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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Armin Greder

La città

Orecchio Acerbo, Pag. 36 Euro 16,00
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Armin Greder ha due grandi baffi ricurvi da santo (o da disperato) che sono già tutta la sua professione di artista; professione, ovvio, di fede.

Infatti, cosa nella sua opera (che con questo La città arriva a constare di due tomi); cosa non dà, con spudoratezza e radicalità, nel sacro?

E, del resto, cosa è il sacro se non questo essere radicali e privi di pudore: questa disponibilità, libera dagli impacci della morale, al massacro: sacro è il ladro che viene nominato re per un giorno nei misteri di Nemi; sacri sono gli invasati nell'orgia e i primi cristiani che si immolavano nella rivolta (e cantava, quindi, il Ferretti che nel giorno magico della fusione serve il potere, la ribellione).

Infatti. Infatti si prenda questa storia tutta inclinata, verticalissima, spinta nelle regioni dello spirito. Una storia di mistica misoginia, in cui un figlio riesce a rinnegare la propria madre ("Che ho da fare con te, donna?"ebbe modo di dire il Nazareno alla mamma durante le famose nozze a Cana, Giovanni 2,4), e a vincerne perfino il fantasma: il richiamo suasorio del benessere, del conforto, della protezione e della paranoia della madre; a vincere l'invenzione della paura a difesa di queste illusioni.

Il figlio seppellisce la madre e, alla fine di questo viaggio che sembra preso da una moralità del più fiorito medioevo, combatte con un lupo per capire che il lupo (così come la materia a cui faceva da baluardo) non esiste: e che quello che rimane è solo la nostra necessità, pura e archetipica, di guerra; una guerra che va salvata dalle necessità della materia.

E poi il premio finale, che potrebbe essere variamente figurato nella scoperta di un tesoro, nella conquista di un regno e che qui, con casualità palese e deliberata, è rappresentata dall'arrivo in una città.

Una storia essenziale: tutto essere.

Ed essenziali sono anche i mezzi letterari che Greder impiega per narrare questa storia: poche frasi (forse qualcuna di troppo) che servono a fare emerge delle immagini dense ed esatte, in cui la poesia è sempre tesa, concentrata ad esprimere un concetto: l'amore morboso, la cura, la custodia, la paura, la fuga e via dicendo, immagine dopo immagine.

In poesia ogni parola è un fatto, e il verso è lo spazio in cui si apre e chiudo tutto il creato, e Greder possiede veramente questa arte.

Un arte, prima di tutto, del ritmo: ed ecco la sapienza che Greder sa adoperare nell'alternanza di sequenze quaternarie e di visioni d'insieme.

Da una parte gruppi di piccole figure chiuse ed ossessive dove il quattro, il quadrato, ancora una volta è segno della mater materia; e, dall'altra grandi, uniche, totali visioni che aprono violenti scorci sull'Altro, con la sua solitudine, il suo smarrimento e il suo richiamo alla lotta.

Così Greder contrappone con nettezza piccole figure nere, incise con un tratto espressionista e ingenuo, a grandi insiemi, dati per slancio visivo: visioni in cui i bianchi e neri rendono impressionisticamente il panorama esaltato dell'anima.

E il lettore preso fra questi due poli, uno microscopico e parvificente, l'altro macroscopico e magnificente, si trova nel vivo della tragedia umana.

Scoprirsi protagonisti, eroi, di una tragedia: forse è questa l'unica cosa che può redimere la nostra vita.





di Pier Paolo Di Mino


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