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RECENSIONI

Alain Daniélou

La scoperta dei templi

CasadeiLibri, Pag. 48 Euro 6,00
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Prestigioso è l'Autore, considerato uno dei più eminenti orientalisti contemporanei, e prestigioso il fotografo, Raymond Burnier, inseparabile compagno di avventure e testimone delle sue scoperte. Questo bel libriccino è uscito in occasione del centenario della nascita dell'Autore (1907-1994), con la collaborazione del Centro Alain Daniélou Fondazione Harsharan, diretto da Jacques Cloarec, a cui si deve l'introduzione. E' un interessante assaggio per chi volesse accostarsi all'arte medioevale indiana nelle sue espressioni erotiche e nelle implicazioni mistiche. Si compone di tre parti, la prima tratta dal libro autobiografico La via del labirinto, le altre due tradotte da articoli pubblicati in inglese su riviste specializzate.

Daniélou, convertitosi all'induismo, si è adoperato per restituire agli indiani, usciti dalla dominazione coloniale, la consapevolezza della propria cultura.

Hanno riconquistato la propria terra, ma la sottomissione è stata tanto lunga che per molto tempo ancora dovranno lottare con il problema di riconquistare se stessi, il proprio passato, la propria cultura. Sarebbe tragico se presso una maggioranza si continuasse a guardare alla tradizione con occhi di straniero...

La sua impresa non dev'essere stata facile, se lo stesso Pandit Nehru osservava: "Voi vi interessate a tutto quello che noi vogliamo cambiare." (Salvo poi ricredersi e abbellire il proprio studio con gigantografie delle foto di Burnier). E non era certo stato più tenero il buon Gandhi.

Quel folle puritano, inviò bande di giovani a spaccare le sculture erotiche.

Insolito, questo scorcio su Gandhi, apostolo della non violenza... e del teppismo!)

Musulmani e puritani inglesi avevano fatto il resto. Le guide turistiche inglesi segnalavano questi monumenti come luoghi inopportuni per le donne e i bambini, e destinazione di interesse esclusivo a coloro che traessero piacere dagli spettacoli volgari.

C'è stato quindi un completo travisamento di ciò che nella cultura induista era strumento di meditazione e di ascesi.

L'atto d'amore è scelto a rappresentare la condizione ultima nella quale l'individuo e l'Universale cessano di essere separati.

La mistica indù insiste sulla necessità di vedere il divino in ogni aspetto della natura, rifuggendo da una visione dualistica della realtà.

Gli insegnamenti religiosi dovrebbero condurci a vedere il Divino proprio in quelle forme al cospetto delle quali siamo maggiormente propensi a dimenticarcene.

Inoltre, colui che voglia intraprendere la via della rinuncia non può farlo in piena consapevolezza se non ha modo di conoscere i piaceri di cui si priva.

Un altro punto di vista per esaminare questa forma d'arte è il simbolismo legato ai numeri, alle geometrie e alle proporzioni: l'artista non imita semplicemente la natura, ma segue dei canoni che lo portano a creare una forma perfetta.

La bellezza è infatti suddivisa tra gli esseri individuali, ciascuno dei quali non ne riceve che un frammento, mentre è possibile, attraverso una elaborazione teorica, concentrare tutta la bellezza in un tipo ideale.

Come si diceva, il testo è corredato da alcune foto di Burnier, che illustrano l'oggetto della trattazione.



di Giovanna Repetto


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