RECENSIONI
Camilla Läckberg
La principessa di ghiaccio
Marsilio, Pag. 458 Euro 18,50
La trans nella terza di copertina è stata definita la nuova Agatha Christie (si celia, ovviamente, ma l'aspetto da trans, col suo sguardo da cerbiatta persa, ce l'ha davvero). Com'è che si dice dalle nostre parti? Troppo hai da cavalcare.
La regina del delitto, per sua stessa ammissione, si definiva un'onesta artigiana: vero. Perché diciamocelo, la Christie non è che fosse una grande scrittrice. Il suo vocabolario, il suo stile ed il suo incedere narrativo erano da tema riuscito di un alunno di terza media, al massimo và, un quarto ginnasiale. Quel che contava era tutt'altro: l'arte del depistaggio. E in questo tutt'ora è ineguagliata.
E non mi si venga a dire che è imbattuta solo perché è finita la golden age del giallo. Ma figuriamoci: molti dei noir (o thriller) tanto sbandierati dal mercato sono in realtà storie prese dall'armamentario dell'omicidio più casalingo e vecchia maniera. Rimane comunque ineguagliata.
Il romanzo della trans Läckberg è proprio questo: è il tipico canovaccio di una vecchia scuola che ha avuto come capostipiti più che il mistery psicologico e l'esercito di scrittori che ci si è dedicato, il giallo all'inglese, quello per cui negli anni quaranta e cinquanta si faceva letteralmente a a cazzotti per poter produrre la miglior trama e il miglior inganno (e poi succedevano i casini: come quello che vide confrontarsi la Patricia Highsmith e Nicholas Blake, poeta e giallista e padre dell'attore Daniel Day Lewis, che praticamente, nel tentativo di stupire un pubblico avvezzo alle cose mirabolanti, si ritrovarono a scrivere la stessa storia e poi a scusarci vicendevolmente).
La Läckberg ha scritto un romanzo alla Agatha Christie, ma non è, per ovvie ragioni, soprattutto letterarie, la regina del giallo. Di più: ha adottato la sua stessa tecnica, quella, come si diceva pocanzi, dell'arte del depistaggio (concetto di per sé facile, ma in realtà non proprio elementare. Perché a dirlo non ci vuole molto, ma comprendere il meccanismo 'principe'della regina del delitto, ed identificarlo nel momento giusto durante la lettura di un suo romanzo, è cosa assai diversa e molto più complicata. Lo si riconosce dopo aver letto almeno una ventina di suoi gialli), e questo fa intuire da che parte si 'butta' la scrittrice svedese (chi è che ha detto che in Svezia o si suicidano o si scrivono thriller? Un genio secondo me!) e quali sono le sue intenzioni e il suo modo di fare letteratura.
Poche righe sulla trama: Erica Falck torna nel suo paesello d'origine (sì, quelli freddi, tristi e malinconici e tipicamente scandinavi), ma ha la disgrazia di trovare il corpo di una sua vecchia amica nella sua casa, che non riscaldata è diventata una ghiacciaia, ed immerso in una vasca da bagno. Situazione che induce il traduttore italiano a titolare il romanzo: La principessa di ghiaccio.
Erica però non è convinta che si tratti di suicidio e in coppia con il poliziotto Patrick Hedstrom cerca di scoprire cosa si nasconde dietro la morte di una persona che credeva di conoscere.
E tra un tintinnar di spade (poche in realtà) e uno di ceramiche da the (questo sì, ci manca il trine, il pizzo ed il colloquiare post-coloniale della Christie) si arriva, con un pizzico di suspense, alla soluzione finale.
Prodotto assolutamente medio per una scrittrice che stilisticamente sa piazzare con disarmante ingenuità narrativa il soggetto al posto giusto, pure il verbo e il complemento oggetto e in un impeto improvviso di avanguardia letteraria, pure qualche avverbio di modo e di tempo.
Dunque: non svenatevi a considerare il romanzo un gioiello nella letteratura scandinava di genere (come scritto nella quarta di copertina). La Läckberg è un'onesta mestierante. Ops. Un'onesta artigiana. Ma solo in questo la si può accostare alla grande Agatha Christie. Punto.
E accapo.
di Alfredo Ronci
La regina del delitto, per sua stessa ammissione, si definiva un'onesta artigiana: vero. Perché diciamocelo, la Christie non è che fosse una grande scrittrice. Il suo vocabolario, il suo stile ed il suo incedere narrativo erano da tema riuscito di un alunno di terza media, al massimo và, un quarto ginnasiale. Quel che contava era tutt'altro: l'arte del depistaggio. E in questo tutt'ora è ineguagliata.
E non mi si venga a dire che è imbattuta solo perché è finita la golden age del giallo. Ma figuriamoci: molti dei noir (o thriller) tanto sbandierati dal mercato sono in realtà storie prese dall'armamentario dell'omicidio più casalingo e vecchia maniera. Rimane comunque ineguagliata.
Il romanzo della trans Läckberg è proprio questo: è il tipico canovaccio di una vecchia scuola che ha avuto come capostipiti più che il mistery psicologico e l'esercito di scrittori che ci si è dedicato, il giallo all'inglese, quello per cui negli anni quaranta e cinquanta si faceva letteralmente a a cazzotti per poter produrre la miglior trama e il miglior inganno (e poi succedevano i casini: come quello che vide confrontarsi la Patricia Highsmith e Nicholas Blake, poeta e giallista e padre dell'attore Daniel Day Lewis, che praticamente, nel tentativo di stupire un pubblico avvezzo alle cose mirabolanti, si ritrovarono a scrivere la stessa storia e poi a scusarci vicendevolmente).
La Läckberg ha scritto un romanzo alla Agatha Christie, ma non è, per ovvie ragioni, soprattutto letterarie, la regina del giallo. Di più: ha adottato la sua stessa tecnica, quella, come si diceva pocanzi, dell'arte del depistaggio (concetto di per sé facile, ma in realtà non proprio elementare. Perché a dirlo non ci vuole molto, ma comprendere il meccanismo 'principe'della regina del delitto, ed identificarlo nel momento giusto durante la lettura di un suo romanzo, è cosa assai diversa e molto più complicata. Lo si riconosce dopo aver letto almeno una ventina di suoi gialli), e questo fa intuire da che parte si 'butta' la scrittrice svedese (chi è che ha detto che in Svezia o si suicidano o si scrivono thriller? Un genio secondo me!) e quali sono le sue intenzioni e il suo modo di fare letteratura.
Poche righe sulla trama: Erica Falck torna nel suo paesello d'origine (sì, quelli freddi, tristi e malinconici e tipicamente scandinavi), ma ha la disgrazia di trovare il corpo di una sua vecchia amica nella sua casa, che non riscaldata è diventata una ghiacciaia, ed immerso in una vasca da bagno. Situazione che induce il traduttore italiano a titolare il romanzo: La principessa di ghiaccio.
Erica però non è convinta che si tratti di suicidio e in coppia con il poliziotto Patrick Hedstrom cerca di scoprire cosa si nasconde dietro la morte di una persona che credeva di conoscere.
E tra un tintinnar di spade (poche in realtà) e uno di ceramiche da the (questo sì, ci manca il trine, il pizzo ed il colloquiare post-coloniale della Christie) si arriva, con un pizzico di suspense, alla soluzione finale.
Prodotto assolutamente medio per una scrittrice che stilisticamente sa piazzare con disarmante ingenuità narrativa il soggetto al posto giusto, pure il verbo e il complemento oggetto e in un impeto improvviso di avanguardia letteraria, pure qualche avverbio di modo e di tempo.
Dunque: non svenatevi a considerare il romanzo un gioiello nella letteratura scandinava di genere (come scritto nella quarta di copertina). La Läckberg è un'onesta mestierante. Ops. Un'onesta artigiana. Ma solo in questo la si può accostare alla grande Agatha Christie. Punto.
E accapo.
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