CLASSICI
Alfredo Ronci
Ma era uno scrittore di successo?: “Uccidi o muori” di Libero Bigiaretti.
Scriveva Walter Pedullà tempo fa: E’ cominciata prima del 1956 la crisi del neorealismo, anche se naturalmente continuavano a uscire buoni romanzi o racconti. (…) Scrivono testi che scaricano tensione politica e morale Bernari, Palumbo, Incoronato, De Jaco, Jovine, Saito, Seminara e altri narratori, per lo più meridionali. La questione è un’altra. Si avverte che un linguaggio, già vittorioso, ha dato quanto poteva dare e ora si pone come ostacolo all’avvento di un modo di dire adatto alle novità sociali e culturali esplose intorno al 1955-1956.
Sempre arduo stabilire chi viene prima: il linguaggio o la realtà?
Nell’analisi di Pedullà, del tutto coerente ed intelligente, c’è però un ma. O quanto meno una realtà che forse (faccio bene a dire forse) è distante (anche se non del tutto) da un certo tipo di linguaggio e che spesso i nostri autori l’hanno presa in seconda battuta: il fantastico.
Forse, proprio dal discorso che fa Pedullà che si potrebbe inserire uno spazio, e nemmeno tanto esiguo, in modo che le due posizioni (realtà e linguaggio) siano apparentemente lontane ma assai vicine per altre situazioni ed altri intendimenti culturali.
Libero Bigiaretti con Uccidi o muori fa proprio questo. In questo libro che si compone di quattro racconti, proprio in quello che ne dà il titolo, prova a tentare una strada che, apparentemente lontana da qualsivoglia situazione, in realtà mostra agganci ben sostanziosi e realistici.
Una cosa però mi preme dire su Bigiaretti, anche se la questione può sembrare del tutto insufficiente: ma lo si può, soprattutto ai giorni d’oggi, considerarlo un autore che va cercando in tutti i modi e maniere il grosso successo? Cioè uno che, pur appoggiandosi a tematiche del tutto probabili (e a volte come nel caso in questione, distanti ma presenti) va alla ricerca di un successo editoriale?
Scrivevamo di lui in tempi passati: fin dagli esordi Bigiaretti affrontò il discorso dell'incomunicabilità e comunque di una sottile analisi dei sentimenti, mai disgiunto da una salda condizione morale e politica. Forse La controfigura rappresenta un rito di passaggio nella stagione letteraria dello scrittore marchigiano: da qui in poi (ed è un 'qui' importante visti i riconoscimenti al libro, a cominciare dal premio Viareggio) alla premura della condizione degli individui sostituisce il tema della industrializzazione e della funzione dell'intellettuale nella società cambiata e tecnologica.
Non me ne voglia il lettore, ma sembra quasi che il Bigiaretti voglia stare esattamente sul tema, affrontandolo con impegno e sostanza, ma sempre comunque in rilievo, come se ignorandolo si possa addirittura ignorare il mondo.
Prendiamo per esempio questo libro, Uccidi o muori, e in particolar modo proprio il racconto che dà il titolo all’intera produzione. La filosofia su cui si basa il testo, se vogliamo, può assolutamente essere sbattuta sul piatto della nostra conoscenza contemporanea.
In un paese lontano il protagonista viene arrestato perché ritenuto responsabile del furto di un gioiello di un vecchio totem del luogo. Dopo vari affanni e meditazioni si arriverà alla conclusione che il presunto colpevole è invece innocente e che il vero autore del furto è un signore di alto rango del posto. La punizione però è affidata al protagonista il quale o uccide con le sue stesse mani il responsabile o al contrario viene egli stesso ucciso.
Mi pare evidente come il fatto in sé (del tutto fantastico) non ha assolutamente nessun valore, mentre è di assoluta importanza quello che a noi occidentali sembra essere un eccesso del tutto imprevisto. Siamo dunque di fronte ad un enigma esistenziale, o a un dubbio politico o alla stessa nullità di un confronto antropologico?
Anche gli altri racconti di questo libro hanno evidenti riferimenti “fantastici” ma Uccidi o muori, il primo, ha combinazioni non del tutto previste.
Ma Bigiaretti che parla di imprevisti (Uccidi o muori), del periodo sessantottino (La controfigura) o della successiva industrializzazione e della funzione dell'intellettuale nella società cambiata e tecnologica, rimane comunque uno scrittore che cerca a tutti i costi il successo?
L’edizione da noi considerata è:
Libero Bigiaretti
Uccidi o muori
Vallecchi
Sempre arduo stabilire chi viene prima: il linguaggio o la realtà?
Nell’analisi di Pedullà, del tutto coerente ed intelligente, c’è però un ma. O quanto meno una realtà che forse (faccio bene a dire forse) è distante (anche se non del tutto) da un certo tipo di linguaggio e che spesso i nostri autori l’hanno presa in seconda battuta: il fantastico.
Forse, proprio dal discorso che fa Pedullà che si potrebbe inserire uno spazio, e nemmeno tanto esiguo, in modo che le due posizioni (realtà e linguaggio) siano apparentemente lontane ma assai vicine per altre situazioni ed altri intendimenti culturali.
Libero Bigiaretti con Uccidi o muori fa proprio questo. In questo libro che si compone di quattro racconti, proprio in quello che ne dà il titolo, prova a tentare una strada che, apparentemente lontana da qualsivoglia situazione, in realtà mostra agganci ben sostanziosi e realistici.
Una cosa però mi preme dire su Bigiaretti, anche se la questione può sembrare del tutto insufficiente: ma lo si può, soprattutto ai giorni d’oggi, considerarlo un autore che va cercando in tutti i modi e maniere il grosso successo? Cioè uno che, pur appoggiandosi a tematiche del tutto probabili (e a volte come nel caso in questione, distanti ma presenti) va alla ricerca di un successo editoriale?
Scrivevamo di lui in tempi passati: fin dagli esordi Bigiaretti affrontò il discorso dell'incomunicabilità e comunque di una sottile analisi dei sentimenti, mai disgiunto da una salda condizione morale e politica. Forse La controfigura rappresenta un rito di passaggio nella stagione letteraria dello scrittore marchigiano: da qui in poi (ed è un 'qui' importante visti i riconoscimenti al libro, a cominciare dal premio Viareggio) alla premura della condizione degli individui sostituisce il tema della industrializzazione e della funzione dell'intellettuale nella società cambiata e tecnologica.
Non me ne voglia il lettore, ma sembra quasi che il Bigiaretti voglia stare esattamente sul tema, affrontandolo con impegno e sostanza, ma sempre comunque in rilievo, come se ignorandolo si possa addirittura ignorare il mondo.
Prendiamo per esempio questo libro, Uccidi o muori, e in particolar modo proprio il racconto che dà il titolo all’intera produzione. La filosofia su cui si basa il testo, se vogliamo, può assolutamente essere sbattuta sul piatto della nostra conoscenza contemporanea.
In un paese lontano il protagonista viene arrestato perché ritenuto responsabile del furto di un gioiello di un vecchio totem del luogo. Dopo vari affanni e meditazioni si arriverà alla conclusione che il presunto colpevole è invece innocente e che il vero autore del furto è un signore di alto rango del posto. La punizione però è affidata al protagonista il quale o uccide con le sue stesse mani il responsabile o al contrario viene egli stesso ucciso.
Mi pare evidente come il fatto in sé (del tutto fantastico) non ha assolutamente nessun valore, mentre è di assoluta importanza quello che a noi occidentali sembra essere un eccesso del tutto imprevisto. Siamo dunque di fronte ad un enigma esistenziale, o a un dubbio politico o alla stessa nullità di un confronto antropologico?
Anche gli altri racconti di questo libro hanno evidenti riferimenti “fantastici” ma Uccidi o muori, il primo, ha combinazioni non del tutto previste.
Ma Bigiaretti che parla di imprevisti (Uccidi o muori), del periodo sessantottino (La controfigura) o della successiva industrializzazione e della funzione dell'intellettuale nella società cambiata e tecnologica, rimane comunque uno scrittore che cerca a tutti i costi il successo?
L’edizione da noi considerata è:
Libero Bigiaretti
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