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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Peter Hoeg

La bambina silenziosa

Mondadori, Pag.407 Euro 18,60
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Ci sono scrittori che con le parole tratteggiano bozzetti o dipingono affreschi: scrittori (e scritti) di tipo visivo. Meno frequente è il tipo uditivo, quello che con la parola suscita vibrazioni ed echi sonori, che stimola emozioni attraverso la musica piuttosto che con il gioco dei colori. E' ciò che fa Peter Hoeg in questo romanzo. Solo lo fa in modo così approfondito e specialistico che per apprezzarlo in pieno si dovrebbe essere appassionati di musica classica, se non addirittura musicisti.

Kasper Krone è un singolare personaggio: clown e saltimbanco di professione, musicista per vocazione, bugiardo per necessità e per abitudine, è dotato di una particolare sensitività che gli consente di cogliere e interpretare le vibrazioni sonore nascoste in ogni essere umano, ma anche di costruirsi una mappa di suoni quale preciso riferimento per orientarsi nel mondo. Possiede infine una predisposizione autolesionistica a perder soldi e a cacciarsi nei guai. Nato e vissuto nel circo, cioè in un microcosmo che è specchio deformante ma veritiero dell'intero universo, ne ha ricevuto un'esperienza così intensa e bruciante che lo fa sentire, a quarantadue anni, precocemente invecchiato eppure mai cresciuto del tutto. E' in cerca di risposte esistenziali, anche se ha già elaborato una sua teoria cosmogonica:

"La Creatrice ha accordato ogni essere umano in una tonalità, e io - il clown Kasper Krone - purtroppo sono in grado di sentirla."

Accompagnato dall'inseparabile violino, da cui riesce a trarre suoni rassicuranti anche nei momenti più critici (braccato dalla polizia, torturato, bendato come una mummia, minacciato di morte) si tuffa in un vortice di avventure sulle tracce di una misteriosa bambina. Gli fa da scenario una Copenaghen spettrale e catastrofica, in cui l'Autore traccia minuziosi percorsi. Credo che per apprezzarlo fino in fondo si dovrebbe essere non solo musicisti, ma musicisti danesi o, per dirla tutta, musicisti danesi residenti a Copenaghen. Più la storia va avanti, più sprofonda in un guazzabuglio dove si intrecciano poteri paranormali, catastrofi geologiche, fondazioni religiose, speculazioni edilizie, amori difficili, esperienze spirituali e folgoranti agnizioni.

Di sicuro manca, fra i tanti difetti, la banalità, perché bisogna riconoscere che Hoeg mantiene uno stile del tutto personale sia nell'uso del linguaggio che nel tessuto narrativo, articolato con una vivacità funambolica appropriata al carattere del protagonista. Qualche volta però il lettore si ritrova col fiato corto nel seguire (senza perdere il filo tra i continui flashback) le peripezie di bambini prodigio e di affaristi senza scrupoli, di suore che sembrano marines e di amanti che sono suore, di autisti mutilati con il dono dell'ubiquità e di malati terminali che vanno all'attacco con le flebo in tasca, di buoni che sembrano cattivi e di cattivi che sembrano buoni, tanto che non si arriva mai a capire del tutto il ruolo che ciascuno ha giocato nella partita. Non sempre la psicologia dei personaggi è presentata in modo da giustificarne le azioni, e qualche colpo di scena lascia disorientati. L'ironia non manca e a volte trapela in dissacranti sferzate, ma non si sa mai fino a che punto invece vada preso sul serio il lato mistico. (Troppo, temo, per i miei gusti.)

Voglio conservare abbastanza umiltà per ammettere che possa trattarsi di un capolavoro da me non compreso. Avrei delle attenuanti: non sono mai stata a Copenaghen e per la musica ho poco orecchio. Devo però dichiarare in tutta sincerità che il romanzo mi ha lasciata molto ma molto perplessa.



di Giovanna Repetto


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