RECENSIONI
Rosella Postorino
L'estate che perdemmo Dio
Einaudi stile libero, Pag. 344 Euro 19,00
La bambina si alzò dalla sdraio, salutò con un ciao e andò verso il bagno. Di nuovo diventava una Caterina che non esisteva, e che per anni invece gli altri conobbero come l'unica. Fu così brava che tutti confusero la finzione con la realtà
In queste poche righe si delinea la voce di questo secondo romanzo di Rosella Postorino (che ha esordito nel 2007 con La Stanza di sopra per Neri Pozza), una voce fragile ma inconsapevolmente forte, matura a posteriori, quando "decide" di diventare un racconto.
Caterina , anni prima, affronta una disgrazia di cui non conosce il nome, una disgrazia scandita dalla frase rotta da una mano sulla bocca della zia Nuccia "Chi focu chi 'ndi vinni", "Che fuoco, che inferno ci è toccato" un' eco che continua a lasciare cerchi nel laghetto della sua vita. Ora la morte, dà un nuovo volume a quell'eco e Caterina ha l'ennesimo incendio da vivere con la sua famiglia. La storia prende così una doppia strada, quella del passato e quella del presente.
Tra le dita della dodicenne si muovono come le figurine della Miralanza i volti, le frasi e le storie del padre Salvatore Silvestro (con il pollice spesso, l'unghia squadrata e dura a reggere il peso dei suoi pensieri), della madre Laura (La madre preoccupata, silenziosa in modo teatrale e mesta nella cucina poco assolata, che si ostina sui cruciverba come fossero un castigo, è la donna che non significa nulla senza il suo uomo accanto) e della sorellina Margherita. Nomi che condividono, mangiano e respirano l'aria della protagonista, un'aria di coralità e frasi capite a metà e che hanno il sapore dei segreti, delle bugie che ci si racconta per nascondere la verità ai bambini. Un'aria che ha la salsedine che scricchiola sotto i denti finchè non ci si bagna le labbra con dell'acqua dolce, per pulire il passato fatto di fughe da luoghi sicuri, asciutti, perennemente in bilico tra immaginazione e realtà.
Si scontrano così l'Italia (il sud, il paese e le stradine) con la Svizzera (l'Altitalia), si incontrano nel viaggio il flashback e la storia che si vive, i vivi e i morti. Prima il treno per la fuga dal paese, preso senza capire bene la destinazione o il motivo, ora il treno verso il paese, dove Salvatore sta tornando per un viaggio che non è vacanza non è tregua non è riconciliazione.
Il romanzo ha la coralità verghiana mista al diario della Frank (e l'autrice non nasconde gli omaggi a questi e altri ispiratori) che raccoglie i pensieri del lettore in un lento sciogliersi del paesaggio narrativo, a volte un troppo dilungato nel ritmo (100 pagine in meno avrebbero giovato) che ha il profumo dell'erba tagliata e del raccolto finito.
di Alex Pietrogiacomi
In queste poche righe si delinea la voce di questo secondo romanzo di Rosella Postorino (che ha esordito nel 2007 con La Stanza di sopra per Neri Pozza), una voce fragile ma inconsapevolmente forte, matura a posteriori, quando "decide" di diventare un racconto.
Caterina , anni prima, affronta una disgrazia di cui non conosce il nome, una disgrazia scandita dalla frase rotta da una mano sulla bocca della zia Nuccia "Chi focu chi 'ndi vinni", "Che fuoco, che inferno ci è toccato" un' eco che continua a lasciare cerchi nel laghetto della sua vita. Ora la morte, dà un nuovo volume a quell'eco e Caterina ha l'ennesimo incendio da vivere con la sua famiglia. La storia prende così una doppia strada, quella del passato e quella del presente.
Tra le dita della dodicenne si muovono come le figurine della Miralanza i volti, le frasi e le storie del padre Salvatore Silvestro (con il pollice spesso, l'unghia squadrata e dura a reggere il peso dei suoi pensieri), della madre Laura (La madre preoccupata, silenziosa in modo teatrale e mesta nella cucina poco assolata, che si ostina sui cruciverba come fossero un castigo, è la donna che non significa nulla senza il suo uomo accanto) e della sorellina Margherita. Nomi che condividono, mangiano e respirano l'aria della protagonista, un'aria di coralità e frasi capite a metà e che hanno il sapore dei segreti, delle bugie che ci si racconta per nascondere la verità ai bambini. Un'aria che ha la salsedine che scricchiola sotto i denti finchè non ci si bagna le labbra con dell'acqua dolce, per pulire il passato fatto di fughe da luoghi sicuri, asciutti, perennemente in bilico tra immaginazione e realtà.
Si scontrano così l'Italia (il sud, il paese e le stradine) con la Svizzera (l'Altitalia), si incontrano nel viaggio il flashback e la storia che si vive, i vivi e i morti. Prima il treno per la fuga dal paese, preso senza capire bene la destinazione o il motivo, ora il treno verso il paese, dove Salvatore sta tornando per un viaggio che non è vacanza non è tregua non è riconciliazione.
Il romanzo ha la coralità verghiana mista al diario della Frank (e l'autrice non nasconde gli omaggi a questi e altri ispiratori) che raccoglie i pensieri del lettore in un lento sciogliersi del paesaggio narrativo, a volte un troppo dilungato nel ritmo (100 pagine in meno avrebbero giovato) che ha il profumo dell'erba tagliata e del raccolto finito.
di Alex Pietrogiacomi
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