RECENSIONI
Mira Jacob
Manuale di danza del sonnambulo
Neri Pozza, Traduzione di Ada Arduini, Pag. 544 Euro 18,00
Diciamolo subito: non è il mio libro, ma ne riconosco la potenza narrativa che si snoda per più di 500 pagine. Manuale di danza del sonnambulo è la storia – che non segue un ordine cronologico, ma usa la tecnica dei salti temporali – della famiglia di Amina, una famiglia indiana che ha lasciato le sacre rive del Gange per trasferirsi negli Stati Uniti. Quella che Mira Jacob ci narra è perciò una storia di integrazione che si snoda negli anni e illustra tutti i dolori e le gioie di questa famiglia.
Tutte le pagine “trasudano” India: i costumi, i cibi (preparati in continuazione dalla madre di Amina), le abitudini. È con questi elementi che Amina, assoluta protagonista della narrazione, in qualche maniera si scontra pur senza rifiutarle.
Il romanzo è corposo e i molti personaggi che si avvicendano sulla scena, sono condotti con maestria dall’autrice che ci ha messo dieci anni a scrivere il romanzo. Eppure l’impressione è che ogni tanto la narrazione quasi si blocchi avviluppandosi su se stessa. Interessante è vedere le differenze empatiche tra gli immigrati della prima generazione (Thomas, il padre di Amina e Kamala, sua madre) ormai stabilitisi in America, ma psicologicamente sospesi in una sorta di terra-di-mezzo, e la generazione dei loro figli, per cui l’India è ormai solo un luogo geografico. A saldare questa differenza in Manuale di danza del sonnambulo, c’è il cibo indiano con i suoi odori speziati e i gusti decisi che Kamala prepara in continuazione.
Non nego perciò la bravura dell’autrice (del resto fatevi un giro in rete e leggerete giudizi entusiasti sul romanzo), ma tutta l’operazione non mi ha convinto. Non riesco a concepire l’idea che uno scrittore passi dieci anni sullo stesso manoscritto: cambiano, in un periodo così lungo, i motori che fanno girare la sua immaginazione e l’ispirazione. Il romanzo, infatti, risente infatti di questa stratificazione e non tutte le pagine sembrano tutte allo stesso livello
di Marco Minicangeli
Tutte le pagine “trasudano” India: i costumi, i cibi (preparati in continuazione dalla madre di Amina), le abitudini. È con questi elementi che Amina, assoluta protagonista della narrazione, in qualche maniera si scontra pur senza rifiutarle.
Il romanzo è corposo e i molti personaggi che si avvicendano sulla scena, sono condotti con maestria dall’autrice che ci ha messo dieci anni a scrivere il romanzo. Eppure l’impressione è che ogni tanto la narrazione quasi si blocchi avviluppandosi su se stessa. Interessante è vedere le differenze empatiche tra gli immigrati della prima generazione (Thomas, il padre di Amina e Kamala, sua madre) ormai stabilitisi in America, ma psicologicamente sospesi in una sorta di terra-di-mezzo, e la generazione dei loro figli, per cui l’India è ormai solo un luogo geografico. A saldare questa differenza in Manuale di danza del sonnambulo, c’è il cibo indiano con i suoi odori speziati e i gusti decisi che Kamala prepara in continuazione.
Non nego perciò la bravura dell’autrice (del resto fatevi un giro in rete e leggerete giudizi entusiasti sul romanzo), ma tutta l’operazione non mi ha convinto. Non riesco a concepire l’idea che uno scrittore passi dieci anni sullo stesso manoscritto: cambiano, in un periodo così lungo, i motori che fanno girare la sua immaginazione e l’ispirazione. Il romanzo, infatti, risente infatti di questa stratificazione e non tutte le pagine sembrano tutte allo stesso livello
di Marco Minicangeli
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