RECENSIONI
Giuseppe Rizzo
L'invenzione di Palermo
Giulio Perrone editore, Pag. 203 Euro 12,00
L'invenzione del titolo sembrerebbe una gran cosa e sfido chiunque a dire il contrario: un uomo, durante la festa di compleanno della figlia, regala ad alcuni amici delle pistole invitandoli a far fuori quelli che, presumibilmente, stanno loro più sui coglioni. Geniale: se facessero tutti così la società risolverebbe un sacco di problemi anche se avremmo il terreno cosparso di cadaveri.
Operina curiosa questa di tal Giuseppe Rizzo che, note biografiche in terza, ci informa che non ha un blog (sic!). Curiosa innanzi tutto perché c'impone una riflessione, ad un certo punto della lettura, sulla collocazione cronologica. In parole povere: ma che anni sono?
A pag. 99 sospettiamo che siamo alla fine degli anni settanta: Tutta la zona ne odorava, tanto quel paio di chilometri quadrati nei pressi del porto sembrava un cimitero di balene e polipi giganti, arenatisi lì dopo i bombardamenti americani di trent'anni prima, inattesa di chissà quale miracolo o catastrofe ovvero apocalisse definitivi.
Siamo a Palermo e se si parla di bombardamenti americani di trent'anni prima il conto si fa subito. E invece no. A pag. 108 leggiamo: Ebbene, alla soglia degli anni Novanta, c'è ancora chi fa i conti con tutto questo. Un'intera zona di Palermo ha vissuto fino a ieri in condizioni spaventose.
Vabbè, tra la mia valutazione e quella dell'autore c'è una differenza di una decina d'anni o poco più, ma niente che possa far gridare al 'papocchio'.
Ci interessa altro: si diceva operina curiosa, a metà strada tra (e i riferimenti sono solo cinematografici in questo frangente e non letterari) i Brutti sporchi e cattivi di 'scoliana' memoria e il Tano da morire della Roberta Torre: una sorta di cabaret di strada, dove i protagonisti - una famiglia mezza (anzi, tutta) disperata che abita nei dintorni del quartiere Ballarò - si ritrovano a fare i conti con la malvivenza e con gli omicidi. La prima a sparire infatti è la madre, ritrovata 'sparata' e la cui fine sembra legata ad un furto di auto.
Non sto qui ad elencare i misfatti, tanto meno le vicissitudini di questa umanità ai limiti della sopravvivenza: più interessante sembrerebbe il gioco letterario, la dinamica dell'intreccio e l'apparente leggerezza nell'affrontare aspetti sociali, tristemente noti alle pagine di cronaca nera.
Forse è una risposta all'esasperazione sociologica alla Saviano (questo è sempre stato il paese in cui le indagini ed i libri sulle associazioni camorristiche e mafiose hanno mostrato puntuali riscontri ma, come direbbe Altan, non succede mai un cazzo...), forse è una risposta alla deriva autobiografica della letteratura (quella, come direbbe il nostro orco Pier Paolo Di Mino, dove nelle varie esperienze personali non succede mai un cazzo), fatto sta che L'invenzione di Palermo si legge bene, ha un andamento da isteria di massa (pertinente questa no?) e alla fine riesce anche simpatico.
Rimane solo un dubbio (ma è il classico pelo nell'uovo): quanto di quello scritto da questo ventiseienne che non mangia carne (sempre dalla terza di copertina) può essere imputabile ad una conoscenza diretta degli ambienti e quanto invece ad una propensione allo sfruttamento delle leggi di mercato? Perché si sa la Sicilia ha sempre fatto mercato (brutta espressione).
Per la questio si apra un televoto.
di Alfredo Ronci
Operina curiosa questa di tal Giuseppe Rizzo che, note biografiche in terza, ci informa che non ha un blog (sic!). Curiosa innanzi tutto perché c'impone una riflessione, ad un certo punto della lettura, sulla collocazione cronologica. In parole povere: ma che anni sono?
A pag. 99 sospettiamo che siamo alla fine degli anni settanta: Tutta la zona ne odorava, tanto quel paio di chilometri quadrati nei pressi del porto sembrava un cimitero di balene e polipi giganti, arenatisi lì dopo i bombardamenti americani di trent'anni prima, inattesa di chissà quale miracolo o catastrofe ovvero apocalisse definitivi.
Siamo a Palermo e se si parla di bombardamenti americani di trent'anni prima il conto si fa subito. E invece no. A pag. 108 leggiamo: Ebbene, alla soglia degli anni Novanta, c'è ancora chi fa i conti con tutto questo. Un'intera zona di Palermo ha vissuto fino a ieri in condizioni spaventose.
Vabbè, tra la mia valutazione e quella dell'autore c'è una differenza di una decina d'anni o poco più, ma niente che possa far gridare al 'papocchio'.
Ci interessa altro: si diceva operina curiosa, a metà strada tra (e i riferimenti sono solo cinematografici in questo frangente e non letterari) i Brutti sporchi e cattivi di 'scoliana' memoria e il Tano da morire della Roberta Torre: una sorta di cabaret di strada, dove i protagonisti - una famiglia mezza (anzi, tutta) disperata che abita nei dintorni del quartiere Ballarò - si ritrovano a fare i conti con la malvivenza e con gli omicidi. La prima a sparire infatti è la madre, ritrovata 'sparata' e la cui fine sembra legata ad un furto di auto.
Non sto qui ad elencare i misfatti, tanto meno le vicissitudini di questa umanità ai limiti della sopravvivenza: più interessante sembrerebbe il gioco letterario, la dinamica dell'intreccio e l'apparente leggerezza nell'affrontare aspetti sociali, tristemente noti alle pagine di cronaca nera.
Forse è una risposta all'esasperazione sociologica alla Saviano (questo è sempre stato il paese in cui le indagini ed i libri sulle associazioni camorristiche e mafiose hanno mostrato puntuali riscontri ma, come direbbe Altan, non succede mai un cazzo...), forse è una risposta alla deriva autobiografica della letteratura (quella, come direbbe il nostro orco Pier Paolo Di Mino, dove nelle varie esperienze personali non succede mai un cazzo), fatto sta che L'invenzione di Palermo si legge bene, ha un andamento da isteria di massa (pertinente questa no?) e alla fine riesce anche simpatico.
Rimane solo un dubbio (ma è il classico pelo nell'uovo): quanto di quello scritto da questo ventiseienne che non mangia carne (sempre dalla terza di copertina) può essere imputabile ad una conoscenza diretta degli ambienti e quanto invece ad una propensione allo sfruttamento delle leggi di mercato? Perché si sa la Sicilia ha sempre fatto mercato (brutta espressione).
Per la questio si apra un televoto.
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