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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

David Demchuk

Madre delle ossa

Zona 42, Traduzione di Claudia Durastanti, Pag. 256 Euro 15,90
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È un libro, questo, che sfugge a qualsiasi tentativo di catalogazione. Per questo e per altri motivi è un libro straordinario. Non è un romanzo, e nemmeno un’antologia nel senso più banale del termine, perché un cemento comune unisce tutte le storie. Riguardo al genere, poi, siamo daccapo. Realismo magico? Horror, weird? Fiabe, leggende, storie di fantasmi? Reali storie di guerra?  C’è tutto questo e forse perfino dell’altro. Dire che è una sorta di Spoon River sarebbe riduttivo, e l’autore stesso ammette di non essersi affatto ispirato a Masters. Le fonti che hanno ispirato lo scrittore canadese sono altre, due essenzialmente: il folklore legato alle sue origini slave e l’incontro con una straordinaria collezione fotografica. È quest’ultima che fa del libro un colpo di genio. Più precisamente si può dire che ne alimenta lo spessore visionario. Ogni racconto ha per titolo un nome ed è preceduto da una foto. Le foto sono state scattate dal fotografo romeno Costica Acsinte, per la maggior parte negli anni tra il 1935 e il 1945, ma ce ne sono anche di più antiche. Quasi tutte sono ritratti di adulti o di bambini, fotografati da soli o più raramente in coppia. Solo poche foto rappresentano ambienti vuoti. C’è da dire che queste immagini, di per sé, emanano un grande fascino. Ne sono complici il color seppia, la fissità delle persone raffigurate, il loro abbigliamento antiquato e talvolta reso struggente da ingenui abbellimenti, infine lo stato di conservazione, inquietante sia quando appare perfetto che quando è dolorosamente logoro e sfregiato. Chi non ha letto il libro può pensare che io stia parlando delle illustrazioni (Ah, è un libro illustrato? No). Le foto non servono a illustrare il libro. Ognuna di esse fa parte del racconto. Ne fa parte come elemento ispiratore, nel senso che l’autore ha scelto immagini di sconosciuti e ha scritto per ciascuno una storia: non la storia della persona fotografata, di cui non sapeva nulla, ma la storia di ciò che l’immagine gli ha suscitato. Così si sono fusi in un unico crogiuolo i volti fissati dal fotografo romeno, le memorie vere o fantastiche relative a quell’area geografica, e le sensazioni personali e profonde dello scrittore. Inoltre ogni foto è un elemento che il lettore può assaporare durante la lettura. Anzi è “costretto” a farlo, e vedrete quante volte vi toccherà tornare all’immagine per interrogarla con gli occhi, per suggere il veleno inebriante del suo mistero! Di cose ne ho letto tante, ma non mi vergogno a dire che leggere questo libro è stata un’esperienza.
   A questo punto dovrei dire qualcosa di più riguardo al contenuto. Il contenuto! Mi viene da ridere. Come dicevo non è un libro facile da descrivere, bisogna immergervisi per capire di che si tratta. Ma almeno un po’ devo provarci. Intanto si deve sapere che i racconti non sono tutti dello stesso genere, nonostante (so che questo pare strano) siano impregnati della stessa atmosfera. Alcuni sono decisamente di genere fantastico, perché vi si parla di figure mitiche del folklore slavo, come la rusalka, lo strigoi, la Madre Ossa e altre ancora. Figure minacciose quanto ineluttabili. Ineluttabili: c’è tanto fatalismo nel folklore di tutti i popoli, come ce n’è in queste storie (una rassegnazione che la nostra attuale civiltà urbanizzata non conosce, perché la filosofia è quella di poter sconfiggere qualsiasi cosa, compreso il destino naturale dell’essere umano). Altri racconti parlano di fantasmi, altri ancora semplicemente di guerra. Ma non c’è differenza. La storia di una coppia che ammazza e cucina il figlio perché impazzita dalla fame (Dimitri) non è meno agghiacciante di quella del fantasma che uccide per vendetta (Ivan). Dimenticavo: tutti i racconti (piuttosto brevi, che la concisione rende più intensi) sono scritti in prima persona, ma quasi tutti i protagonisti si raccontano da morti. Lo stile è essenziale, pacato, tanto più efficace quanto più è privo di enfasi. Ti sta raccontando una cosa tremenda, e sa farti capire che è tremenda, però te lo dice con calma, come se fosse normale, ed è proprio questo che ti fa venire i brividi: il peggiore dei mali è lì davanti a te ed è una cosa normale, che potrebbe capitare a chiunque. Come in Andreas, una storia che ho trovato particolarmente agghiacciante nella sua estrema semplicità. Senza sprecare tante parole racconta di una casa maledetta.
   L’anziana signora Borowycz era ancora viva, allora, ma qualsiasi altra cosa vivesse lì, non era più sotto il suo controllo.
   Non ci sono scene di sangue, almeno non esplicite. È una storia di bambini. Come è bambino il protagonista, che di nascosto risponde al richiamo di un altro bambino, terribilmente pallido, che appare alla finestra della casa ormai abbandonata. Fra i due succede qualcosa che non viene descritto. Non ce n’è bisogno, perché ne scopriamo le conseguenze poco dopo, quando non c’è più nulla da fare. Il male è arrivato sommessamente, quasi dolcemente. E, come dicevo, ineluttabilmente. 

di Giovanna Repetto


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