RECENSIONI
Salvador Dalì
La droga sono io – pensieri di un eccentrico
Castelvecchi, Pag. 158 Euro15.00
Dalì nudo in contemplazione davanti a cinque corpi regolari metamorfizzati in corpuscoli, nei quali appare improvvisamente la Leda di Leonardo cromosomatizzata nel viso di Gala l'autoritratto che Dalì realizzò nel 1954 mi ha sempre affascinato. Al di là delle mie conoscenze dell'Arte in genere vedo nel quadro un'anticipazione di temi, sequenze ed immagini che in seguito, ma molto dopo, il cinema avrebbe utilizzato a man bassa.
Vi è poi un altro elemento indiscutibile del "genio" spagnolo: Gala; la donna che sposerà in seguito e che come musa ispiratrice, ma più probabile come compagna, ne caratterizzerà l'esistenza.
In questi pensieri eccentrici, che presi con le pinze assumono il valore di una testimonianza insolita e suggestiva, ma che "ritrattati" col senno di poi possono scatenare qualche resistenza e qualche contrarietà, Gala appunto è quasi onnipresente, sia quando Dalì ne decanta le virtù intellettuali, confessando pure un amore smisurato (Amo Gala più di quanto ami mia madre, più di quanto amo mio padre, più di Ricasso e anche più dei soldi), sia quando esalta attitudini non propriamente femminili (Sono contento di annunciare che il futuro dell'Umanità sarà dei più meravigliosi, e questo grazie a una cosa che preserverà lo spirituale dal disastro: i peti di Gala, mia moglie).
Ma sono definizioni, pur se tremendamente sentite, in contraddizioni con la sua smisurata misoginia, dove l'altra parte del cielo è solo un'ombra di uno snobismo eccentrico e a volte fasullo.
Diciamocelo: di questi tempi Dalì non farebbe vita, o meglio, preso lui stesso nelle maglie di un narcisismo fine a se stesso, avrebbe gli onori solo nella vacuità di un'esposizione mediatica che finirebbe col logorarlo.
Fu una figura importante e quasi rivoluzionaria, e anche in questi pensieri a singhiozzo e in queste riflessioni mai pacate, ma spinte da un eccesso fuorviante, vi si riscontra una guittezza ingegnosa a volte sublime: Non sono io il pagliaccio, ma lo è questa società mostruosamente cinica e così ingenuamente incosciente che gioca a fingere di esser seria per meglio nascondere la propria follia. Oppure... E' chiaro che Monna Lisa affascina tutti i tipi edipici. E' il prototipo ideale della bellezza materna, e il suo celebre sorriso enigmatico non è nient'altro che l'imperscrutabile sfinge davanti alla quale tutti i figli iperdipendenti vanno a deporre la propria ansia.
Scorre in questo sapido e lapidario "recuil des maximes" una vena freudiana (a cominciare dall'ossessione scatologica che forse lambisce le teorie psicanalitiche di Groddeck) persistente e quasi traboccante tanto che poi la stessa, pensiamo noi, fu la molla che lo portò, e non poteva essere altrimenti, a confrontarsi col cinema (che non amava affatto) surrealista di Buñuel (realizzarono nel 1928 Un chien andalou) e con quello ossessivo e pieno di incubi di Hithcock (alcune scene de Io ti salverò).
Insomma in parole povere: La droga sono io (messaggio, se vogliamo, deliziosamente in linea con le direttive del nostro Ministero della Salute e potrebbe a questo punto essere preso come slogan e distribuito nelle scuole di ogni ordine e grado) è una contraddittoria antologia di pensieri, dove all'acuto arguto spesso si contrappone un indisponente "bernoccolo" reazionario.
Sarà così per tutti i genii?
di Alfredo Ronci
Vi è poi un altro elemento indiscutibile del "genio" spagnolo: Gala; la donna che sposerà in seguito e che come musa ispiratrice, ma più probabile come compagna, ne caratterizzerà l'esistenza.
In questi pensieri eccentrici, che presi con le pinze assumono il valore di una testimonianza insolita e suggestiva, ma che "ritrattati" col senno di poi possono scatenare qualche resistenza e qualche contrarietà, Gala appunto è quasi onnipresente, sia quando Dalì ne decanta le virtù intellettuali, confessando pure un amore smisurato (Amo Gala più di quanto ami mia madre, più di quanto amo mio padre, più di Ricasso e anche più dei soldi), sia quando esalta attitudini non propriamente femminili (Sono contento di annunciare che il futuro dell'Umanità sarà dei più meravigliosi, e questo grazie a una cosa che preserverà lo spirituale dal disastro: i peti di Gala, mia moglie).
Ma sono definizioni, pur se tremendamente sentite, in contraddizioni con la sua smisurata misoginia, dove l'altra parte del cielo è solo un'ombra di uno snobismo eccentrico e a volte fasullo.
Diciamocelo: di questi tempi Dalì non farebbe vita, o meglio, preso lui stesso nelle maglie di un narcisismo fine a se stesso, avrebbe gli onori solo nella vacuità di un'esposizione mediatica che finirebbe col logorarlo.
Fu una figura importante e quasi rivoluzionaria, e anche in questi pensieri a singhiozzo e in queste riflessioni mai pacate, ma spinte da un eccesso fuorviante, vi si riscontra una guittezza ingegnosa a volte sublime: Non sono io il pagliaccio, ma lo è questa società mostruosamente cinica e così ingenuamente incosciente che gioca a fingere di esser seria per meglio nascondere la propria follia. Oppure... E' chiaro che Monna Lisa affascina tutti i tipi edipici. E' il prototipo ideale della bellezza materna, e il suo celebre sorriso enigmatico non è nient'altro che l'imperscrutabile sfinge davanti alla quale tutti i figli iperdipendenti vanno a deporre la propria ansia.
Scorre in questo sapido e lapidario "recuil des maximes" una vena freudiana (a cominciare dall'ossessione scatologica che forse lambisce le teorie psicanalitiche di Groddeck) persistente e quasi traboccante tanto che poi la stessa, pensiamo noi, fu la molla che lo portò, e non poteva essere altrimenti, a confrontarsi col cinema (che non amava affatto) surrealista di Buñuel (realizzarono nel 1928 Un chien andalou) e con quello ossessivo e pieno di incubi di Hithcock (alcune scene de Io ti salverò).
Insomma in parole povere: La droga sono io (messaggio, se vogliamo, deliziosamente in linea con le direttive del nostro Ministero della Salute e potrebbe a questo punto essere preso come slogan e distribuito nelle scuole di ogni ordine e grado) è una contraddittoria antologia di pensieri, dove all'acuto arguto spesso si contrappone un indisponente "bernoccolo" reazionario.
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