RECENSIONI
Sergio Pitol
La sfilata dell'amore.
Gran Via, Traduzione di Stefania Marinoni, Pag. 256 Pag. 256 Euro 16,00
Storia di un’indagine, questo ottimo romanzo messicano delude proprio sulla conclusione della stessa, rivelando una storia che alla fine è una sfinge senza segreti, per dirla con Oscar Wilde. Dove tutto, alla fine, è più o meno quello che sembra fin dall’inizio. Peccato, perché dopo un avvio un po’ freddo e distaccato, nel senso che i tanti personaggi si affacciano alla scena da perfetti estranei lasciando indifferente il lettore, viene stimolato un crescente interesse per la storia. Il protagonista è uno storico che, tornato alla natia Città del Messico per i suoi contatti editoriali, rivede il condominio Minerva in cui da bambino ha vissuto qualche mese presso gli zii prima di raggiungere i genitori trasferitisi per lavoro. Questo luogo straordinario, costruito in modo che nel cortile interno si affaccino tutte le scale di accesso agli appartamenti, stimola la fantasia in quella maniera che è stata così ben espressa nel film La finestra sul cortile. Tanto più che anche qui, come il protagonista ricorda bene, è stato commesso un omicidio proprio nel periodo in cui lui ci abitava. Detto fatto lo storico, che è anche scrittore, pensa di ricucire i fili di quella vicenda che lo aveva sfiorato nell’infanzia e che ora può ricostruire con occhi di adulto e di professionista. Due piccioni con una fava: togliersi lo sfizio di svelare il mistero del delitto e nello stesso tempo scrivere un nuovo testo centrato sull’anno 1942, dopo aver dato alle stampe il 1914. Il gioco è stuzzicante, perché il libro da scrivere gli dà il pretesto per contatti e interviste che altrimenti desterebbero diffidenza. E all’inverso, l’indagine sul fatto di cronaca gli dà l’occasione per approfondire un momento storico di grande interesse. In Messico infatti in quel periodo stava arrivando un variegato stuolo di personaggi dell’Europa in guerra: ebrei e intellettuali in fuga, spie, mestatori nazisti, avventurieri. Lo stesso condominio Minerva è un microcosmo in cui si riproduce una stupefacente promiscuità, con vittime e persecutori alloggiati sullo stesso pianerottolo.
Interessante per il lettore, al di là della storia, resta questa ricostruzione, a cui si affianca una poderosa scultura dei personaggi, questi sì da scoprire nel progressivo svelarsi dei tratti. Ognuno a modo suo mostruoso e tragico, da inferno dantesco. A partire dai parenti stessi con cui il protagonista riprende contatto. Fra questi la vecchia zia Eduviges. Corpaccione enorme in bilico fra trascuratezza e inaspettate civetterie, gelosa dei segreti di famiglia e insieme bramosa di rivelarli, fra pettegolezzi e leggende, farneticazione e lucidità. Un osso duro per le interviste.
Nel vedere il nipote si alzò con leggerezza inaudita. Gli corse incontro, lo abbracciò e poi lo spinse senza troppi riguardi su una sedia, come se di colpo si fosse stancata di lui o avesse deciso che non c’era motivo di essere così affettuosa. Si portò le mani alla testa, spettinandosi ancora di più. Poi le tese in una posa drammatica e le poggiò aperte sul piano di un cassettone. (…) Tornò vero il divano su cui lui l’aveva trovata sprofondata al suo arrivo e fu sul punto di lasciarvisi cadere quando, all’ultimo momento, cambiò idea. Drizzò il corpo con una piroetta degna di un delfino. Andò verso di lui, lo prese perle mani, lo fece alzare e lo portò in fondo alla stanza…
E che dire dell’affascinante Delfina Uribe, raffinatissima gallerista d’arte figlia di un rivoluzionario, donna di eleganza impeccabile che in ogni conversazione mescola cultura e reticenza?
E il mostro sacro Ida Werfel, scrigno di sapienza e filosofia, venerata già in vita e monumentale nella memoria dei suoi adepti, ricordata però anche per il gusto della battuta triviale?
E poi il folle poeta libraio Balmoràn, il cupo Arnulfo e il losco Martinez.
Con personaggi così non è possibile annoiarsi.
di Giovanna Repetto
Interessante per il lettore, al di là della storia, resta questa ricostruzione, a cui si affianca una poderosa scultura dei personaggi, questi sì da scoprire nel progressivo svelarsi dei tratti. Ognuno a modo suo mostruoso e tragico, da inferno dantesco. A partire dai parenti stessi con cui il protagonista riprende contatto. Fra questi la vecchia zia Eduviges. Corpaccione enorme in bilico fra trascuratezza e inaspettate civetterie, gelosa dei segreti di famiglia e insieme bramosa di rivelarli, fra pettegolezzi e leggende, farneticazione e lucidità. Un osso duro per le interviste.
Nel vedere il nipote si alzò con leggerezza inaudita. Gli corse incontro, lo abbracciò e poi lo spinse senza troppi riguardi su una sedia, come se di colpo si fosse stancata di lui o avesse deciso che non c’era motivo di essere così affettuosa. Si portò le mani alla testa, spettinandosi ancora di più. Poi le tese in una posa drammatica e le poggiò aperte sul piano di un cassettone. (…) Tornò vero il divano su cui lui l’aveva trovata sprofondata al suo arrivo e fu sul punto di lasciarvisi cadere quando, all’ultimo momento, cambiò idea. Drizzò il corpo con una piroetta degna di un delfino. Andò verso di lui, lo prese perle mani, lo fece alzare e lo portò in fondo alla stanza…
E che dire dell’affascinante Delfina Uribe, raffinatissima gallerista d’arte figlia di un rivoluzionario, donna di eleganza impeccabile che in ogni conversazione mescola cultura e reticenza?
E il mostro sacro Ida Werfel, scrigno di sapienza e filosofia, venerata già in vita e monumentale nella memoria dei suoi adepti, ricordata però anche per il gusto della battuta triviale?
E poi il folle poeta libraio Balmoràn, il cupo Arnulfo e il losco Martinez.
Con personaggi così non è possibile annoiarsi.
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