RECENSIONI
Higashino Keigo
La seconda vita di Naoko
Baldini Castoldi Dalai, Pag.421 Euro 18,50
Leggo nella tesi di laurea di Lucia Guardavilla Gli anni '20 nella produzione di Edogawa Ranpo: Ranpo era fermamente convinto del lavoro letterario del romanzo poliziesco, avendo esso la capacità straordinaria di interpretare casi apparentemente inspiegabili, trasformando cioè l'impossibile in possibile. Il fatto di avere come obiettivo finale la risoluzione dell'enigma intorno al quale è stato costruito,lo rendeva secondo Ranpo un genere letterario con tutte le carte in regola per essere considerato letteratura pura.
Mi sono servito di un riferimento a Edogawa Ranpo (il fondatore del genere giallo in Giappone che adottò, tanta era la stima che aveva, un cognome che ricordasse per assonanza Edgar Allan Poe) per tentare di sbrogliare la matassa del romanzo in questione. Ma non basta nemmeno: accosterei alla materia anche l'evoluzione che il cinema nipponico, per certi versi rivoluzionario, ha subito in questi ultimi decenni.
La seconda vita di Naoko sta esattamente a metà strada tra la tradizione classica del fantastico, che ha radici necessarie anche nel giallo, e soprattutto nel giallo di Ranpo, e le allucinazioni visive della filmografia, tanto per citare quello più apprezzato in Occidente, di un Takeshi Mike.
Pur distanziandosi con tatto Higashino Keigo sfrutta i mezzi a sua disposizione, in questo caso la lezione dei classici di "genere", per adattare alle proprie corde una storia oltre "i confini della realtà".
Naoko, il marito Heisuke e la figlia undicenne conducono una vita normalissima, fino al giorno in cui un incidente in autobus sconvolge le loro esistenze. Naoko muore, mentre la piccola Monami, salva per miracolo, finisce in coma. Sembra una tragedia senza rimedio, ma dopo un po' di tempo la ragazza riacquista coscienza. E' l'inizio di un incubo: un'inquietante trasformazione si rivela al padre. Nel corpo della figlia vive e "reclama" lo spirito di Naoko.
Non scorgiamo nel romanzo alcun riferimento a quelli che hanno fatto la fortuna della letteratura nipponica del novecento: nemmeno a Kobo Abe che, nella sua corposa produzione, ha sempre affrontato il tema del fantastico e soprattutto della solitudine legata alle trasformazioni sociali (chi ricorda lo straziante isolamento de L'uomo scatola?). Keigo non lavora di fino (probabilmente non ha le capacità, pur essendo un autore di grosso successo): la sua costruzione dei fatti è lineare ed espressa con un linguaggio esasperatamente elementare. Ma sa imbrigliare il lettore con una ragnatela leggera di rimandi e di intrecci che alla fine restituisce all'opera una parvenza di suggestione e soprattutto di impegno. Insomma La seconda vita di Naoko non è una "semplice" storia fantastica, ma un tentativo per lo più riuscito (dico per lo più, perché la prima parte affoga in un'ovvietà narrativa che spingerebbe qualasiasi persona all'abbandono della lettura) di rimestare nelle problematiche di coppia . Con l'aggiunta di un'abiguità sessuale di fondo (la Banana Yoshimoto però è lontanissima) che una sorta di istanza morale trattiene e poi spegne.
Il cinema orientale fantastico e horror spinge il tasto dell'inconscio non andando troppo per il sottile (sempre Takeshi Mike), ma attraverso meccanismi oliati. Keigo pare rivoltare la frittata: nell'ovvietà sta la sua forza, o quella che noi riteniamo tale perché si possa poi arrivare alla fine della storia e della sua effettiva compresione.
di Eleonora del Poggio
Mi sono servito di un riferimento a Edogawa Ranpo (il fondatore del genere giallo in Giappone che adottò, tanta era la stima che aveva, un cognome che ricordasse per assonanza Edgar Allan Poe) per tentare di sbrogliare la matassa del romanzo in questione. Ma non basta nemmeno: accosterei alla materia anche l'evoluzione che il cinema nipponico, per certi versi rivoluzionario, ha subito in questi ultimi decenni.
La seconda vita di Naoko sta esattamente a metà strada tra la tradizione classica del fantastico, che ha radici necessarie anche nel giallo, e soprattutto nel giallo di Ranpo, e le allucinazioni visive della filmografia, tanto per citare quello più apprezzato in Occidente, di un Takeshi Mike.
Pur distanziandosi con tatto Higashino Keigo sfrutta i mezzi a sua disposizione, in questo caso la lezione dei classici di "genere", per adattare alle proprie corde una storia oltre "i confini della realtà".
Naoko, il marito Heisuke e la figlia undicenne conducono una vita normalissima, fino al giorno in cui un incidente in autobus sconvolge le loro esistenze. Naoko muore, mentre la piccola Monami, salva per miracolo, finisce in coma. Sembra una tragedia senza rimedio, ma dopo un po' di tempo la ragazza riacquista coscienza. E' l'inizio di un incubo: un'inquietante trasformazione si rivela al padre. Nel corpo della figlia vive e "reclama" lo spirito di Naoko.
Non scorgiamo nel romanzo alcun riferimento a quelli che hanno fatto la fortuna della letteratura nipponica del novecento: nemmeno a Kobo Abe che, nella sua corposa produzione, ha sempre affrontato il tema del fantastico e soprattutto della solitudine legata alle trasformazioni sociali (chi ricorda lo straziante isolamento de L'uomo scatola?). Keigo non lavora di fino (probabilmente non ha le capacità, pur essendo un autore di grosso successo): la sua costruzione dei fatti è lineare ed espressa con un linguaggio esasperatamente elementare. Ma sa imbrigliare il lettore con una ragnatela leggera di rimandi e di intrecci che alla fine restituisce all'opera una parvenza di suggestione e soprattutto di impegno. Insomma La seconda vita di Naoko non è una "semplice" storia fantastica, ma un tentativo per lo più riuscito (dico per lo più, perché la prima parte affoga in un'ovvietà narrativa che spingerebbe qualasiasi persona all'abbandono della lettura) di rimestare nelle problematiche di coppia . Con l'aggiunta di un'abiguità sessuale di fondo (la Banana Yoshimoto però è lontanissima) che una sorta di istanza morale trattiene e poi spegne.
Il cinema orientale fantastico e horror spinge il tasto dell'inconscio non andando troppo per il sottile (sempre Takeshi Mike), ma attraverso meccanismi oliati. Keigo pare rivoltare la frittata: nell'ovvietà sta la sua forza, o quella che noi riteniamo tale perché si possa poi arrivare alla fine della storia e della sua effettiva compresione.
di Eleonora del Poggio
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