RECENSIONI
Toni Bruno
Lo psicotico domato
NPE, Pag. 84 Euro 12,00
Lo psicotico domato è un racconto per immagini di Toni Bruno, dove si inscena il mito dell'artista che raggiunge la grande città per fare successo. Da Platone ai romantici non sono pochi quelli che hanno constatato che, per un artista, l'unica manna dal cielo sulla via del successo è la pazzia. Del resto, agli albori della psicologia moderna, i pionieri del lettino dovevano osservare che qualsiasi contadina che si ammalasse di depressione finiva per ragionare come Platone e i romantici.
La depressione dispensa fondamentali immagini artistiche, e infatti il protagonista del romanzo, nell'assolvimento perfetto del proprio destino di artista, diventa pazzo: si ammala di depressione. Ma inutilmente il lettore cercherà nel racconto la descrizione di come si sta da depressi, di come ci si cura o, magari, come si può utilizzare la malattia. Alla fine non sappiamo se l'eroe ce la fa contro il mostro e, in un finale americano, diventi sano e ricco e celebrato e venerato. Lo psicotico domato non parla di un depresso, ma proprio della depressione.
Lo psicotico domato è il racconto per immagini delle immagini della depressione.
Si potrebbe, allora, parlare, e in una maniera che, per essere distratta, è cionondimeno esatta, di manierismo. E non solo con un riferimento alla stagione post-rinascimentale e a i suoi echi duraturi fino all'espressionismo novecentesco e oltre, ma individuando un principio filosofico. Per filosofia intendo l'arte socratica di chi, non sapendo, vuole sapere; di chi esplora incessantemente il sapere; di chi affina infinitamente gli strumenti adatti ad evocare in ognuno ciò che sa, anzi ciò di cui sa, che gli dà sapore e sugo: l'anima. (qui cito, meno distrattamente, un concetto di sapere, ancora vivo nella cultura greca, ritagliato sull'etimo del termine così come è ricostruito da Richard Broxton Onians in Le origini del pensiero europeo. Intorno al corpo, la mente, l'anima, il mondo, il tempo e il destino). In questo senso, il principio filosofico messo in gioco nel manierismo, è insieme (ovviamente) frutto della più raffinata elaborazione intellettuale occidentale e del ritorno più radicale a un sentimento selvaggio e pagano: l'anima è l'immaginazione, e si può risalire alla sua fonte solo attraverso le immagini. Le immagini perfettamente conchiuse, in grado di rompere le nostre abitudini immaginative, sono le migliori allo scopo. Questo può essere il pensiero di Plotino, dello Pseudo-Dionigi di Alicarnasso o del Giovanni Damesceno di Difesa delle immagini. Questo è l'istintivo atteggiamento filosofico del selvaggio davanti all'immagine. Ed è anche quello di Toni Bruno.
Certo Bruno è dotato di natura, perché manierista lo è fin da un tratto operativo: la sprezzatura. Per lui disegnare bene è facile; qualcosa che si fa senza pensare. Non so quanta fatica ci sia in questo, ma il risultato è quello di una figuratività fluida, incessante, come se tutto comparisse per magia. In Toni Bruno c'è il compiacimento di chi è cosciente dei propri mezzi. Ma è un compiacimento sapienziale, che gli permette di elaborare una costruzione ontologica. La figuratività del fumetto popolare e del pop viene elaborato in stile, diventano una voce che sta perfettamente tra l'espressionista e il bizantino, e permette una puntuale impaginazione rinascimentale della tavola. Le tavole si incastrano tra di loro in un labirinto di rimandi e compenetrazioni incessanti attraverso giochi surreali, giochi dadaistici o, con intuizione radicale, giochi enigmistici. L'intuizione radicale che deve esperire l'eroe davanti al mostro, Edipo davanti alla Sfinge, che l'anima sia un enigma fatale, una scommessa dove si perde la vita anche, e soprattutto, quando si vince.
L'anima, predicava Plotino, è un cerchio: è un'immagine perfetta e ossessiva. E così, alla fine della concatenazione incantatoria di immagini a cui ci sottopone Bruno non si arriva da nessuna parte, perché l'immagine finale è perfettamente conchiusa in un cerchio che ha spezzato le abitudini e i vizi della nostra immaginazione. Liberando una possibilità: quella di sapere chi siamo.
di Pier Paolo Di Mino
La depressione dispensa fondamentali immagini artistiche, e infatti il protagonista del romanzo, nell'assolvimento perfetto del proprio destino di artista, diventa pazzo: si ammala di depressione. Ma inutilmente il lettore cercherà nel racconto la descrizione di come si sta da depressi, di come ci si cura o, magari, come si può utilizzare la malattia. Alla fine non sappiamo se l'eroe ce la fa contro il mostro e, in un finale americano, diventi sano e ricco e celebrato e venerato. Lo psicotico domato non parla di un depresso, ma proprio della depressione.
Lo psicotico domato è il racconto per immagini delle immagini della depressione.
Si potrebbe, allora, parlare, e in una maniera che, per essere distratta, è cionondimeno esatta, di manierismo. E non solo con un riferimento alla stagione post-rinascimentale e a i suoi echi duraturi fino all'espressionismo novecentesco e oltre, ma individuando un principio filosofico. Per filosofia intendo l'arte socratica di chi, non sapendo, vuole sapere; di chi esplora incessantemente il sapere; di chi affina infinitamente gli strumenti adatti ad evocare in ognuno ciò che sa, anzi ciò di cui sa, che gli dà sapore e sugo: l'anima. (qui cito, meno distrattamente, un concetto di sapere, ancora vivo nella cultura greca, ritagliato sull'etimo del termine così come è ricostruito da Richard Broxton Onians in Le origini del pensiero europeo. Intorno al corpo, la mente, l'anima, il mondo, il tempo e il destino). In questo senso, il principio filosofico messo in gioco nel manierismo, è insieme (ovviamente) frutto della più raffinata elaborazione intellettuale occidentale e del ritorno più radicale a un sentimento selvaggio e pagano: l'anima è l'immaginazione, e si può risalire alla sua fonte solo attraverso le immagini. Le immagini perfettamente conchiuse, in grado di rompere le nostre abitudini immaginative, sono le migliori allo scopo. Questo può essere il pensiero di Plotino, dello Pseudo-Dionigi di Alicarnasso o del Giovanni Damesceno di Difesa delle immagini. Questo è l'istintivo atteggiamento filosofico del selvaggio davanti all'immagine. Ed è anche quello di Toni Bruno.
Certo Bruno è dotato di natura, perché manierista lo è fin da un tratto operativo: la sprezzatura. Per lui disegnare bene è facile; qualcosa che si fa senza pensare. Non so quanta fatica ci sia in questo, ma il risultato è quello di una figuratività fluida, incessante, come se tutto comparisse per magia. In Toni Bruno c'è il compiacimento di chi è cosciente dei propri mezzi. Ma è un compiacimento sapienziale, che gli permette di elaborare una costruzione ontologica. La figuratività del fumetto popolare e del pop viene elaborato in stile, diventano una voce che sta perfettamente tra l'espressionista e il bizantino, e permette una puntuale impaginazione rinascimentale della tavola. Le tavole si incastrano tra di loro in un labirinto di rimandi e compenetrazioni incessanti attraverso giochi surreali, giochi dadaistici o, con intuizione radicale, giochi enigmistici. L'intuizione radicale che deve esperire l'eroe davanti al mostro, Edipo davanti alla Sfinge, che l'anima sia un enigma fatale, una scommessa dove si perde la vita anche, e soprattutto, quando si vince.
L'anima, predicava Plotino, è un cerchio: è un'immagine perfetta e ossessiva. E così, alla fine della concatenazione incantatoria di immagini a cui ci sottopone Bruno non si arriva da nessuna parte, perché l'immagine finale è perfettamente conchiusa in un cerchio che ha spezzato le abitudini e i vizi della nostra immaginazione. Liberando una possibilità: quella di sapere chi siamo.
di Pier Paolo Di Mino
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