RECENSIONI
André Gorz
Lettera a D. Storia di un amore
Sellerio, Pag.78 Euro 9,00
Partirei dall'epilogo: il 22 settembre 2007, André Gorz, uno degli intellettuali più lucidi di Francia, teorico di una sinistra che, partendo dal '68 e ancor prima, si fa promotrice di istanze antiautoritarie e ecologiche, si uccide insieme alla moglie, affetta da una malattia degenerativa, nel suo appartamento a pochi chilometri da Troyes. Era passato poco più di un anno dalla pubblicazione di questo commovente testamento personale.
Dice Gorz quasi all'inizio: è impossibile spiegare filosoficamente perché si ama e si vuole essere amati da quella precisa persona con l'esclusione di tutte le altre.
E invece ci riesce, consegnandoci il ritratto di una donna fedele e necessaria, indipendente e combattiva, autorevole ed anticonformista ed obbligatoria, se il termine non sembrasse un po' forzato, per decretare una sorta rinnovamento del vivere: la scoperta con te dell'amore,mi avrebbe portato alla fine a voler esistere; e come il mio impegno con te sarebbe diventato la molla di una conversione esistenziale.
Mi rendo conto che mai come in questo caso la presentazione di un libro può sembrare superfluo: perché in esso è già contenuto tutto. Le settantotto pagine di questa confessione d'amore nei confronti di una moglie non racchiudono nulla di inessenziale. Semmai ci si chiede il significato di un gesto siffato in confronto alla vita reale, alla possibilità del contatto fisico e a quella di guardarsi direttamente negli occhi.
L'autore ci viene incontro e ci risponde: è il dire che importa, non il detto – ciò che avevo scritto mi interessava molto meno di quello che avrei potuto scrivere in seguito. Penso che questo sia vero per ogni scrivente/scrittore.
Quindi la scrittura come strumento necessario del divenire: perché l'amore di Gorz per la sua donna è cresciuto di pari passo con gli anni, anche e soprattutto col progredire dei problemi e della malattia.
Il libro inizia così (e non ci si può non commuovere dopo pochissime righe: Hai appena compiuto ottantadue anni. Sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai... La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota e in un paesaggio deserto, cammina dietro un carro funebre. Quest'uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione; non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri... Spio il tuo respiro, la mia mano ti sfiora. Ciascuno di noi vorrebbe nondover sopravvivere alla morte dell'altro. Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme.
André Gorz conclude il libro alla stessa maniera (cioè esattamente con le stesse parole), e come dice bene Adriano Sofri nell'introduzione, al di là di qualche tempo del verbo aggiornato, riscattando quel che c'è in mezzo. Intendiamoci sul termine 'riscattando': non perché l'inizio e la fine del racconto siano essenziali ed il resto un "sovrappiù". No, lo abbiamo già detto, qui tutto è essenziale e calibrato, ma perché con un'apertura e una chiusura del genere non si può competere.
Il "resto" completa la confessione e la straordinaria dedizione dell'uomo verso la sua donna; e quelli che lo stesso Gorz definisce 'tradimenti' sono soltanto la percezione vaga, a volte indefinita nella sua totale assenza di colpe, di una passione parziale.
Sembra una leggera forma di autolesionismo che lo stesso intellettuale in qualche modo confessa: Mi sento a mio agio nell'estetica della sconfitta e dell'annientamento, non in quella del successo e dell'affermazione. Strano a dirsi per un autore di successo, "coccolato" giustamente per meriti da un intellighenzia illuminata, e per un uomo amato fino alle estreme conseguenze.
Perché diciamocelo subito: non ho potuto non immaginare gli ultimi istanti della coppia prima del suicidio. Gli occhi di lei che hanno acconsentito a farsi iniettare il fluido mortale. E la convinzione che nessun dio li avrebbe accolti 'diversamente'. Perché di fronte al tema della morte Gorz, in nessun momento, ha gridato la sua debolezza o ha chiesto aiuto al Padreterno. Questo sì un vero miracolo!
di Alfredo Ronci
Dice Gorz quasi all'inizio: è impossibile spiegare filosoficamente perché si ama e si vuole essere amati da quella precisa persona con l'esclusione di tutte le altre.
E invece ci riesce, consegnandoci il ritratto di una donna fedele e necessaria, indipendente e combattiva, autorevole ed anticonformista ed obbligatoria, se il termine non sembrasse un po' forzato, per decretare una sorta rinnovamento del vivere: la scoperta con te dell'amore,mi avrebbe portato alla fine a voler esistere; e come il mio impegno con te sarebbe diventato la molla di una conversione esistenziale.
Mi rendo conto che mai come in questo caso la presentazione di un libro può sembrare superfluo: perché in esso è già contenuto tutto. Le settantotto pagine di questa confessione d'amore nei confronti di una moglie non racchiudono nulla di inessenziale. Semmai ci si chiede il significato di un gesto siffato in confronto alla vita reale, alla possibilità del contatto fisico e a quella di guardarsi direttamente negli occhi.
L'autore ci viene incontro e ci risponde: è il dire che importa, non il detto – ciò che avevo scritto mi interessava molto meno di quello che avrei potuto scrivere in seguito. Penso che questo sia vero per ogni scrivente/scrittore.
Quindi la scrittura come strumento necessario del divenire: perché l'amore di Gorz per la sua donna è cresciuto di pari passo con gli anni, anche e soprattutto col progredire dei problemi e della malattia.
Il libro inizia così (e non ci si può non commuovere dopo pochissime righe: Hai appena compiuto ottantadue anni. Sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai... La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota e in un paesaggio deserto, cammina dietro un carro funebre. Quest'uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione; non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri... Spio il tuo respiro, la mia mano ti sfiora. Ciascuno di noi vorrebbe nondover sopravvivere alla morte dell'altro. Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme.
André Gorz conclude il libro alla stessa maniera (cioè esattamente con le stesse parole), e come dice bene Adriano Sofri nell'introduzione, al di là di qualche tempo del verbo aggiornato, riscattando quel che c'è in mezzo. Intendiamoci sul termine 'riscattando': non perché l'inizio e la fine del racconto siano essenziali ed il resto un "sovrappiù". No, lo abbiamo già detto, qui tutto è essenziale e calibrato, ma perché con un'apertura e una chiusura del genere non si può competere.
Il "resto" completa la confessione e la straordinaria dedizione dell'uomo verso la sua donna; e quelli che lo stesso Gorz definisce 'tradimenti' sono soltanto la percezione vaga, a volte indefinita nella sua totale assenza di colpe, di una passione parziale.
Sembra una leggera forma di autolesionismo che lo stesso intellettuale in qualche modo confessa: Mi sento a mio agio nell'estetica della sconfitta e dell'annientamento, non in quella del successo e dell'affermazione. Strano a dirsi per un autore di successo, "coccolato" giustamente per meriti da un intellighenzia illuminata, e per un uomo amato fino alle estreme conseguenze.
Perché diciamocelo subito: non ho potuto non immaginare gli ultimi istanti della coppia prima del suicidio. Gli occhi di lei che hanno acconsentito a farsi iniettare il fluido mortale. E la convinzione che nessun dio li avrebbe accolti 'diversamente'. Perché di fronte al tema della morte Gorz, in nessun momento, ha gridato la sua debolezza o ha chiesto aiuto al Padreterno. Questo sì un vero miracolo!
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