RECENSIONI
Noël Dutrait
Leggere la Cina
Pisani, Pag.191 Euro 12,00
Non voglio esordire col bignamino marxista - trattando di Cina, poi... ma ora che il Catai va affermandosi come potenza produttiva, riesce interessante anche la sua produzione artistica. Se la liberazione delle donne è un sottoprodotto del petrolio (Piero Angela), può ben essere che il fervore culturale - innanzitutto cinematografico - dell' Impero di Mezzo prorompa dalle sue fabbriche avanti che dalle sue, comunque notevoli, intelligenze. Vero è che c'è stato un periodo in cui la Cina si "portava" molto, e ancora non inondava l'universo mondo con beni più o meno durevoli: ma s'è vendicata a sufficienza della superficialità occidentale di quel periodo, che faceva a taluni prendere lucciole per lanterne (rosse), rifilandoci i ristoranti "dar Cantonese a Casa Càlla" - e il kung fu. Ma, coll'ultimo di Amelio, siamo tornati in vantaggio noi - usando però armi di scocomeramento di massa.
Trainata o comunque agevolata dal fatturato, sostenuta dal cinema, la narrativa (e, in proporzione, il teatro) del paese del Dragone s'è, dagli anni Ottanta a tutt'oggi, scavata una nicchia durevole e non trascurabile nell'immagineria del paese dei Balocchi, l'occidente reale. Questo Leggere la Cina che la postfattrice definisce "agile"(aaaargh!), e che dunque ci auguriamo venga trasferita in una comune agricola del Sechuan, è una buona e corta guida agli Autori, alle scuole, ai fermenti che l'enorme paese sta vivendo ed esprimendo, stretto fra le ganasce d'una storia millenaria, un passato (da poco) tragico e però che, razzolando bassissimo, predicava molto alto, e un presente di turbinosa messa a giorno e di scoperta - assieme alle aperture - dei guai che i meccanismi mercantili portano con loro.
Non intendo fare il sommario del sommario, ed elencare patronimici e titoli da menù di take-away: mi soffermerò invece sulla dialettica fra le correnti - ricordo che il libro copre a volo d'uccello un arco che va dalla morte di Mao (1976) a oggi -, e sui problemi e sulle possibilità delle traduzioni.
E' ovvio che il germe d'ogni attività letteraria cinese sia il rifiuto della "letteratura politica" che l'ortodossia del partito considera come unica possibile: un misto di realsocialismo zdanoviano e di romanticismo rivoluzionario - fatto di culto dell'Eroe, incensamento del piccolo buonuomo politicamente corretto o del sano lavoratore senza grilli per il capo, esaltazione delle conquiste della Patria, che si ritrovano per esempio in tanti film e telefilm, da Frank Capra a La famiglia Brady a Walker Texas Rangers... ah, no, questi stavano con i buoni!
Ad ogni modo: l' accordo d'impianto della sinfonia narrativa cinese è proprio questo rifiuto - anche se diversi Autori avranno un atteggiamento "di sopravvivenza" rispetto ai cànoni socialisti. Dopo la rivoluzione culturale, si assesta infatti la "letteratura delle cicatrici", quelle lasciate dalla politica dei Cento Fiori, che aveva cannibalizzato l'intelligenza del Paese; e una "letteratura di testimonianza" che, attraverso interviste e reportage, si occupa di far conoscere la Cina ai cinesi - ruolo che da noi ebbe "la scoperta dell'Italia", nei tardi anni '40 e fino ai '70 inoltrati, da parte di tanto cinema e narrativa (e ottima tv: Soldati, Zavoli, Gandìn, Comencini). Ad essa si affianca una "letteratura della riflessione" su quei fatti tragici, composta da Autori la posizione dei quali è tuttavia vicina agli ideali del comunismo, che ritengono ancora giusti (p. 37) - i misfatti dei papi non smentiscono il credo dei santi.
Nel medesimo tempo (primi anni '80), ricomincia a farsi sentire l'influsso straniero: da allora, la tensione fra una letteratura di recupero, riutilizzo, adattamento, o semplice supino ricalco di moduli esterni moderni e postmoderni, e una di rinascita della tradizione su stilemi e strutture estranee, digeriti e reinventati in quella luce, sarà il metabolismo basale della vita culturale cinese. L'avanguardia, la ricerca delle radici, il (neo)realismo, sono le tre "forze d'eleganza" (Erri De Luca) che delineano il panorama espressivo, lasciando però spazio ad una ritrovata franchezza nel trattare l'individuo, insinuandosi nelle sue tonalità più intime: dal romanzo delle psicologie alla relazione etero-erotica anche sfacciata, fino al faccia a faccia con "l'assurdo, il morboso, lo scatologico", (p. 105) e insinènte al canìbbolo, (pp. 72 e 80) siccome Crono, il Padre per antonomasia, officia di divorare i suoi figliuoli (gli Dèi non hanno solo sete).
Non solo - sènte ghe te dìghe, cumpa'! In certi testi, s'arriva a trattare l'omosessualità, che ha per ora diritto di cittadinanza (se male non ho capito) solo nei romanzi dei cinesi della diaspora (letteratura della provincia o delle origini), e di preciso "made in Taiwan": nell'isola - peraltro Formosa di suo - si lèsbica cerbiattamente, ci si fanno i ragazzetti nel buio dei parchi civici (nei porchi civici!), e insomma succedono "cosucce evocative". (Paz!!!)
""O tempora! O mores!", conchiuse rattristato il buon Conte" (da Giannettino, di Collodi nepote): ma noi invece - lo promìsimo al Nostro Sagace nel comìncio - concludiamo riflettendo, con la gentile Autrice, sui poteri della traduzione. Essa dimostra, come per la fisiognomica delle emozioni gli studi di Darwin rifatti e confermati da Ekman, l'esistenza di un nucleo comune tra uomini diversi (la traduzione-trasformazione chomskiana). Questo core permette il passaggio da una lingua all'altra, finché si tenga conto della differenza nei dettagli e nei contesti degli stili di vita. Rimane allora possibile, ad una letteratura tanto distante dalla nostra da esprimersi attraverso iconismi, - ovvero parole che sono anche (almeno come primitivi) immagini - che dunque hanno sovrasensi e con-sensi inesprimibili nelle grafìe lineari romane, la voltùra negli idiomi europoidi. Nelle altre lingue non si sa. E non frega, temo.
D'altra parte, che la Cina sia vicina, lo si intuisce anche da aneddoti come il seguente: nel 2000, fu premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian. Un teatro americano gli commissiona un'opera, La fuga, sui fatti di piazza Tian' anmen: "In seguito, la rifiuta perché non glorifica sufficientemente gli studenti che hanno dato il via al movimento (...) e l'Autore si rifiutava di modificarla. Gao Xingjian ha spesso affermato in seguito che, nel periodo in cui viveva in Cina, il partito comunista non era riuscito a fargli cambiare una riga di quello che scriveva e che certo non avrebbe cominciato a farlo ora che viveva all'estero". (p. 115)
Il fatto è che, se stai "all'estero", impari presto quali righe scrivere e quali no. Benvenuti in Paradiso.
di Vera Barilla
Trainata o comunque agevolata dal fatturato, sostenuta dal cinema, la narrativa (e, in proporzione, il teatro) del paese del Dragone s'è, dagli anni Ottanta a tutt'oggi, scavata una nicchia durevole e non trascurabile nell'immagineria del paese dei Balocchi, l'occidente reale. Questo Leggere la Cina che la postfattrice definisce "agile"(aaaargh!), e che dunque ci auguriamo venga trasferita in una comune agricola del Sechuan, è una buona e corta guida agli Autori, alle scuole, ai fermenti che l'enorme paese sta vivendo ed esprimendo, stretto fra le ganasce d'una storia millenaria, un passato (da poco) tragico e però che, razzolando bassissimo, predicava molto alto, e un presente di turbinosa messa a giorno e di scoperta - assieme alle aperture - dei guai che i meccanismi mercantili portano con loro.
Non intendo fare il sommario del sommario, ed elencare patronimici e titoli da menù di take-away: mi soffermerò invece sulla dialettica fra le correnti - ricordo che il libro copre a volo d'uccello un arco che va dalla morte di Mao (1976) a oggi -, e sui problemi e sulle possibilità delle traduzioni.
E' ovvio che il germe d'ogni attività letteraria cinese sia il rifiuto della "letteratura politica" che l'ortodossia del partito considera come unica possibile: un misto di realsocialismo zdanoviano e di romanticismo rivoluzionario - fatto di culto dell'Eroe, incensamento del piccolo buonuomo politicamente corretto o del sano lavoratore senza grilli per il capo, esaltazione delle conquiste della Patria, che si ritrovano per esempio in tanti film e telefilm, da Frank Capra a La famiglia Brady a Walker Texas Rangers... ah, no, questi stavano con i buoni!
Ad ogni modo: l' accordo d'impianto della sinfonia narrativa cinese è proprio questo rifiuto - anche se diversi Autori avranno un atteggiamento "di sopravvivenza" rispetto ai cànoni socialisti. Dopo la rivoluzione culturale, si assesta infatti la "letteratura delle cicatrici", quelle lasciate dalla politica dei Cento Fiori, che aveva cannibalizzato l'intelligenza del Paese; e una "letteratura di testimonianza" che, attraverso interviste e reportage, si occupa di far conoscere la Cina ai cinesi - ruolo che da noi ebbe "la scoperta dell'Italia", nei tardi anni '40 e fino ai '70 inoltrati, da parte di tanto cinema e narrativa (e ottima tv: Soldati, Zavoli, Gandìn, Comencini). Ad essa si affianca una "letteratura della riflessione" su quei fatti tragici, composta da Autori la posizione dei quali è tuttavia vicina agli ideali del comunismo, che ritengono ancora giusti (p. 37) - i misfatti dei papi non smentiscono il credo dei santi.
Nel medesimo tempo (primi anni '80), ricomincia a farsi sentire l'influsso straniero: da allora, la tensione fra una letteratura di recupero, riutilizzo, adattamento, o semplice supino ricalco di moduli esterni moderni e postmoderni, e una di rinascita della tradizione su stilemi e strutture estranee, digeriti e reinventati in quella luce, sarà il metabolismo basale della vita culturale cinese. L'avanguardia, la ricerca delle radici, il (neo)realismo, sono le tre "forze d'eleganza" (Erri De Luca) che delineano il panorama espressivo, lasciando però spazio ad una ritrovata franchezza nel trattare l'individuo, insinuandosi nelle sue tonalità più intime: dal romanzo delle psicologie alla relazione etero-erotica anche sfacciata, fino al faccia a faccia con "l'assurdo, il morboso, lo scatologico", (p. 105) e insinènte al canìbbolo, (pp. 72 e 80) siccome Crono, il Padre per antonomasia, officia di divorare i suoi figliuoli (gli Dèi non hanno solo sete).
Non solo - sènte ghe te dìghe, cumpa'! In certi testi, s'arriva a trattare l'omosessualità, che ha per ora diritto di cittadinanza (se male non ho capito) solo nei romanzi dei cinesi della diaspora (letteratura della provincia o delle origini), e di preciso "made in Taiwan": nell'isola - peraltro Formosa di suo - si lèsbica cerbiattamente, ci si fanno i ragazzetti nel buio dei parchi civici (nei porchi civici!), e insomma succedono "cosucce evocative". (Paz!!!)
""O tempora! O mores!", conchiuse rattristato il buon Conte" (da Giannettino, di Collodi nepote): ma noi invece - lo promìsimo al Nostro Sagace nel comìncio - concludiamo riflettendo, con la gentile Autrice, sui poteri della traduzione. Essa dimostra, come per la fisiognomica delle emozioni gli studi di Darwin rifatti e confermati da Ekman, l'esistenza di un nucleo comune tra uomini diversi (la traduzione-trasformazione chomskiana). Questo core permette il passaggio da una lingua all'altra, finché si tenga conto della differenza nei dettagli e nei contesti degli stili di vita. Rimane allora possibile, ad una letteratura tanto distante dalla nostra da esprimersi attraverso iconismi, - ovvero parole che sono anche (almeno come primitivi) immagini - che dunque hanno sovrasensi e con-sensi inesprimibili nelle grafìe lineari romane, la voltùra negli idiomi europoidi. Nelle altre lingue non si sa. E non frega, temo.
D'altra parte, che la Cina sia vicina, lo si intuisce anche da aneddoti come il seguente: nel 2000, fu premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian. Un teatro americano gli commissiona un'opera, La fuga, sui fatti di piazza Tian' anmen: "In seguito, la rifiuta perché non glorifica sufficientemente gli studenti che hanno dato il via al movimento (...) e l'Autore si rifiutava di modificarla. Gao Xingjian ha spesso affermato in seguito che, nel periodo in cui viveva in Cina, il partito comunista non era riuscito a fargli cambiare una riga di quello che scriveva e che certo non avrebbe cominciato a farlo ora che viveva all'estero". (p. 115)
Il fatto è che, se stai "all'estero", impari presto quali righe scrivere e quali no. Benvenuti in Paradiso.
di Vera Barilla
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