RECENSIONI
Francesca Cavallero
Le ombre di Morjegrad
Mondadori, Urania 1672, Pag. 272 Euro 6,90
Tre sono i motivi per non perdere questo numero di Urania. Una bella notizia, una bella occasione, una bella lettura.
Ecco la notizia. Si tratta del romanzo vincitore del Premio Urania (concorso annuale bandito dalla Mondadori a partire dal 1989 con l’intento di portare alla ribalta gli autori italiani). E fin qui sembra che non ci sia niente di nuovo. Ma è bene sapere che, in questi trent’anni, una sola volta il premio era andato a una donna: Nicoletta Vallorani lo aveva vinto nel 1992. Si notava un certo fermento, negli ultimi tempi, perché è un dato di fatto che la fantascienza italiana sta crescendo e maturando, e fra le più belle penne ci sono diversi nomi femminili. Tante erano entrate in finale senza centrare l’obiettivo, e già si mormorava su una presunta discriminazione. E insomma, per un verso o per l’altro si attendeva il messia. Finalmente la notizia: il premio del 2018 è andato al romanzo di Francesca Cavallero. Alla convention di Stranimondi tutti col fiato sospeso ad assistere alla sua epifania. E lei era proprio così come doveva essere: giovane, brava, bella, biancovestita, emozionata. Emozione contagiosa. Ora il romanzo è uscito su Urania di novembre, come da tradizione. Fra poco ne parliamo.
Ma intanto dicevo della bella occasione. È la possibilità di leggere nello stesso numero i lavori dei tre finalisti dell’Urania Short (concorso riservato ai racconti). Compilando l’apposito modulo in fondo al volume si può votare il racconto preferito fra Mercy di Fabio Aloisio, Sei mesi in una notte di Elia Gonella, Reboot di Axa Lydia Vallotto. Tre bei racconti, su cui non mi dilungo, che offrono l’occasione di esercitare il proprio diritto di lettori e dare un contributo al progresso della fantascienza italiana.
Infine la bella lettura. E qui, lo dico con autentica gioia, ho avuto una sorpresa rassicurante. Questa giovane autrice riesce a coniugare con eleganza il nuovo e l’antico. Dove il nuovo è una ben fornita cassetta degli attrezzi con tutti gli ingredienti della fantascienza contemporanea: cyberpunk, distopia, azione, ritmo, competenza tecnologica. E l’antico è una solida base linguistica e letteraria. Si allontana così il sospetto che il genere debba evolversi verso una scrittura semplificata e ingabbiata in stilemi omologati al ribasso. Tutt’altro. Lo stile è articolato, denso e fluido nello stesso tempo (leggere per credere). Il linguaggio è ricco e sontuoso. Il livello emotivo è sempre alto, e i colpi di scena si susseguono a ritmo serrato toccando insieme ragione e sentimento. La descrizione dell’ambiente è così efficace e onnicomprensiva da avvolgere il lettore fin dalla prima pagina. La megalopoli di Morjegrad, con i suoi contrasti stridenti fra opulenza artificiosa e indescrivibili miserie, è un incubo distopico a cui per giunta è legato indissolubilmente, come un bubbone immondo, il distretto detentivo di Antenora in cui la disperazione raggiunge abissi di orrore. È una specie di corte dei miracoli dove coesistono malati incurabili, reietti, criminali, cavie soggette ad abominevoli esperimenti. Eppure proprio in questo sottomondo si muovono personaggi che, seppure incattiviti da esperienze terribili, risaltano per il loro spessore umano. Mi riferisco soprattutto alle protagoniste femminili le cui storie, apparentemente lontane, si intrecciano giungendo per vie diverse a una complessa sintesi finale.
La città è situata su un pianeta non meglio identificato e forse di questo non c’era bisogno perché, senza nulla togliere alla storia, avrebbe potuto appartenere a un futuro distopico della Terra.
Molti sono i possibili riferimenti che vengono evocati dalla lettura. La particolare atmosfera fa pensare a Blade Runner, con cui condivide fra l’altro il gusto postmoderno di certi dettagli. E non può non ricordare le rugginose e mefitiche plaghe di Mondo9 Di Dario Tonani, anche per la frequente commistione organica di carne e metallo. Ma le evidenti basi culturali dell’autrice fanno echeggiare suggestioni più antiche, come La maschera della morte rossa di E.A. Poe, consapevolmente richiamata dalla scena della festa nei quartieri alti. O come Il fantasma dell’Opera, il romanzo di Gaston Leroux immortalato dalle numerose trasposizioni teatrali e cinematografiche. In particolare, il “mostro” che conduce la protagonista in barca sulle acque sotterranee, è l’antenato perfetto di Alex, deturpata dalla crudeltà umana nel fisico e nella mente, vendicativa ma ancora capace d’amore.
Salgo sul ferro che geme e raccolgo il remo.
L’odore di decomposizione è spesso, uno strato limoso nell’aria a cui non presto più attenzione.
La luce non arriva fin qui, ma potrei compiere questo percorso a occhi chiusi, lentamente, sul pelo dello Stige.
Il remo accarezza silenzioso lo strato di melma e schiuma in superficie, verso il confine nord della caverna.
(…)
Come sempre, avverto la presenza di esseri striscianti nascosti nelle fessure delle pareti, eternamente in attesa.
di Giovanna Repetto
Ecco la notizia. Si tratta del romanzo vincitore del Premio Urania (concorso annuale bandito dalla Mondadori a partire dal 1989 con l’intento di portare alla ribalta gli autori italiani). E fin qui sembra che non ci sia niente di nuovo. Ma è bene sapere che, in questi trent’anni, una sola volta il premio era andato a una donna: Nicoletta Vallorani lo aveva vinto nel 1992. Si notava un certo fermento, negli ultimi tempi, perché è un dato di fatto che la fantascienza italiana sta crescendo e maturando, e fra le più belle penne ci sono diversi nomi femminili. Tante erano entrate in finale senza centrare l’obiettivo, e già si mormorava su una presunta discriminazione. E insomma, per un verso o per l’altro si attendeva il messia. Finalmente la notizia: il premio del 2018 è andato al romanzo di Francesca Cavallero. Alla convention di Stranimondi tutti col fiato sospeso ad assistere alla sua epifania. E lei era proprio così come doveva essere: giovane, brava, bella, biancovestita, emozionata. Emozione contagiosa. Ora il romanzo è uscito su Urania di novembre, come da tradizione. Fra poco ne parliamo.
Ma intanto dicevo della bella occasione. È la possibilità di leggere nello stesso numero i lavori dei tre finalisti dell’Urania Short (concorso riservato ai racconti). Compilando l’apposito modulo in fondo al volume si può votare il racconto preferito fra Mercy di Fabio Aloisio, Sei mesi in una notte di Elia Gonella, Reboot di Axa Lydia Vallotto. Tre bei racconti, su cui non mi dilungo, che offrono l’occasione di esercitare il proprio diritto di lettori e dare un contributo al progresso della fantascienza italiana.
Infine la bella lettura. E qui, lo dico con autentica gioia, ho avuto una sorpresa rassicurante. Questa giovane autrice riesce a coniugare con eleganza il nuovo e l’antico. Dove il nuovo è una ben fornita cassetta degli attrezzi con tutti gli ingredienti della fantascienza contemporanea: cyberpunk, distopia, azione, ritmo, competenza tecnologica. E l’antico è una solida base linguistica e letteraria. Si allontana così il sospetto che il genere debba evolversi verso una scrittura semplificata e ingabbiata in stilemi omologati al ribasso. Tutt’altro. Lo stile è articolato, denso e fluido nello stesso tempo (leggere per credere). Il linguaggio è ricco e sontuoso. Il livello emotivo è sempre alto, e i colpi di scena si susseguono a ritmo serrato toccando insieme ragione e sentimento. La descrizione dell’ambiente è così efficace e onnicomprensiva da avvolgere il lettore fin dalla prima pagina. La megalopoli di Morjegrad, con i suoi contrasti stridenti fra opulenza artificiosa e indescrivibili miserie, è un incubo distopico a cui per giunta è legato indissolubilmente, come un bubbone immondo, il distretto detentivo di Antenora in cui la disperazione raggiunge abissi di orrore. È una specie di corte dei miracoli dove coesistono malati incurabili, reietti, criminali, cavie soggette ad abominevoli esperimenti. Eppure proprio in questo sottomondo si muovono personaggi che, seppure incattiviti da esperienze terribili, risaltano per il loro spessore umano. Mi riferisco soprattutto alle protagoniste femminili le cui storie, apparentemente lontane, si intrecciano giungendo per vie diverse a una complessa sintesi finale.
La città è situata su un pianeta non meglio identificato e forse di questo non c’era bisogno perché, senza nulla togliere alla storia, avrebbe potuto appartenere a un futuro distopico della Terra.
Molti sono i possibili riferimenti che vengono evocati dalla lettura. La particolare atmosfera fa pensare a Blade Runner, con cui condivide fra l’altro il gusto postmoderno di certi dettagli. E non può non ricordare le rugginose e mefitiche plaghe di Mondo9 Di Dario Tonani, anche per la frequente commistione organica di carne e metallo. Ma le evidenti basi culturali dell’autrice fanno echeggiare suggestioni più antiche, come La maschera della morte rossa di E.A. Poe, consapevolmente richiamata dalla scena della festa nei quartieri alti. O come Il fantasma dell’Opera, il romanzo di Gaston Leroux immortalato dalle numerose trasposizioni teatrali e cinematografiche. In particolare, il “mostro” che conduce la protagonista in barca sulle acque sotterranee, è l’antenato perfetto di Alex, deturpata dalla crudeltà umana nel fisico e nella mente, vendicativa ma ancora capace d’amore.
Salgo sul ferro che geme e raccolgo il remo.
L’odore di decomposizione è spesso, uno strato limoso nell’aria a cui non presto più attenzione.
La luce non arriva fin qui, ma potrei compiere questo percorso a occhi chiusi, lentamente, sul pelo dello Stige.
Il remo accarezza silenzioso lo strato di melma e schiuma in superficie, verso il confine nord della caverna.
(…)
Come sempre, avverto la presenza di esseri striscianti nascosti nelle fessure delle pareti, eternamente in attesa.
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