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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Maria Messina

La casa nel vicolo

Sellerio, Pag. 191 Euro 8,00
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In occasione dei quarant'anni delle edizioni, la Sellerio rispolvera i suoi cavalli di battaglia (Consolo, Sciascia, Bufalino... e l'immaginifico Geoffrey Holiday Hall): in mezzo a a tanto stormir di fronde (ma che stavolta 'rumoreggiano' ad hoc), Maria Messina, una scrittrice, come diceva Sciascia, pienamente appartenente, dall'umile provincia, alla letteratura europea, sul versante femminile e femminista, che, negli anni a lei contemporanei offriva un'intensa testimonianza letteraria.

Il suo è un romanzo che vibra lieve, ma è come il sasso che trasversalmente è lanciato in acqua: rimbalza in continuazione e poi inabissandosi prolunga le onde di propagazione.

E' una piccola storia di provincia, un dramma della solitudine e dell'incomprensione (nell'introduzione l'editore parlando della scrittura della Messina la confronta con le lezioni di Verga, ma anche di Cechov, di Borgese, della Mansfield; ma perché non vedere nella figura e nella tragedia del giovane Alessio, un dickensiano inno alla conoscenza?), è un quadro terribile della condizione della donna tra la fine dell'ottocento e gli inizi del novecento e che nel suo costrutto rivela, ancora una volta, uno dei motivi dominanti dell'arte narrativa della scrittrice, il legame con la famiglia d'origine.

Perché le vicende delle due sorelle, Antonietta e Nicolina (la prima sposa don Lucio, una sorta di ragioniere di un facoltoso barone, la seconda, per non abbandonare la sorella, la segue nella casa del marito) al di la delle incomprensioni del rapporto parentale, mostrano legami di sangue ferrei ed indistruttibili.

Ma soprattutto una storia di routine: – dice l'uomo-padrone don Lucio – la felicità sta nell'abitudine. Ma sta anche nell'inamovibilità del suo ruolo dominante. Ecco cosa pensa delle due sorelle: Le voleva custodire. Le voleva formare lui, a suo modo, docili, semplici, ignoranti, senza desideri, come debbono essere le donne.

Don Lucio è una sorta di Luca Cupiello, nel senso che non s'accorge delle tragedie silenziose che avvengono in famiglia (e quando se ne accorge non ha gli strumenti per elaborarle: il suicidio di suo figlio Alessio – pensa - è solo un atto di una persona molto debole), anche se rispetto al guardiano della commedia di Eduardo, è un totem inamovibile e l'emblema autoritario di una mondo che ormai non c'è più.

La casa nel vicolo, cioè l'abitazione del 'ragioniere' dove mestamente e terribilmente si spengono le vite delle due sorelle, è un piccolo grande romanzo, dove al di là delle attente considerazioni di una scrittura , come da più parti si è detto, 'femminista' rivela la sua grandezza nella compostezza linguistica e nella totale adesione a dettagli insignificanti, ma per certi versi luminosi.

L'episodio dell'uscita della famiglia (Alessio, le due sorelline, la mamma e la zia, ma non don Lucio) che si concede, dopo anni di forzata clausura, una giornata al mare, simboleggia non solo il tentativo di una rinascita esistenziale, ma una partecipazione convinta all'importanza dell'attimo.

Dobbiamo a Sciascia la riscoperta, negli anni ottanta, di questo romanzo e della produzione della Messina: ri-dobbiamo a Sellerio, grazie anche al quarantesimo delle edizioni, la riproposta di un piccolo classico. Forse una meteora, ma gesummioche luce che ha lasciato!



di Alfredo Ronci


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