RECENSIONI
Bernhard Schlink
La nostalgia del ritorno
Garzanti, Pag. 275 Euro 18,60
Ora: che direste se uno scrittore scrive una storia nella storia, ma l'approccio stilistico dei due piani fosse lo stesso? Mi spiego meglio: se io racconto di me e poi immagino di far raccontare la mia storia ad un altro per quale motivo dovrei usare lo stesso metro linguistico?
Problema di non poco conto, sui cui personalmente, e da un po' di tempo, sbatto la testa.
Perché è evidente che la letteratura di oggi questo offre: un'assoluta omogeneizzazione non solo dei contenuti (diatriba che ormai ha stufato: ma perché si scrive solo di noir?), ma anche della lingua riportata.
Insomma i protagonisti dei romanzi contemporanei, nonostante gli idiomi, i dialetti, le cadenze e chissà quale altra specificità, parlano e dialogano tutti allo stesso modo. Tranne eccezioni che, come si sa (altra risaputezza) confermano la regola.
Non evita simil fossato nemmeno Bernhard Schlink, scrittore di Cermania (come direbbe Benedetto sedicesimo o il franz tedesco di villaggiana memoria).
Dice a pag. 115: "Sono del parere", continuai, "che quando si siano vissute personalmente certe esperienze le si racconti poi anche con precisione. Non si fanno scorrere i fiumi siberiani verso sud anziché verso nord. Non si fanno parlare soldati nel gergo dei personaggi dei romanzi e del cinema. Oppure sì? Che l'autore abbia voluto somministrare ai lettori dei cliché?"
A sto punto direi proprio di sì, perché altrimenti non si spiega come mai il protagonista di questo romanzo si trovi di fronte ad un manoscritto anonimo il cui contenuto, guarda caso è scritto con lo stesso stile e proprietà di linguaggio con cui lui sottolinea le "sue" di storie.
E' giusto che se tu incontri un coatto e lo devi riportare all'interno di un racconto, questi si esprima col suo gergo piuttosto che con un italiano azzardato, poco convincente ed improprio?
Certo che è giusto.
A Schlink viene il dubbio, ma poi cade sulla classica (risaputezza) buccia di banana.
Ma al di là della vexata questio com'è il romanzo?
Dio santo, non c'ho capito una mazza. Meglio, non è che si debba capire qualcosa, ma la vicenda mi pare slabbrata, unita con lo spago, così come fanno i cuochi improvvisati quando cucinano i piccioni ripieni (una volta li mangiavo, ora sono vegetariano).
'Sto tizio, da ragazzino, frequenta i nonni i quali correggono le bozze di manoscritti. Per caso ne legge uno, racconta la storia di un uomo che ritornando dalla guerra, e creduto morto, trova la moglie con un altro. Qui s'interrompe la scrittura, ma non la voglia del protagonista di capire come è andata a finire. Quali sviluppi ha potuto avere l'improvvido triangolo. (Ma non faceva prima Schlink a vedersi il film di Totò Letto a tre piazze, la cui trama è straordinariamente simile?).
Indaga che ti indaga, sempre 'sto tizio scopre che l'autore è probabilmente un professore che insegna negli Stati Uniti, che ha un cognome molto simile a lui, e che in effetti è il padre che era creduto (pure lui!) morto in guerra e che fa esperimenti di terrorismo-psicologico al quale è sottoposto lo stesso protagonista quando decide di raggiungere gli States per far pagare al presunto padre le colpe di aver abbandonato un figlio.
Chiaro no? Insomma. Mica è sempre vero che Caput imperare, non pedes (A comandare è la testa, non i piedi).
di Alfredo Ronci
Problema di non poco conto, sui cui personalmente, e da un po' di tempo, sbatto la testa.
Perché è evidente che la letteratura di oggi questo offre: un'assoluta omogeneizzazione non solo dei contenuti (diatriba che ormai ha stufato: ma perché si scrive solo di noir?), ma anche della lingua riportata.
Insomma i protagonisti dei romanzi contemporanei, nonostante gli idiomi, i dialetti, le cadenze e chissà quale altra specificità, parlano e dialogano tutti allo stesso modo. Tranne eccezioni che, come si sa (altra risaputezza) confermano la regola.
Non evita simil fossato nemmeno Bernhard Schlink, scrittore di Cermania (come direbbe Benedetto sedicesimo o il franz tedesco di villaggiana memoria).
Dice a pag. 115: "Sono del parere", continuai, "che quando si siano vissute personalmente certe esperienze le si racconti poi anche con precisione. Non si fanno scorrere i fiumi siberiani verso sud anziché verso nord. Non si fanno parlare soldati nel gergo dei personaggi dei romanzi e del cinema. Oppure sì? Che l'autore abbia voluto somministrare ai lettori dei cliché?"
A sto punto direi proprio di sì, perché altrimenti non si spiega come mai il protagonista di questo romanzo si trovi di fronte ad un manoscritto anonimo il cui contenuto, guarda caso è scritto con lo stesso stile e proprietà di linguaggio con cui lui sottolinea le "sue" di storie.
E' giusto che se tu incontri un coatto e lo devi riportare all'interno di un racconto, questi si esprima col suo gergo piuttosto che con un italiano azzardato, poco convincente ed improprio?
Certo che è giusto.
A Schlink viene il dubbio, ma poi cade sulla classica (risaputezza) buccia di banana.
Ma al di là della vexata questio com'è il romanzo?
Dio santo, non c'ho capito una mazza. Meglio, non è che si debba capire qualcosa, ma la vicenda mi pare slabbrata, unita con lo spago, così come fanno i cuochi improvvisati quando cucinano i piccioni ripieni (una volta li mangiavo, ora sono vegetariano).
'Sto tizio, da ragazzino, frequenta i nonni i quali correggono le bozze di manoscritti. Per caso ne legge uno, racconta la storia di un uomo che ritornando dalla guerra, e creduto morto, trova la moglie con un altro. Qui s'interrompe la scrittura, ma non la voglia del protagonista di capire come è andata a finire. Quali sviluppi ha potuto avere l'improvvido triangolo. (Ma non faceva prima Schlink a vedersi il film di Totò Letto a tre piazze, la cui trama è straordinariamente simile?).
Indaga che ti indaga, sempre 'sto tizio scopre che l'autore è probabilmente un professore che insegna negli Stati Uniti, che ha un cognome molto simile a lui, e che in effetti è il padre che era creduto (pure lui!) morto in guerra e che fa esperimenti di terrorismo-psicologico al quale è sottoposto lo stesso protagonista quando decide di raggiungere gli States per far pagare al presunto padre le colpe di aver abbandonato un figlio.
Chiaro no? Insomma. Mica è sempre vero che Caput imperare, non pedes (A comandare è la testa, non i piedi).
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