RECENSIONI
Diego Romeo
Mare nostrum
Ensemble, Pag. 186 Euro 15,00
Mala tempora currunt! Tant’è vero che una testimonianza come questa, per quanto drammatica, porta a rimpiangere i tempi in cui, sia pure con tante difficoltà e con inevitabili perdite di vite umane, si poteva contare su progetti come Mare nostrum, fondati sulla premessa che salvare dei naufraghi non fosse un reato, bensì un’azione di ordinaria umanità.
Diego Romeo utilizza abilmente una testimonianza vera ma raccolta in modo indiretto, facendola sua. Può così unire il reportage al racconto, l’informazione all’emozione. In questo modo descrive, nei panni di una volontaria imbarcata sulla nave Vesuvio, uno dei tanti viaggi della Marina Italiana in missione di salvataggio nel Mediterraneo. La protagonista è Giovanna, una dottoressa del servizio sanitario nazionale, impegnata per la prima volta in quel tipo di volontariato: parlando in prima persona stila giorno per giorno il suo personale diario di bordo. E dunque il libro viaggia su due binari paralleli. Da un lato l’esperienza dell’operatrice impegnata un’operazione nuova per lei, le sue ingenuità e le sue scoperte, i rapporti con i colleghi e con i marinai, le cameratesche schermaglie con l’ammiraglio Romagnoli di cui segretamente subisce il fascino, e gli slanci di altruismo che troppo spesso sfociano nel senso di impotenza provocato da problemi che, comunque li si affronti, sono sempre troppo grandi per essere risolti del tutto. E proprio questo è l’altro binario: la tragedia umanitaria, la sofferenza indicibile di tanti innocenti in fuga dalla guerra e da orrori di ogni sorta, le vite salvate che sono sempre troppo poche rispetto a quelle perdute in mare.
C’è sempre bisogno di libri come questo, per supplire alla scarsa immaginazione degli indifferenti.
Scendemmo di corsa dalle scalette per dirigerci nella stiva. Appena arrivammo in prossimità dell’ingresso, un tanfo rancido di urina e vomito mi colpì in pieno viso (…) Sul pavimento c’era come un’unica pozzanghera di fluidi corporei di vario genere (…) Il marinaio mi indicò un angolo della grande stanza, dove intravidi una giovane donna, a terra tra i liquami, che si lamentava e si contorceva…
Questo è lo scenario apocalittico in cui una donna sta per partorire. È forse il momento più drammatico del libro, in cui non mancano altri episodi significativi. Come quando la dottoressa si trova a tu per tu con un medico siriano, fuggito dalla guerra e naufragato con tutta la famiglia, e le viene spontaneo accettare la sua collaborazione: riconoscerlo come collega la porta a formulare amare riflessioni sulle barriere geografiche che forzatamente dividono le persone nelle due ineluttabili categorie dei privilegiati e degli oppressi.
Al di là dell’aspetto didascalico, che talvolta prevale su quello letterario, la lettura è coinvolgente. Soprattutto, di un libro come questo si può dire, una volta tanto senza retorica, che si tratta di un libro necessario.
di Giovanna Repetto
Diego Romeo utilizza abilmente una testimonianza vera ma raccolta in modo indiretto, facendola sua. Può così unire il reportage al racconto, l’informazione all’emozione. In questo modo descrive, nei panni di una volontaria imbarcata sulla nave Vesuvio, uno dei tanti viaggi della Marina Italiana in missione di salvataggio nel Mediterraneo. La protagonista è Giovanna, una dottoressa del servizio sanitario nazionale, impegnata per la prima volta in quel tipo di volontariato: parlando in prima persona stila giorno per giorno il suo personale diario di bordo. E dunque il libro viaggia su due binari paralleli. Da un lato l’esperienza dell’operatrice impegnata un’operazione nuova per lei, le sue ingenuità e le sue scoperte, i rapporti con i colleghi e con i marinai, le cameratesche schermaglie con l’ammiraglio Romagnoli di cui segretamente subisce il fascino, e gli slanci di altruismo che troppo spesso sfociano nel senso di impotenza provocato da problemi che, comunque li si affronti, sono sempre troppo grandi per essere risolti del tutto. E proprio questo è l’altro binario: la tragedia umanitaria, la sofferenza indicibile di tanti innocenti in fuga dalla guerra e da orrori di ogni sorta, le vite salvate che sono sempre troppo poche rispetto a quelle perdute in mare.
C’è sempre bisogno di libri come questo, per supplire alla scarsa immaginazione degli indifferenti.
Scendemmo di corsa dalle scalette per dirigerci nella stiva. Appena arrivammo in prossimità dell’ingresso, un tanfo rancido di urina e vomito mi colpì in pieno viso (…) Sul pavimento c’era come un’unica pozzanghera di fluidi corporei di vario genere (…) Il marinaio mi indicò un angolo della grande stanza, dove intravidi una giovane donna, a terra tra i liquami, che si lamentava e si contorceva…
Questo è lo scenario apocalittico in cui una donna sta per partorire. È forse il momento più drammatico del libro, in cui non mancano altri episodi significativi. Come quando la dottoressa si trova a tu per tu con un medico siriano, fuggito dalla guerra e naufragato con tutta la famiglia, e le viene spontaneo accettare la sua collaborazione: riconoscerlo come collega la porta a formulare amare riflessioni sulle barriere geografiche che forzatamente dividono le persone nelle due ineluttabili categorie dei privilegiati e degli oppressi.
Al di là dell’aspetto didascalico, che talvolta prevale su quello letterario, la lettura è coinvolgente. Soprattutto, di un libro come questo si può dire, una volta tanto senza retorica, che si tratta di un libro necessario.
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