RECENSIONI
Jurgen Schreiber
La ragazza che vendicò Che Guevara – storia di Monika Ertl
Nutrimenti, Pag. 398 Euro 19,50
Monika Ertl freddò Roberto Quintanilla la mattina del primo aprile 1971, ad Amburgo, nella sede del consolato boliviano sulla Heilwigstrasse, con la colt cobra acquistata dall'editore Giangiacomo Feltrinelli, a Milano.
La tesi dell'autore è quella della cospirazione internazionale che la cavillosa ricerca rende plausibile seminando dubbi su quanti, negli anni '60 e a cavallo dei '70, avevano fatto parte della sinistra. Tali signori ormai attempati, pare, secondo Schreiber, che sapessero, o sospettassero grandi manovre per seminare l'orrore della vendetta in Europa. Monika Ertl, il cui nome di battaglia nell'Eln era Imilla, fu la mano che compì il gesto finale contro l'aguzzino di Che Guevara. L'autore asserisce che per i comunisti europei in particolare i tedeschi, non si trattò di un omicidio, ma di tirannicidio. Infatti, per i comunisti, Toto Quintanilla – esecutore materiale dell'amputazione delle mani del Che e colonnello torturatore dei servizi segreti boliviani – doveva essere eliminato perché cancrena, sostanza sporca, inumana. In realtà nel libro nessuno afferma una cosa del genere, ma Schreiber è convinto a tal punto della sua tesi che così la lascia trapelare soprattutto quando intervista l'anonimo "mercante anseatico". Al giornalista che indaga dunque, spetterebbe come vogliono alcune scuole di pensiero e autoritarie, l'ultima parola e le tragiche e sospettose interpretazioni. Questo lo stile, convincente a tratti, involontariamente subdolo, ad ogni modo, non comodissimo, perché ricostruire quelle giornate e la complessa e problematica figura di Imilla, non dev'essere stato uno scherzo. La fede rivoluzionaria di Imilla, il padre di lei – un ex nazista che va a vivere in Sudamerica – l'immagine leggendaria del libertador sono gli elementi reiterati del racconto e delle supposizioni che diventano verità anacronistiche, blaterate. Come faccio a dire se è un libro interessante? Dovrei rifare tutto daccapo, non fidarmi dell'autore, invece, poveraccio, ce l'ha messa tutta e ha tirato fuori il codice della ragazza che vendicò il Che. Voglio essergli di conforto e anziché a lui, chiedo in generale: sono utili le vendette, l'orrore, l'infelicità? Pensare alla comunità umana lontana dallo stereotipo violento/rivoluzionario, a una società libera da oppressione e da mafie è possibile? Ci vuole immaginazione e come al solito anche Schreiber è caduto nel tranello: da un lato certi comunisti con la pistolina e dall'altro il sistema; pittoresca e quasi incantevole la bella comunista invaghita delle idee di riscatto, per niente tremante anzi risoluta, il suo è il tipico ritratto di chi, condizionato, risulta essere un vero kamikaze. I casi di Toto e Imilla sono irrisolti, come irrisolta è la lotta per la causa umana. Ci vuole immaginazione. Non basta la fatica del nostro autore. La lotta armata non serve; ci vogliono persone felici, non assassini.
di Pina D'Aria
La tesi dell'autore è quella della cospirazione internazionale che la cavillosa ricerca rende plausibile seminando dubbi su quanti, negli anni '60 e a cavallo dei '70, avevano fatto parte della sinistra. Tali signori ormai attempati, pare, secondo Schreiber, che sapessero, o sospettassero grandi manovre per seminare l'orrore della vendetta in Europa. Monika Ertl, il cui nome di battaglia nell'Eln era Imilla, fu la mano che compì il gesto finale contro l'aguzzino di Che Guevara. L'autore asserisce che per i comunisti europei in particolare i tedeschi, non si trattò di un omicidio, ma di tirannicidio. Infatti, per i comunisti, Toto Quintanilla – esecutore materiale dell'amputazione delle mani del Che e colonnello torturatore dei servizi segreti boliviani – doveva essere eliminato perché cancrena, sostanza sporca, inumana. In realtà nel libro nessuno afferma una cosa del genere, ma Schreiber è convinto a tal punto della sua tesi che così la lascia trapelare soprattutto quando intervista l'anonimo "mercante anseatico". Al giornalista che indaga dunque, spetterebbe come vogliono alcune scuole di pensiero e autoritarie, l'ultima parola e le tragiche e sospettose interpretazioni. Questo lo stile, convincente a tratti, involontariamente subdolo, ad ogni modo, non comodissimo, perché ricostruire quelle giornate e la complessa e problematica figura di Imilla, non dev'essere stato uno scherzo. La fede rivoluzionaria di Imilla, il padre di lei – un ex nazista che va a vivere in Sudamerica – l'immagine leggendaria del libertador sono gli elementi reiterati del racconto e delle supposizioni che diventano verità anacronistiche, blaterate. Come faccio a dire se è un libro interessante? Dovrei rifare tutto daccapo, non fidarmi dell'autore, invece, poveraccio, ce l'ha messa tutta e ha tirato fuori il codice della ragazza che vendicò il Che. Voglio essergli di conforto e anziché a lui, chiedo in generale: sono utili le vendette, l'orrore, l'infelicità? Pensare alla comunità umana lontana dallo stereotipo violento/rivoluzionario, a una società libera da oppressione e da mafie è possibile? Ci vuole immaginazione e come al solito anche Schreiber è caduto nel tranello: da un lato certi comunisti con la pistolina e dall'altro il sistema; pittoresca e quasi incantevole la bella comunista invaghita delle idee di riscatto, per niente tremante anzi risoluta, il suo è il tipico ritratto di chi, condizionato, risulta essere un vero kamikaze. I casi di Toto e Imilla sono irrisolti, come irrisolta è la lotta per la causa umana. Ci vuole immaginazione. Non basta la fatica del nostro autore. La lotta armata non serve; ci vogliono persone felici, non assassini.
di Pina D'Aria
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