Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » Recensioni » La battaglia di Genova

Pagina dei contenuti


RECENSIONI

Angelo Quattrocchi

La battaglia di Genova

Malatempora, Pag.103 Euro 5,16
immagine
Cominciamo dai fatti di Bolzaneto, dalle violenze inflitte ai manifestanti arrestati: sputi, calci, manganellate, firme estorte sui verbali, insulti razzisti e politici ("comunisti! froci e comunisti!" - chi vi ricorda?), coretti fascisti - e d'altra parte, chi può essere così vile da infliggere tali e tante vessazioni certo di non pagare il dazio (persino quando uccidono nei commissariati li si condanna appena per "eccesso di legittima difesa"), se non le squadracce (post)mussoliniane invaginate nella divisa della repubblica dai tempi di Scelba? Non ci sono le prove, dicono: e ti credo, è tutto avvenuto lontano da testimoni che non fossero violentati o violentatori - delle ragazze riportano di minacce alla loro integrità sessuale. Ma ci sono due categorie di persone che è impossibile convincere dell'inesistenza di tali comportamenti: quelli che li hanno subìti allora, quelli che li hanno subìti prima. Gli altri, che si facciano bastare i filmati dove si vedono i robocop governativi massacrare in tanti uno o una stesa a terra. Difendono la legalità? Così la si difende? Se avessero avuto i carri armati, avrebbero trasformato gli slarghi genovesi in tante succursali della Tien An Men? E' vero: la Cina è vicina. Il Cile anche di più.

E poi: da che parte stava la legalità? I "block" di manifestanti "bianchi" o "rossi" sfilavano nelle regole che disciplinano i cortei autorizzati. I cosiddetti "black bloc" (si dà ragione per scriverne così la sigla) hanno attaccato delle proprietà - non delle persone - e sono anche quelli che sono stati meno (se non affatto) contrastati (cfr. p. 86 e 88/9) : perciò, se scopo della polizia era intervenire sulle violenze, questo fine è stato trascurato rispetto ai reiterati attacchi sugli inermi. Ne deriva che le forze dell'(dis)ordine hanno fatto come il giudice che assolse il ladro e condannò il pollo: invece di perseguire i violenti e i disturbatori, se la sono presa con chi nulla aveva a che fare con loro. Né vale la scusa che i primi infiltrassero i secondi, trovandosi così da questi - non per volere - protetti: non si piglia di petto un inquilinato, se rubarono in un appartamento, neanche se il ladro si celò in cantina, o quella del terzo piano l'ha nascosto perché è la sua ganza.

C'è, dunque, la morte di Carlo Giuliani: che suscita interrogativi empirici e logici. Un punto della dinamica dei fatti è incerto: il "Defender" carabiniero era bloccato da un cassonetto. Al di là se vero sia c'un blindomobile di più d'una tonnellata s'incagli su un cestone di latta, sta che, caduto il ragazzo per il colpo di pistola, l'automezzo ripartì a marcia indietro, schiacciandone il corpo. L'Autore riporta inoltre due fatti: uno a parziale smentita della versione ufficiale, che aveva indicato l'autoblindo come isolato - ma a pochi metri c'era un plotone di carabinieri. L'altro, secondo cui l'estintore che Giuliani impugna proveniva dall'interno del gippone, tirato dai suoi occupanti e non inferto sul vetro antiproiettile dall'esterno. Verifica: una stima sui frammenti di vetro caduti fuori e dentro l'abitacolo. Ci fu? Eppure il dettaglio importa: se il ragazzo brandeggiava un antincendio trovato prima e portato con sé, si può sostenere che attaccasse il veicolo. Al contrario, se avesse raccolto l'antifiamme proiettato fuori dall'auto, si può pensare che lo volesse usare per difendersi o contrattaccare. Riguardo poi all'uso della pistola da parte del carabiniere, si sono viste riprese video precedenti all'omicidio che immortalavano poliziotti intenti a sparare sulla folla - e non in condizioni tali da poter sostenere che questa ne minacciasse la vita. Segno che anche il carabiniere presunto intrappolato nel mezzo fermo (ma come ha fatto poi a muoversi subito dopo?) avrebbe potuto sparare non per salvaguardarsi ma solo nella certezza dell'impunità, o in preda a quegli istinti di rivalsa che nell'uomo libero portano alla giustizia o al perseguimento del boia, in altre fattispecie umane alla vendetta e alla persecuzione degli innocenti.

E comunque: nei fatti di piazza Alimonda, come nella storia del quasi omonimo della vittima, Salvatore Giuliano, di sicuro c'è solo che è morto - e chi l'ha ucciso, pagherà il giusto? E pagheranno gli intrusori della scuola Diaz, che hanno vessato ragazzi e adulti semiaddormentati e indifesi? Pagherano questi uomini la cui altezza morale è testimoniata dalla velocità con cui hanno inventato giubbotti antiproiettile scalfiti da immaginarie lame, e trovato bottiglie molotov che non c'erano? Pagheranno, visto che il ministro leghista della (secondo lui) giustizia, trattenutosi qualche minuto in un ambiente oltre il cui muro si picchiava e insultava, è pronto a offrirsi senza dubbi e senza verifiche come garante della drittura dei poliziotti? Pagheranno, quando il ministro centrosinistro della giustizia, in occasione dei fatti del carcere di Sassari - pestaggi, sevizie, torture, effettuate dai gruppi poi presenti a Genova -, alla spudoratezza dei sindacalisti di questi ceffi, che gli intimavano di farsi gli affari suoi, invece di metterseli sulle ginocchia e prenderli a sculaccioni, li ha qualificati di "umili servi dello stato"? Pagheranno, in un paese dove i poliziotti scendono in piazza con tanto di accendini uso concerto di Blasco non per manifestare il desiderio che le pere marce e le teste ancor più marce che albergano tra loro vengano scacciate, bensì per difenderle, e anzi per protestare vibranti di sdegno sulla pretesa dei giudici di veder chiaro nel loro operato? Ma si sa, in questo paese i magistrati sono considerati "antropologicamente diversi" e insultati da quelli che, non fosse altro che per la carica che ricoprono, dovrebbero aver di loro il massimo rispetto, e fomentarlo - figuriamoci dai "proletari in divisa". Ed è questo il paese, ironizza con verità Marco Travaglio intervistato da Fazio (Fabio), dove la destra accusa la sinistra di essere "collusa con la giustizia", e quella, invece di dire "sì, e ce ne vantiamo", fa di tutto per scrollarsi di dosso questa fama infame. Franti non avrebbe potuto far meglio.

Queste che ho riportato sono solo alcune mie considerazioni sui fatti accaduti nelle giornate del G8 italiano. Restano forse da suggerire al Nostro sagace Seguace due questioni, la maggiore essendo: è utile tutto ciò? Bisognerebbe discorrere a lungo su ciò che è "utile", e a cosa, e a chi: come lettore di Fenoglio, ho incontrato il dubbio e la sua soluzione nelle pagine di quel grande - e a quelle rimando, per chi ritenesse la partecipazione alle resistenze, per quanto vane, innanzitutto una questione privata, di moralità, di coscienza razionale o religiosa, di quella che Gaber definiva "fedeltà a sé stessi".

La minore, è: ma non sarà che è tornato il Sessantotto, e non ce lo vogliono dire? Dico: per un quarto di secolo, ormai, i media - "l'invisibile comanda il visibile", (p. 19), soprattutto quando non si vogliono lasciare tracce - si sono affannati a farci sapere (per esempio) che la classe operaia non esisteva più, che Marx aveva sbagliato tutto, che la gente badava (sacrosanto!) agli affari suoi. Adesso, iniziamo ad accorgerci che gli operai ci sono eccome, e sono sfruttati (non solo a Bananas, nella Negritudine o a Poontang: Michael Moore ci dice (in Stupid white man) che le donne negli USA continuano a guadagnare un terzo in meno degli uomini, e che i salari minimi sono scesi) e ricattati (vedi alle flautate voci "flessibilità, lavoro interinale, downsizing, outsourcing"). Che si verifica una proletarizzazione dei ceti intermedi (ma vedi a contrasto L. Ricolfi, Dossier Italia, il Mulino 2005, pp. 160-6), che i ricchi diventano più ricchi e i poveri pagano pure per loro, e se la pigliano in culo e porto uno. Che, infine, da una parte la disponibilità della gente a opere quali l'adozione a distanza, i programmi di sviluppo, la costruzione di ospedali, e dall'altro la massiccia partecipazione alla piazza e al voto, testimoniano che alle persone il privato l'effimero il trendy il virtuale cominciano a fargliele a peperini. Non sarà che "c'est la lutte finale, groupons-nous et demain, l'Internationale sera le genre humain"? Forse no: ma fra le tante internazionali (dalla giudaica al kominform alla terrorista alla mostruosa) che vengono magnificate dalla stampa, proprio questa viene sminuita come velleitaria, presentata come raffazzonata, vilipesa come utopista. Come mai?

E più: cosa manca a questo sessantotto, per essere il Sessantotto?

Libri come questi, per i fatti esposti, sono al di fuori del gioco leggiero della valutazione orchesca. Nessun giudizio, dunque.





di Marco Lanzòl


icona

CERCA

NEWS

RECENSIONI

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube