RECENSIONI
George Simenon
Le campane di Bicêtre
Adelphi, Pag. 260 Euro 19,00
Esiste un aneddoto sulla velocità di scrittura di Simenon. Una volta Alfred Hitchcock lo chiamò al telefono. La segretaria rispose che stava scrivendo un romanzo. 'Ok' disse il regista 'allora aspetto in linea'. Direi battuta efficace.
Certo è che ripresentare l'opera omnia dello scrittore francese è impresa ardua. Ma Adelphi pare che abbia deciso di tentarla: e poi come non crederci quando sai che il maître à penser di simile iniziativa è Roberto Calasso, l'intellettuale più fico del globo che quando lo intervistano sta sempre tre quarti e ha il tocco frisson dell'uomo di classe. Colui il quale, nonstante Simenon avesse più volte dichiarato che era fiero della facilità con cui i suoi romanzi venivano tradotti, ha ammesso di averci impiegato un intero anno per tradurne uno (ma avrà almeno sudato? Ma Calasso è umano e quindi suda?).
Questo, permettetemelo di dire, è un romanzo loffio (e qui già immagino contumelie e vituperii). Pare fosse uno dei preferiti dello scrittore, ed il figlio – uno che ha avuto un culo così a nascere con quel cognome, perché s'è ritrovato un'eredità mica male – ha ammesso che a quella trama il padre fosse particolarmente legato perché in qualche modo raccontava un'esperienza vissuta realmente.
Quale?
La vicenda de Le campane di Bicêtre è presto detta: un imprenditore di successo, ricco sfondato e personaggio influente della politica e della società francese, un certo giorno si sente male e viene portato immediatamente ad un pronto soccorso. Per alcuni giorni rimane paralizzato, poi con l'aiuto di alcune laboriose infermiere e con l'assistenza di primari con le palle, riesce piano piano a recuperare prima la favella e poi l'uso delle gambe e delle braccia. Ma gli rimane uno scorno: ed ora della mia vita che faccio? Ma davvero è quella che ho sempre voluto? Ma le persone che mi stanno attorno mi amano sul serio o lo fanno perché c'ho un sacco di soldi?
Simenon pare fosse legato a questo libro (attenzione! Non ci sono delitti, non c'è investigazione, non c'è situazione poliziesca... non c'è nulla del 'solito') perché lo riteneva intimista ed essenziale.
Intimista, considerando il normale registro dello scrittore, forse sì, ma essenziale direi proprio il contrario: oltre una superficiale e scontata 'diatriba' sul perché dell'esistenza e perché stare dietro ad una vita piena di soldi, io ci vedo addirittura una storia di facili incomprensioni e di corna.
Sono dell'idea che nessun autore, per quanto bravo ed essenziale, sia immune da critiche e da passi falsi. Ecco, Le campane di Bicêtre è un passo falso nella gloriosa carriera di uno straordinario autore. Può succedere davvero. Ma quel che mi chiedo è un'altra cosa: se è vero come si dice che nonostante la facilità con cui Simenon scrivesse le sue storie alla fine di ognuna si sentisse spossato... beh allora, considerando che ha prodotto almeno trecento libri, lo doveva essere sempre. E questa potrebbe essere una spiegazione alla mal riuscita dei questa storia: può darsi fosse davvero straniato o stranito. Succede.
di Alfredo Ronci
Certo è che ripresentare l'opera omnia dello scrittore francese è impresa ardua. Ma Adelphi pare che abbia deciso di tentarla: e poi come non crederci quando sai che il maître à penser di simile iniziativa è Roberto Calasso, l'intellettuale più fico del globo che quando lo intervistano sta sempre tre quarti e ha il tocco frisson dell'uomo di classe. Colui il quale, nonstante Simenon avesse più volte dichiarato che era fiero della facilità con cui i suoi romanzi venivano tradotti, ha ammesso di averci impiegato un intero anno per tradurne uno (ma avrà almeno sudato? Ma Calasso è umano e quindi suda?).
Questo, permettetemelo di dire, è un romanzo loffio (e qui già immagino contumelie e vituperii). Pare fosse uno dei preferiti dello scrittore, ed il figlio – uno che ha avuto un culo così a nascere con quel cognome, perché s'è ritrovato un'eredità mica male – ha ammesso che a quella trama il padre fosse particolarmente legato perché in qualche modo raccontava un'esperienza vissuta realmente.
Quale?
La vicenda de Le campane di Bicêtre è presto detta: un imprenditore di successo, ricco sfondato e personaggio influente della politica e della società francese, un certo giorno si sente male e viene portato immediatamente ad un pronto soccorso. Per alcuni giorni rimane paralizzato, poi con l'aiuto di alcune laboriose infermiere e con l'assistenza di primari con le palle, riesce piano piano a recuperare prima la favella e poi l'uso delle gambe e delle braccia. Ma gli rimane uno scorno: ed ora della mia vita che faccio? Ma davvero è quella che ho sempre voluto? Ma le persone che mi stanno attorno mi amano sul serio o lo fanno perché c'ho un sacco di soldi?
Simenon pare fosse legato a questo libro (attenzione! Non ci sono delitti, non c'è investigazione, non c'è situazione poliziesca... non c'è nulla del 'solito') perché lo riteneva intimista ed essenziale.
Intimista, considerando il normale registro dello scrittore, forse sì, ma essenziale direi proprio il contrario: oltre una superficiale e scontata 'diatriba' sul perché dell'esistenza e perché stare dietro ad una vita piena di soldi, io ci vedo addirittura una storia di facili incomprensioni e di corna.
Sono dell'idea che nessun autore, per quanto bravo ed essenziale, sia immune da critiche e da passi falsi. Ecco, Le campane di Bicêtre è un passo falso nella gloriosa carriera di uno straordinario autore. Può succedere davvero. Ma quel che mi chiedo è un'altra cosa: se è vero come si dice che nonostante la facilità con cui Simenon scrivesse le sue storie alla fine di ognuna si sentisse spossato... beh allora, considerando che ha prodotto almeno trecento libri, lo doveva essere sempre. E questa potrebbe essere una spiegazione alla mal riuscita dei questa storia: può darsi fosse davvero straniato o stranito. Succede.
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