RECENSIONI
Clelia Farris
Necrospirante
Delos Digital, Pag. 228 Euro 15,00
L’ho conosciuta da poco, questa voce della fantascienza italiana, ma l’ho subito amata. Il fascino che promana dai suoi romanzi si accresce di un’aura di mistero per il suo essere schiva, assente dai social. Eppure prima o poi riuscirò a incontrarla. Se qualcuno l’ha paragonata a Ursula Le Guin non ha esagerato, non fosse altro che per la felice inventiva nel creare mondi (mondi umani, non le occorre altro!) densi di particolari immaginifici. Una fantasia illimitata, supportata evidentemente da un’ampia cultura classica, si espande in una fioritura di trovate di grande originalità. Riguardo a questo romanzo vorrei coniare il termine “distopia magica” per il suo modo di descrivere l’ambiente. Si tratta di un mondo post moderno parzialmente desertificato, invaso dalla sabbia, abitato da popolazioni umane culturalmente impoverite e attaccate a valori imposti dalle nuove necessità di vita, ma anche piene di stupore per fenomeni e reperti ereditati dalle civiltà precedenti. I cercatori che si muovono con gli sci sulla sabbia per recuperare tesori sepolti ricordano un po’ gli stalker dei fratelli Strugatsky, in bilico fra la cinica avidità e il senso del meraviglioso.
È anche una sorta di romanzo picaresco, costellato di incontri e avventure. Una storia on the road, in cui tutti si muovono continuamente alla ricerca di qualcosa, incontrandosi e separandosi, e a volte tornando al punto di partenza.
La trovata centrale è l’esistenza dei Necrospiranti, creature misteriose e temibili di origine incerta. Una sorta di morti viventi, via di mezzo fra zombi e vampiri, ma di fatto diversi dagli uni e dagli altri. Si nutrono di sangue vivo ma amano la luce del sole, non respirano ma possono parlare. Il lettore esigente qui avrebbe diverse cose da obiettare, perché non tutto viene chiarito in modo soddisfacente. Per esempio proprio la loro capacità di parlare non ha spiegazioni, perché, possedendo organi di fonazione identici a quelli dei comuni mortali, dovrebbero esprimersi emettendo il fiato come tutti noi che respiriamo. Anche la loro genesi, che si scopre con il procedere della storia, non convince del tutto. Ma questo non toglie niente alle emozioni che il romanzo regala.
Il racconto inizia nel vivo dell’azione, cogliendo il protagonista in una situazione drammatica volgente al tragico. C’è qualcosa di peggio che essere gettato in mezzo a un deserto insieme a una necrospirante affamata di sangue? Sì, c’è di peggio: essere legato a quella creatura da una corda indistruttibile.
Sbatté ancora le palpebre e mise a fuoco una mano. Sbucava dal groviglio e gli stringeva la caviglia destra. Una fitta di dolore lo costrinse a inarcare la schiena: sembrava che un ago caldo gli stesse penetrando nel collo del piede. Cercò di ritrarlo e calciò il cespuglio con l’altro piede. Quello che aveva creduto essere un aggrovigliato intrico di rami spinosi sollevò la testa, emettendo uno stridulo verso di disappunto.
Contro ogni previsione, ma in ottemperanza a elementari principi della logica, i due nemici incatenati si accorgono subito che dovranno trovare un modus vivendi, per quanto improbabile. Il deserto in cui si trovano (lui per punizione, lei perché fra parte di una razza destinata comunque allo sterminio) è talmente vasto e inospitale che la necrospirante è costretta a tenere in vita l’uomo per razionare la sua riserva di sangue. Lui, impossibilitato a contrastarla a causa della disparità di forze, non può fare altro che seguirla nella faticosa peregrinazione sperando di trovare lo strumento speciale (unico obiettivo comune) in grado di tagliare la corda che li unisce.
Il loro percorso si interseca con quello di altri viaggiatori. C’è chi va in cerca di tesori nascosti e chi va in pellegrinaggio in ossequio a fantasiose religioni. E c’è anche chi va a caccia di necrospiranti per trasformarli in una merce da rivendere, interi o a pezzi. In questo panorama terrestre, che il passare dei secoli ha reso così straordinariamente alieno, può capitare di tutto. Anche di conversare con una testa mozzata, comodamente allogata in un cestino. Una delle presenze più sapide, a dire il vero, in cui la frizzante ironia che permea tutto il racconto raggiunge il suo apice. Queste le carte vincenti del romanzo: ironia, emozione, e perfino un brivido di vampiresco erotismo.
di Giovanna Repetto
È anche una sorta di romanzo picaresco, costellato di incontri e avventure. Una storia on the road, in cui tutti si muovono continuamente alla ricerca di qualcosa, incontrandosi e separandosi, e a volte tornando al punto di partenza.
La trovata centrale è l’esistenza dei Necrospiranti, creature misteriose e temibili di origine incerta. Una sorta di morti viventi, via di mezzo fra zombi e vampiri, ma di fatto diversi dagli uni e dagli altri. Si nutrono di sangue vivo ma amano la luce del sole, non respirano ma possono parlare. Il lettore esigente qui avrebbe diverse cose da obiettare, perché non tutto viene chiarito in modo soddisfacente. Per esempio proprio la loro capacità di parlare non ha spiegazioni, perché, possedendo organi di fonazione identici a quelli dei comuni mortali, dovrebbero esprimersi emettendo il fiato come tutti noi che respiriamo. Anche la loro genesi, che si scopre con il procedere della storia, non convince del tutto. Ma questo non toglie niente alle emozioni che il romanzo regala.
Il racconto inizia nel vivo dell’azione, cogliendo il protagonista in una situazione drammatica volgente al tragico. C’è qualcosa di peggio che essere gettato in mezzo a un deserto insieme a una necrospirante affamata di sangue? Sì, c’è di peggio: essere legato a quella creatura da una corda indistruttibile.
Sbatté ancora le palpebre e mise a fuoco una mano. Sbucava dal groviglio e gli stringeva la caviglia destra. Una fitta di dolore lo costrinse a inarcare la schiena: sembrava che un ago caldo gli stesse penetrando nel collo del piede. Cercò di ritrarlo e calciò il cespuglio con l’altro piede. Quello che aveva creduto essere un aggrovigliato intrico di rami spinosi sollevò la testa, emettendo uno stridulo verso di disappunto.
Contro ogni previsione, ma in ottemperanza a elementari principi della logica, i due nemici incatenati si accorgono subito che dovranno trovare un modus vivendi, per quanto improbabile. Il deserto in cui si trovano (lui per punizione, lei perché fra parte di una razza destinata comunque allo sterminio) è talmente vasto e inospitale che la necrospirante è costretta a tenere in vita l’uomo per razionare la sua riserva di sangue. Lui, impossibilitato a contrastarla a causa della disparità di forze, non può fare altro che seguirla nella faticosa peregrinazione sperando di trovare lo strumento speciale (unico obiettivo comune) in grado di tagliare la corda che li unisce.
Il loro percorso si interseca con quello di altri viaggiatori. C’è chi va in cerca di tesori nascosti e chi va in pellegrinaggio in ossequio a fantasiose religioni. E c’è anche chi va a caccia di necrospiranti per trasformarli in una merce da rivendere, interi o a pezzi. In questo panorama terrestre, che il passare dei secoli ha reso così straordinariamente alieno, può capitare di tutto. Anche di conversare con una testa mozzata, comodamente allogata in un cestino. Una delle presenze più sapide, a dire il vero, in cui la frizzante ironia che permea tutto il racconto raggiunge il suo apice. Queste le carte vincenti del romanzo: ironia, emozione, e perfino un brivido di vampiresco erotismo.
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