RECENSIONI
Caterina Perali
Le affacciate
Neo Edizioni, Pag. 158 Euro 14,00
Ci sono almeno due modi per affacciarsi, e li troviamo qui. Uno rientra nello stile di vita delle case di ringhiera. L’altro è il mondo dei social, dove la protagonista sta perennemente affacciata chattando con la sua amica del cuore.
Vorrei spendere qualche parola sul primo modo, perché leggendo il libro mi è venuta voglia di documentarmi. Così ho scoperto che a Milano ci sono circa settantamila case di ringhiera.
Cito da “Milano dal ballatoio”, articolo di Alessandra Cioccarelli su Club Milano (n. 40, settembre – ottobre 2017) :
Tra gli ingredienti immancabili vi è il caratteristico ballatoio comune che percorre l’intero edificio e su cui si affacciano le porte di ingresso delle singole abitazioni. Il nome “ringhiera” deriva proprio dal parapetto in ferro del ballatoio, dove ancora oggi le famiglie, in assenza di un balcone personale, si contendono lo spazio per stendere i panni (…)
Abitare in una casa ringhiera ha ancora la sua unicità. Nonostante la ridotta privacy rispetto al classico condominio, impagabile è l’atmosfera romantica che si gode nella sua corte. Non è raro condividere insieme al ballatoio e alla stesura dei panni lo scambio di piccole gentilezze tra i condomini dal piano – dalla cura del gatto a quelle delle piante, alla condivisione di un caffè – la vista beata e panoramica sui tetti della città e i profumi dalla cucina del vicino.
Collocare esattamente l’azione in questo ambiente particolare può dare alla lettura una marcia in più.
Non che la protagonista, fino a un certo punto della vita, abbia fatto particolarmente caso alle risorse della vita di ringhiera. No, presa com’era da un lavoro organizzativo che non le lasciava scampo né di giorno né di notte, a malapena si accorgeva di quello che le stava intorno. Unico valido spiraglio sull’esterno era appunto la chat. Due dimensioni parallele.
Ma dopo che ha perso il lavoro, quando le sue giornate sono diventate un’immensa bolla vuota, il ritmo cambia e Nina si ritrova distesa sul letto a contare i chiodi inseriti nelle travi del soffitto.
Qui cominciamo ad apprezzare una delle caratteristiche del libro. Questa scrittura sincera, diretta, quasi cinica. Nemica di ogni ovvietà. Ci sarebbero tanti modi melodrammatici e fintamente introspettivi per descrivere il senso di vuoto e di apatia conseguente alla perdita del lavoro. Ma no, Caterina Perali ti mette davanti al fatto nudo e semplice. Nina se ne sta lì: guarda il soffitto e puntigliosamente conta i chiodi.
Una cosa è chiara fin dall’inizio alla protagonista: vuole negare, nascondere l’umiliazione di aver perso il lavoro senza motivo, lei che era così brava. E qui comincia il viaggio nella terza dimensione parallela: una vita lavorativa immaginaria, fatta di dettagli precisi e verosimili che lei racconta sui social per far credere che niente sia cambiato.
Il lunedì è il walzer delle lamentele, soprattutto la mattina entro le dieci. È un fatto sdoganato. Anche il più banale in incidente di percorso prende centinaia di like in pochi minuti.
(…)
La lamentela è l’alibi perfetto per la solitudine.
Se il lunedì è diventato il mio giorno da funambola tra verità e finzione, dove quasi tutto è permesso, il mercoledì è invece un bel casino. I problemi diventano reali…
Infatti le tocca fingere anche davanti ai collaboratori domestici, rimanendo nascosta fuori casa finché non finiscono il lavoro. E con le vicine di pianerottolo che però, snobbate prima come figure di sfondo, ora acquistano ai suoi occhi un improvviso spessore. È la vita reale, quella che era rimasta compressa fra il lavoro troppo invasivo e il palcoscenico dei social. Un invito a cena di due vicine mette alla prova le sue certezze, specie per la presenza di un’amica venuta dall’est che la costringe a rivedere fantasie e pregiudizi.
Il racconto che le commensali fanno della propria vita fa entrare Nina in un’altra nuova dimensione: quella delle storie degli altri. Ma attenzione, non si assiste ad alcuna deriva buonista. Il rapporto con le vicine è scabro e disincantato. C’è un valore positivo, ma è quello della verità delle cose.
Insomma, come risolverà, Nina, il garbuglio della sua vita da funambola?
L’incidente di percorso può far intravedere un’alternativa, qualcosa di impensabile. Ora Nina può prenderla in considerazione e inserirla nella prospettiva di una diversa filosofia di vita. Ma è bene saperlo: l’utopia si può vedere, quasi toccare, però attraverso una parete di vetro senza porte. E l’autrice arriva fino in fondo senza tradire la sua voce di verità.
Considerazione finale. Esistono le dimensioni parallele? Sì, esistono, e le pratichiamo tutti i giorni.
di Giovanna Repetto
Vorrei spendere qualche parola sul primo modo, perché leggendo il libro mi è venuta voglia di documentarmi. Così ho scoperto che a Milano ci sono circa settantamila case di ringhiera.
Cito da “Milano dal ballatoio”, articolo di Alessandra Cioccarelli su Club Milano (n. 40, settembre – ottobre 2017) :
Tra gli ingredienti immancabili vi è il caratteristico ballatoio comune che percorre l’intero edificio e su cui si affacciano le porte di ingresso delle singole abitazioni. Il nome “ringhiera” deriva proprio dal parapetto in ferro del ballatoio, dove ancora oggi le famiglie, in assenza di un balcone personale, si contendono lo spazio per stendere i panni (…)
Abitare in una casa ringhiera ha ancora la sua unicità. Nonostante la ridotta privacy rispetto al classico condominio, impagabile è l’atmosfera romantica che si gode nella sua corte. Non è raro condividere insieme al ballatoio e alla stesura dei panni lo scambio di piccole gentilezze tra i condomini dal piano – dalla cura del gatto a quelle delle piante, alla condivisione di un caffè – la vista beata e panoramica sui tetti della città e i profumi dalla cucina del vicino.
Collocare esattamente l’azione in questo ambiente particolare può dare alla lettura una marcia in più.
Non che la protagonista, fino a un certo punto della vita, abbia fatto particolarmente caso alle risorse della vita di ringhiera. No, presa com’era da un lavoro organizzativo che non le lasciava scampo né di giorno né di notte, a malapena si accorgeva di quello che le stava intorno. Unico valido spiraglio sull’esterno era appunto la chat. Due dimensioni parallele.
Ma dopo che ha perso il lavoro, quando le sue giornate sono diventate un’immensa bolla vuota, il ritmo cambia e Nina si ritrova distesa sul letto a contare i chiodi inseriti nelle travi del soffitto.
Qui cominciamo ad apprezzare una delle caratteristiche del libro. Questa scrittura sincera, diretta, quasi cinica. Nemica di ogni ovvietà. Ci sarebbero tanti modi melodrammatici e fintamente introspettivi per descrivere il senso di vuoto e di apatia conseguente alla perdita del lavoro. Ma no, Caterina Perali ti mette davanti al fatto nudo e semplice. Nina se ne sta lì: guarda il soffitto e puntigliosamente conta i chiodi.
Una cosa è chiara fin dall’inizio alla protagonista: vuole negare, nascondere l’umiliazione di aver perso il lavoro senza motivo, lei che era così brava. E qui comincia il viaggio nella terza dimensione parallela: una vita lavorativa immaginaria, fatta di dettagli precisi e verosimili che lei racconta sui social per far credere che niente sia cambiato.
Il lunedì è il walzer delle lamentele, soprattutto la mattina entro le dieci. È un fatto sdoganato. Anche il più banale in incidente di percorso prende centinaia di like in pochi minuti.
(…)
La lamentela è l’alibi perfetto per la solitudine.
Se il lunedì è diventato il mio giorno da funambola tra verità e finzione, dove quasi tutto è permesso, il mercoledì è invece un bel casino. I problemi diventano reali…
Infatti le tocca fingere anche davanti ai collaboratori domestici, rimanendo nascosta fuori casa finché non finiscono il lavoro. E con le vicine di pianerottolo che però, snobbate prima come figure di sfondo, ora acquistano ai suoi occhi un improvviso spessore. È la vita reale, quella che era rimasta compressa fra il lavoro troppo invasivo e il palcoscenico dei social. Un invito a cena di due vicine mette alla prova le sue certezze, specie per la presenza di un’amica venuta dall’est che la costringe a rivedere fantasie e pregiudizi.
Il racconto che le commensali fanno della propria vita fa entrare Nina in un’altra nuova dimensione: quella delle storie degli altri. Ma attenzione, non si assiste ad alcuna deriva buonista. Il rapporto con le vicine è scabro e disincantato. C’è un valore positivo, ma è quello della verità delle cose.
Insomma, come risolverà, Nina, il garbuglio della sua vita da funambola?
L’incidente di percorso può far intravedere un’alternativa, qualcosa di impensabile. Ora Nina può prenderla in considerazione e inserirla nella prospettiva di una diversa filosofia di vita. Ma è bene saperlo: l’utopia si può vedere, quasi toccare, però attraverso una parete di vetro senza porte. E l’autrice arriva fino in fondo senza tradire la sua voce di verità.
Considerazione finale. Esistono le dimensioni parallele? Sì, esistono, e le pratichiamo tutti i giorni.
di Giovanna Repetto
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