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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Laurent Martin

L'ebbrezza degli dei

Del Vecchio Editore, Pag.209 Euro 15,00
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Scriveva Lia Volpatti, una che il noir lo mastica da decenni, introducendo una vecchia, e bellissima, antologia mondadoriana, Profondo nero, dedicata allo scrittore americano David Goodis: I testi di saggistica e di critica letteraria americani, anche quelli strettamente legati al genere, o lo ignorano o riportano brevi, schematiche, limitative e soprattutto acritiche annotazioni. E come avrebbe potuto, del resto, il poeta dei perdenti, il cantore dei falliti, farsi amare in una terra, l'America, che ha il culto dell'eroe vincente?

E chi ha amato, sopra ogni cosa, il suo romanzo C'è del marcio in Vernon Street, in testa ad una mia ipotetica classifica del più bel noir di sempre, sa cosa vogliono dire le parole della Volpatti. Ma forse, in quest'epoca di cloni e di coazioni a ripetere che invalidano ogni sistematica velleità artistica, un nome che può timidamente accostarsi al grande perdente della narrativa americana c'è ed è francese: Laurent Martin.

C'ha pensato la Del Vecchio Editore a proporre L'ebbrezza degli dei, un testo del 2002, edito in terra francese dalla Gallimard, e a farci drizzare le orecchie.

Uno straordinario spaccato sociologico, una corsa dritta e rapida al centro del cuore pulsante di una collettività bruciata da qualsiasi tentazione di redenzione. Lui Laurent Martin, un talento. Ed il personaggio che crea ha la dimensione drammatica ed alta delle migliori figure maudit della letteratura di genere e non.

E' uno sbirro di periferia, a pochi passi dalla Parigi che conta, che vive con un cane che sembra avere la parola e con le proprie ossessioni che non sono i classici chiodi fissi degli "eroi" solitari di tanta investigazione internazionale, ma una sorta di mal di vivre universale che riempie qualsiasi spazio della sua esistenza. Una presenza cristologica che impressiona per la sua capacità di attirare i mali di una società per la quale non affila le armi, ma per la quale si sottomette con una specie di lucida rassegnazione.

In questa storia (che Martin racconta strutturandola come se fosse una tragedia greca con gli interventi di un coro e di un corifeo) ha a che fare anche con un serial killer, uno a cui piace uccidere e sfregiare i corpi delle vittime (donne come al solito), ma la percezione che si ha leggendo il libro non è quella di una ricerca spasmodica, da parte del protagonista, di un colpevole a tutti i costi, ma un vero e proprio "studio" attraverso il quale fare i conti con le proprie dinamiche esistenziali. Attraverso i delitti tratteggia una cartina del reale e, come spesso si vede fare nei film (lo fece pure Emilio Fede durante un'elezione amministrativa!), punteggiare ogni misfatto con un segno che equivale ad una sconfitta più generale.

David Goodis con C'è del marcio in Vernon Street richiamava l'attenzione (ma era il 1953 e dominava ancora la golden age del giallo che impazziva per trucchetti e camere chiuse ermeticamente dall'interno!) sul ruolo della società nei processi delinquenziali. Cioè a dire, trasformava la responsabilità singola in responsabilità di tutti. Laurent Martin pur accettando questo va oltre, questa stessa consapevolezza la trasforma in un martirio. Anch'esso comune.

Nel libro il poliziotto è anche un insegnante di disegno per ragazzi e bambini disadattati. E per raccontare la loro incapacità di comprendere e coesistere a Martin bastano quattro righe: - Ci ispireremo un po' a Picasso. Farete un paesaggio utilizzando solo linee dritte. Pensate agli alberi, alle colline. Ai campi. Dimenticate le torri, i palazzi. Domande?

- Come sono fatte le colline?


Tremendo. Ma magnifico no?



di Alfredo Ronci


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