RECENSIONI
Philippe Jaenada
Lo strano caso di Henri Girard
Sellerio, Traduzione di Angelo Molica Franco, Pag. 672 Euro 18.00
E’ un libro desueto, questo. Una lunga dissertazione su un delitto avvenuto alla fine del 1941 in Francia,vicino Parigi, sotto l’occupazione nazista (ma di nazisti non c’è ombra). Delitto che vede come vittime il padre, la zia e la cameriera di Henri Girard, un giovane viziato e incostante.
Perché un libro desueto? Perché nonostante le buonissime intenzioni dell’autore (noi italiani queste ricerche ce le sogniamo), la trama si perde tra sospiri e languide carezze, relegando la soluzione del mistero (che non c’è, ma i più furbi sanno che c’è) alla fine di una storia che è lunga ed interminabile.
Il delitto viene sviscerato (participio molto centrato) come meglio non si potrebbe, arrivando persino ad ammettere che lo sfondo potrebbe essere addirittura sociale …Se si fosse trattato di un semplice operaio, invece del privilegiato che avete voluto difendere, sarebbe stato condannato e giustiziato da un bel pezzo, non ne parleremmo più. Invece fu fatto di tutto per ottenere l’assoluzione di questo assassino, di questo ricco farabutto, con lo scopo di salvare la gloria della vostra élite, del vostro mondo.
Effettivamente Henri Girard non è uno stinco di santo, ha parecchie cosucce sulla spalle (una volta fuori dal processo diventerà anche uno scrittore affermato, soprattutto con un romanzo, Il salario della paura, tradotto molti anni dopo anche in Italia), ma la sua presunta partecipazione al delitto dividerà il popolo francese, tra cortesie affettive e maldicenze oltre misura.
Ma la soluzione al mistero c’è (eccome!) e viene lanciata così, come se nulla fosse, per trasformare un libro di indagine in un vero e proprio noir a orologeria (fate attenzione ad un ragazzo che dice di aver visto il castello, il posto dove avviene il misfatto, tutto spento alle 21.30).
Jaenada è convinto, nonostante tutto, di aver scritto una buona storia (si diverte pure a prendere delle personali iniziative per non mostrarsi troppo succube delle proprie convinzioni) ed è consapevole che spesso le manifestazioni più evidenti possono non essere quelle più veritiere.
Noi, nonostante la lunghezza spropositata del libro (quasi settecento pagine non è uno scherzo) ci sentiamo molto vicini a Jaenada. Ma non perché la storia ha avuto buon riscontro e ha ricevuto la candidatura al premio Goncourt, ma perché di fronte a certe situazioni, procedere con sottigliezza e capacità induttiva è forse la cosa migliore da farsi in assoluto.
E mettici pure che Henri Girard ci è subito rimasto simpatico.
di Alfredo Ronci
Perché un libro desueto? Perché nonostante le buonissime intenzioni dell’autore (noi italiani queste ricerche ce le sogniamo), la trama si perde tra sospiri e languide carezze, relegando la soluzione del mistero (che non c’è, ma i più furbi sanno che c’è) alla fine di una storia che è lunga ed interminabile.
Il delitto viene sviscerato (participio molto centrato) come meglio non si potrebbe, arrivando persino ad ammettere che lo sfondo potrebbe essere addirittura sociale …Se si fosse trattato di un semplice operaio, invece del privilegiato che avete voluto difendere, sarebbe stato condannato e giustiziato da un bel pezzo, non ne parleremmo più. Invece fu fatto di tutto per ottenere l’assoluzione di questo assassino, di questo ricco farabutto, con lo scopo di salvare la gloria della vostra élite, del vostro mondo.
Effettivamente Henri Girard non è uno stinco di santo, ha parecchie cosucce sulla spalle (una volta fuori dal processo diventerà anche uno scrittore affermato, soprattutto con un romanzo, Il salario della paura, tradotto molti anni dopo anche in Italia), ma la sua presunta partecipazione al delitto dividerà il popolo francese, tra cortesie affettive e maldicenze oltre misura.
Ma la soluzione al mistero c’è (eccome!) e viene lanciata così, come se nulla fosse, per trasformare un libro di indagine in un vero e proprio noir a orologeria (fate attenzione ad un ragazzo che dice di aver visto il castello, il posto dove avviene il misfatto, tutto spento alle 21.30).
Jaenada è convinto, nonostante tutto, di aver scritto una buona storia (si diverte pure a prendere delle personali iniziative per non mostrarsi troppo succube delle proprie convinzioni) ed è consapevole che spesso le manifestazioni più evidenti possono non essere quelle più veritiere.
Noi, nonostante la lunghezza spropositata del libro (quasi settecento pagine non è uno scherzo) ci sentiamo molto vicini a Jaenada. Ma non perché la storia ha avuto buon riscontro e ha ricevuto la candidatura al premio Goncourt, ma perché di fronte a certe situazioni, procedere con sottigliezza e capacità induttiva è forse la cosa migliore da farsi in assoluto.
E mettici pure che Henri Girard ci è subito rimasto simpatico.
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