RECENSIONI
Stieg Larsson
La regina dei castelli di carta
Marsilio, Pag. 857 Euro 21,50
Che dire dell'isteria che ha colto gran parte dell'Europa, e anche l'Italia, a proposito di Stieg Larsson? Quanto meno curiosa. Certo è che le librerie, per chi ha il gusto di passarci qualche minuto, sono ormai assediate da pile altissime della trilogia 'Millennium' che pare, nelle intenzioni dell'autore purtroppo scomparso prematuramente, dovesse comprendere ben otto volumi (curiosità: c'è già una battaglia legale tra i familiari di Larsson che sono gli unici eredi dei cospicui guadagni provenienti dalle vendite dei noir – e adesso si sta per aprire il mercato inglese – e la fidanzata dello scrittore che, rimasta all'asciutto, pare vanti il possesso di un parziale quarto volume, che a questo punto potrebbe rivelarsi la vera gallina dalle uova d'oro).
Si sa, quando il successo, che sia editoriale, musicale, cinematografico, tocca simile vette è inevitabile che possa scatenare un putiferio e solletichi gli istinti più gossip dei media. Sarà un caso, ma lo stiamo facendo pure noi che invece in passato – basta andarsi a spulciare il Paradiso – avevamo affrontato la sostanza dei romanzi di Larsson con ben altre intenzioni e ben altri propositi.
Cerchiamo dunque di rimediare e parlare di questo 'affresco poliziesco', come è definito nello strillo di copertina, come merita.
Larsson era indubbiamente una macchina da guerra, una 'gioiosa' macchina da guerra (mi piace rispolverare un vecchio slogan occhettiano che forse meritava altri esiti politici) con un istinto incredibile per l'intreccio e gli oliati meccanismi del poliziesco internazionale. In più, secondo noi, rispetto a tutta la marea montante del noir scandinavo, e non solo svedese, ha tentato la carta dell'impegno civile. Non sono un esperto della politica svedese, certo è che lo scrittore ci è sembrato sin dall'inizio l'unico col naso rivolto a questioni scomode e pruriginose.
Qui, nel terzo atto del 'Millennium', con la scusa di insistere sull'odissea di Lisbet Salander, sulle peregrinazioni di Mikael Blomkvist (ma nel romanzo assumono decise caratterizzazioni anche altri personaggi: pensiamo alla ex dello stesso Blomkvist, Erika Berger, alla sua nuova fiamma, la poliziotta Monica Figuerola – ma che accidenti di nome è! – e alla sorella, sempre di Blomkvist, Annika Giannini) si affronta il tema delicato dei servizi segreti deviati. E ti pare poco!
Se un autore italiano dovesse affrontare un argomento del genere altro che opera in otto volumi, non gli basterebbe scrivere l'Enciclopedia Britannica. Però Larsson fa opera meritoria: tira fuori di nuovo la questione annosa dell'omicidio Palme che per noi italiani,a suo tempo, sembrò davvero inusitato atto di sangue in un paese pacifico e non delinquenziale, ma che, tra le pagine dello scrittore svedese, assume connotati, pur nella finzione, ambigui e misteriosi.
Basterebbe questo per apprezzare la trilogia, e cioè, nell'aver ridimensionato l'aspetto rassicurante della Svezia ed aver confessato al mondo intero che, se si parla di poltica, anche il paese più 'pulito' alla fine c'ha la rogna.
Certo il 'Millennium' non è – e non credo che nelle intenzioni di Larsson avrebbe voluto essere – un vero atto di accusa (in Italia quando ci decideremo ad indicare il postumo Petrolio pasoliniano come supremo atto di denuncia politica e non 'semplice' opera letteraria, sarà sempre troppo tardi) perché troppi sono gli intenti demistificatori della finzione ad annacquare il progetto, però rimane un passo importante perché il lettore europeo capisca che il marcio staziona un po' dappertutto.
Non è una gran sollievo, ma è una gran bella lettura. A Roma si dice: ariconsolate co' l'ajetto.
di Alfredo Ronci
Si sa, quando il successo, che sia editoriale, musicale, cinematografico, tocca simile vette è inevitabile che possa scatenare un putiferio e solletichi gli istinti più gossip dei media. Sarà un caso, ma lo stiamo facendo pure noi che invece in passato – basta andarsi a spulciare il Paradiso – avevamo affrontato la sostanza dei romanzi di Larsson con ben altre intenzioni e ben altri propositi.
Cerchiamo dunque di rimediare e parlare di questo 'affresco poliziesco', come è definito nello strillo di copertina, come merita.
Larsson era indubbiamente una macchina da guerra, una 'gioiosa' macchina da guerra (mi piace rispolverare un vecchio slogan occhettiano che forse meritava altri esiti politici) con un istinto incredibile per l'intreccio e gli oliati meccanismi del poliziesco internazionale. In più, secondo noi, rispetto a tutta la marea montante del noir scandinavo, e non solo svedese, ha tentato la carta dell'impegno civile. Non sono un esperto della politica svedese, certo è che lo scrittore ci è sembrato sin dall'inizio l'unico col naso rivolto a questioni scomode e pruriginose.
Qui, nel terzo atto del 'Millennium', con la scusa di insistere sull'odissea di Lisbet Salander, sulle peregrinazioni di Mikael Blomkvist (ma nel romanzo assumono decise caratterizzazioni anche altri personaggi: pensiamo alla ex dello stesso Blomkvist, Erika Berger, alla sua nuova fiamma, la poliziotta Monica Figuerola – ma che accidenti di nome è! – e alla sorella, sempre di Blomkvist, Annika Giannini) si affronta il tema delicato dei servizi segreti deviati. E ti pare poco!
Se un autore italiano dovesse affrontare un argomento del genere altro che opera in otto volumi, non gli basterebbe scrivere l'Enciclopedia Britannica. Però Larsson fa opera meritoria: tira fuori di nuovo la questione annosa dell'omicidio Palme che per noi italiani,a suo tempo, sembrò davvero inusitato atto di sangue in un paese pacifico e non delinquenziale, ma che, tra le pagine dello scrittore svedese, assume connotati, pur nella finzione, ambigui e misteriosi.
Basterebbe questo per apprezzare la trilogia, e cioè, nell'aver ridimensionato l'aspetto rassicurante della Svezia ed aver confessato al mondo intero che, se si parla di poltica, anche il paese più 'pulito' alla fine c'ha la rogna.
Certo il 'Millennium' non è – e non credo che nelle intenzioni di Larsson avrebbe voluto essere – un vero atto di accusa (in Italia quando ci decideremo ad indicare il postumo Petrolio pasoliniano come supremo atto di denuncia politica e non 'semplice' opera letteraria, sarà sempre troppo tardi) perché troppi sono gli intenti demistificatori della finzione ad annacquare il progetto, però rimane un passo importante perché il lettore europeo capisca che il marcio staziona un po' dappertutto.
Non è una gran sollievo, ma è una gran bella lettura. A Roma si dice: ariconsolate co' l'ajetto.
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