RECENSIONI
Vittorio Giacopini
La mappa
Il Saggiatore, Pag. 336 Euro18,00
Non sempre i romanzi storici mi convincono. A volte sono come quei cattivi restauri che ricostruiscono falsamente le parti mancanti di un’opera d’arte, senza che si possa più capire che cosa davvero apparteneva all’originale. Da questo rischio si salva per un pelo Giacopini, anche se lo sfiora pericolosamente, perché con il suo romanzo entra nel vivo della Storia e ne tocca i protagonisti, tenendo i suoi personaggi di fantasia su un filo di rasoio tra realtà e finzione. Tuttavia, in virtù dell’accurata documentazione sui fatti e sul loro contesto, riesce a dar conto al lettore della realtà storica (o per lo meno quella delle fonti, le quali non sempre, per ovvie ragioni politiche, hanno il pregio della sincerità, ma si disvelano poi nel confronto). Si parla di Napoleone e delle sue Campagne più o meno fortunate, soprattutto della Campagna d’Italia con la nascita della Repubblica Cisalpina, ma anche dell’Egitto e della tragica Campagna di Russia. Il protagonista, il cartografo Serge Victor incaricato di documentare su una grande mappa le conquiste di Napoleone, accetta con entusiasmo l’incarico pensando che alla sua vittoriosa avanzata corrisponda l’avanzata della civiltà e dei principi dell’Illuminismo. Nella sua formazione Serge è arrivato a fare della cartografia una filosofia di vita che implica ordine e chiarezza.
Quel che sognava, che continuava a sognare, cocciutamente, era un orizzonte sgombro da nebulosità, passioni, incerti, incognite, e in questo senso l’ideale che gli si andava segretamente ormai formando in testa era una specie di singolare assioma, o di Utopia. Una mappa perfetta (…) supera l’originale, lo surclassa.
Entusiasmo e devozione alla causa lo portano a imbarcarsi in una lunga avventura al servizio di Napoleone e della Francia rivoluzionaria, l’uno e l’altra rappresentati dal commissario politico Antoine Cristophe Saliceti, personaggio storico che nel romanzo acquista particolare rilievo. Politico abile e onnisciente, sempre a galla nonostante i cambiamenti di governo, misterioso e segreto ai limiti del losco, è lui che fa da tramite, che impartisce gli ordini e che regge le fila di manovre sempre più imprevedibili, fino al punto in cui Serge si rende conto che i suoi ideali sono stati traditi, e che il progetto di Napoleone, volto alla liberazione dei popoli oppressi, assomiglia sempre di più a una guerra di conquista. Il giovane cartografo compie così un doloroso percorso di maturazione in cui gli si affiancano a volte pittoreschi compagni. Fra questi il poeta e patriota romantico Diego Guicciardi, compagno di baldorie e di animate discussioni. E la bella Zoraide detta la Maga perché, nelle sue multiformi espressioni artistiche, antepone ai lumi le penombre di un gusto gotico. Non mancano due buffi tipi a caccia di fiabe, in cui si ravvisano i fratelli Grimm. Tutte figure che interagiscono con lui come fossero i termini di un dibattito interiore fra dubbi e certezze, fra ragione e sentimento, nel franare di una realtà in cui il nuovo invecchia rapidamente cedendo a un nuovissimo che è poi un ritorno all’antico.
Accortamente l’Autore evita di soffermarsi troppo direttamente sulla figura di Napoleone, lasciando che la sua ombra incomba su tutta la storia del protagonista quasi solo attraverso citazioni di fonti più o meno ufficiali.
Un aspetto interessante è che per scrivere questo libro Giacopini ha inventato apposta un linguaggio. Né moderno né antico, ha dell’antico il sapore senza subirne le regole. Linguaggio baroccheggiante, immaginifico, che gronda di compiaciute ridondanze. Quasi un beffardo paradosso, riferito alla storia di un cultore della geometrica precisione come Serge Victor il cartografo. Eppure adattissimo, visto che questa storia è una storia di antinomie. Una scelta non facile da portare avanti per più di trecento pagine, ma l’Autore regge la sfida, padroneggia lo strumento, e ne trae gustosissime pennellate nel tratteggiare i tipi umani e i paesaggi. Di questi ultimi bisogna parlare perché danno origine a pagine particolarmente ispirate e suggestive, in cui la descrizione è condotta secondo quell’approccio che distinse il romanticismo da tutto ciò che lo precedeva. Vale a dire che il paesaggio diventa proiezione e specchio degli stati d’animo.
Camminava per gli sbozzati argini renosi senza particolare fretta di una meta. Incongruenti paesaggi lo accerchiavano smentendosi a vicenda l’uno con l’altro. Vescicolare, viscida e insinuante, carezzevole, solo la nebbia si manteneva uniforme come un velo di bava addosso al fiume. Questo estenuante muoversi tra caligini e brume, foschie, questo obbligato avanzare nell’umido (…) ci si stava acconciando, si abituava.
Ancora più struggente la presenza del paesaggio nel racconto della Campagna di Russia, dove la desolazione degli spazi è presagio di disfatta e disperazione. Descrizioni ampie e di grande respiro, senza fretta, che lasciano il tempo di calarsi nell’ambiente e sentire a pelle le suggestioni del clima. Ma lo stile poi si impenna e diventa concitato nel ritmo delle battaglie.
Quando ormai la legione austriaca s’era fatta al centro della piana di Marengo sicura padrona del campo di battaglia, improvvisa un’esplosione, devastante. Un carro di munizioni salta in aria. L’imberbe Kellerman, generale francese, cavallerizzo, vede tutto e ne approfitta, senza indugi. Nitriti dalla fila dei pioppi poco discosti e la carica degli ussari, incontenibile, sul fianco sinistro della colonna austriaca. In due fila, per breve tratto al trotto, ora al galoppo, quattrocento cavalieri, spade puntate contro forze soverchianti, però sorprese.
Nell’insieme è operazione ambiziosa e temeraria, quella di Giacopini, ma in definitiva convincente.
di Giovanna Repetto
Quel che sognava, che continuava a sognare, cocciutamente, era un orizzonte sgombro da nebulosità, passioni, incerti, incognite, e in questo senso l’ideale che gli si andava segretamente ormai formando in testa era una specie di singolare assioma, o di Utopia. Una mappa perfetta (…) supera l’originale, lo surclassa.
Entusiasmo e devozione alla causa lo portano a imbarcarsi in una lunga avventura al servizio di Napoleone e della Francia rivoluzionaria, l’uno e l’altra rappresentati dal commissario politico Antoine Cristophe Saliceti, personaggio storico che nel romanzo acquista particolare rilievo. Politico abile e onnisciente, sempre a galla nonostante i cambiamenti di governo, misterioso e segreto ai limiti del losco, è lui che fa da tramite, che impartisce gli ordini e che regge le fila di manovre sempre più imprevedibili, fino al punto in cui Serge si rende conto che i suoi ideali sono stati traditi, e che il progetto di Napoleone, volto alla liberazione dei popoli oppressi, assomiglia sempre di più a una guerra di conquista. Il giovane cartografo compie così un doloroso percorso di maturazione in cui gli si affiancano a volte pittoreschi compagni. Fra questi il poeta e patriota romantico Diego Guicciardi, compagno di baldorie e di animate discussioni. E la bella Zoraide detta la Maga perché, nelle sue multiformi espressioni artistiche, antepone ai lumi le penombre di un gusto gotico. Non mancano due buffi tipi a caccia di fiabe, in cui si ravvisano i fratelli Grimm. Tutte figure che interagiscono con lui come fossero i termini di un dibattito interiore fra dubbi e certezze, fra ragione e sentimento, nel franare di una realtà in cui il nuovo invecchia rapidamente cedendo a un nuovissimo che è poi un ritorno all’antico.
Accortamente l’Autore evita di soffermarsi troppo direttamente sulla figura di Napoleone, lasciando che la sua ombra incomba su tutta la storia del protagonista quasi solo attraverso citazioni di fonti più o meno ufficiali.
Un aspetto interessante è che per scrivere questo libro Giacopini ha inventato apposta un linguaggio. Né moderno né antico, ha dell’antico il sapore senza subirne le regole. Linguaggio baroccheggiante, immaginifico, che gronda di compiaciute ridondanze. Quasi un beffardo paradosso, riferito alla storia di un cultore della geometrica precisione come Serge Victor il cartografo. Eppure adattissimo, visto che questa storia è una storia di antinomie. Una scelta non facile da portare avanti per più di trecento pagine, ma l’Autore regge la sfida, padroneggia lo strumento, e ne trae gustosissime pennellate nel tratteggiare i tipi umani e i paesaggi. Di questi ultimi bisogna parlare perché danno origine a pagine particolarmente ispirate e suggestive, in cui la descrizione è condotta secondo quell’approccio che distinse il romanticismo da tutto ciò che lo precedeva. Vale a dire che il paesaggio diventa proiezione e specchio degli stati d’animo.
Camminava per gli sbozzati argini renosi senza particolare fretta di una meta. Incongruenti paesaggi lo accerchiavano smentendosi a vicenda l’uno con l’altro. Vescicolare, viscida e insinuante, carezzevole, solo la nebbia si manteneva uniforme come un velo di bava addosso al fiume. Questo estenuante muoversi tra caligini e brume, foschie, questo obbligato avanzare nell’umido (…) ci si stava acconciando, si abituava.
Ancora più struggente la presenza del paesaggio nel racconto della Campagna di Russia, dove la desolazione degli spazi è presagio di disfatta e disperazione. Descrizioni ampie e di grande respiro, senza fretta, che lasciano il tempo di calarsi nell’ambiente e sentire a pelle le suggestioni del clima. Ma lo stile poi si impenna e diventa concitato nel ritmo delle battaglie.
Quando ormai la legione austriaca s’era fatta al centro della piana di Marengo sicura padrona del campo di battaglia, improvvisa un’esplosione, devastante. Un carro di munizioni salta in aria. L’imberbe Kellerman, generale francese, cavallerizzo, vede tutto e ne approfitta, senza indugi. Nitriti dalla fila dei pioppi poco discosti e la carica degli ussari, incontenibile, sul fianco sinistro della colonna austriaca. In due fila, per breve tratto al trotto, ora al galoppo, quattrocento cavalieri, spade puntate contro forze soverchianti, però sorprese.
Nell’insieme è operazione ambiziosa e temeraria, quella di Giacopini, ma in definitiva convincente.
di Giovanna Repetto
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