir, e per gli innamorati dell'idea d'una Germania multietnica.





di Gianfranco Franchi


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