RECENSIONI
Paul Goma
Nel sonno non siamo profughi
Keller editore, Pag. 326 Euro 16,00
Un libro bello, corposo. Scritto con le viscere della memoria. Si fatica a orientarsi, all'inizio, dal punto di vista storico e geopolitico, perché in quel lembo di Romania che un tempo si chiamava Bessarabia (oggi parte della Repubblica Moldova) si accavallavano situazioni che rendevano a volte difficile distinguere alleati e nemici, invasori e liberatori, e spesso i pacifici contadini del villaggio di Mana finivano per essere perseguitati e maltrattati dagli uni e dagli altri. Parliamo di un periodo che ruota intorno agli anni quaranta, partendo dall'anno in cui Paul Goma situa i suoi primi veri ricordi infantili, il 1941. Ma continuamente il racconto spazia nel prima e nel dopo, allargandosi e stringendosi in cerchi concentrici, includendo i fatti più antichi riferiti dai genitori e le esperienze più recenti di Paul adulto, e mescolando continuamente il ricordo e il dialogo. Uno straordinario meccanismo narrativo che in parte racconta e in parte fa sbocciare le storie attraverso le scherzose schermaglie con il padre o con la madre, in una sorta di maieutica: affettuose interviste ai genitori venate di umorismo e nostalgia, intessute di ragionamenti politici, ricordi, invettive, filastrocche. Anche quando il tono è leggero vi si trattano esperienze drammatiche di guerra, prigionia, deportazione, fuga.
"Davvero sì. Nel lager, dove diavolo era, sopra il circolo polare, faccio conversazione con un professore – non un contadino, non un militare, non un diplomatico, non un attivista di partito – un professore: e per di più ucraino. D'accordo, insegnava solo al liceo, ma insegnava storia! Chiacchierando, arriviamo agli stati baltici. Dico,:'Perché li avete occupati, nel '40?' Risposta: 'Non li abbiamo occupati, li abbiamo liberati'. Dico: 'Da chi li avete liberati, visto che non erano occupati?' Stai attento a quel che mi risponde:'Ancora non lo erano. Se non ci fossimo affrettati noi a liberarli, li avrebbe annessi Hitler!' – che ne dici di questa logica?"
I genitori di Paul erano maestri elementari, inviati a fare i pionieri dell'istruzione là dove non esisteva nemmeno ancora la scuola: il padre l'aveva costruita con le sue mani, mattone su mattone, insieme agli altri membri della comunità. Questo non era valso a proteggerli dalle persecuzioni politiche durante l'occupazione sovietica.
Quando i rumeni scatenano l'offensiva per riappropriarsi del territorio, Mana diventa teatro di battaglia, e il piccolo Paul è costretto a fuggire nei boschi con la madre, insieme alle altre donne del villaggio con i loro bambini. Il padre è ormai stato deportato in Siberia, e se ne ignora la sorte. Tutte le certezze sono naufragate, eppure per il bambino è un magico momento di scoperte e di iniziazione, anche sessuale, assaporata con quella che si potrebbe definire, con un ossimoro, la malizia dell'innocenza.
Si accovaccia accanto a me, ma non smette di dire che le zanzare entrano dai lati e da sotto, dice che siamo troppi per una coperta, dice che dobbiamo fare uno – a causa delle zanzare. Così, per prima cosa dice di sedermi sul suo grembiale, quindi di alzarmi un po' ché le si rovina il vestito. Mi alzo, lei ritira il grembiale, perché non si rovini. Adesso si sta bene: mi pare di essere sulla poltrona di casa, ma molto meglio, fatta solo per me e calda, mi stringe da tutte le parti, la poltrona. Duda dice che ancora meglio sarebbe se mi togliessi i pantaloni...
Poi il ritorno a casa, fra i guasti dei bombardamenti e i soldati da rifocillare e da curare, e i corpi dei morti da seppellire. E ancora esperienze straordinarie quando su Mana liberata piovono i paracadutisti sovietici.
... ho visto molte volte scendere sulla ruggine del bosco i paracadute, corolle nella luce arrossata del crepuscolo, sulle cime rossicce del bosco, con la lentezza dei semi di soffione quando non c'è vento.
I paracadute! Andiamo dai paracadute, forza! Gli abitanti di Mana vanno dai paracadute come in chiesa, o dai pesci quando si rompono le dighe. Appena li vedono, gli uomini più in forma, i ragazzi, le ragazze più intraprendenti, si passano la voce e corrono subito in quella direzione – i più a piedi, ma alcuni anche a cavallo, sui carretti, altri armati con stanghe, uncini, e perfino con falci e le graffe di ferro con le quali i telefonisti salgono sui pali. I bambini non hanno il permesso. I bambini restano a casa.
E aspettano. A volte si addormentano chiedendosi cosa porteranno i genitori andati dai paracadute: le corde di sospensione con le quali giocheranno sul cavalluccio?Insegne? Qualche portacarte? Oppure, chissà, stoffa del paracadute, dal quale la mamma confezionerà belle camicie...
Ma l'odissea non finisce qui, e ci saranno ancora altre battagli e altre fughe...
L'Autore raccoglie in questo romanzo una grande quantità di materiale autobiografico e storico, in altri termini mette tanta carne al fuoco, eppure affronta tutta questa dovizie con atteggiamento rilassato, straordinariamente libero da qualsivoglia canone o cliché. Sembra che non si preoccupi affatto di che cosa (o di come) il lettore voglia ricevere in pasto. Sembra preso solo dal suo interiore lavoro di ricerca, di scavo nel mondo dei ricordi e degli affetti. Si prende i suoi tempi, si dilunga quanto vuole su un dettaglio o sul suono di una parola, a volte corre in avanti nel tempo e a volte torna indietro, e ritorna quante volte vuole sul punto che gli interessa, guidato da una logica sua. In un panorama pieno di corsi di scrittura, di manuali di scrittura, di consolidate tecniche di scrittura, davanti a un libro così piangerei di commozione: che bellezza, che gioia, che libertà! Non solo per chi scrive, ma anche per noi che leggiamo.
di Giovanna Repetto
"Davvero sì. Nel lager, dove diavolo era, sopra il circolo polare, faccio conversazione con un professore – non un contadino, non un militare, non un diplomatico, non un attivista di partito – un professore: e per di più ucraino. D'accordo, insegnava solo al liceo, ma insegnava storia! Chiacchierando, arriviamo agli stati baltici. Dico,:'Perché li avete occupati, nel '40?' Risposta: 'Non li abbiamo occupati, li abbiamo liberati'. Dico: 'Da chi li avete liberati, visto che non erano occupati?' Stai attento a quel che mi risponde:'Ancora non lo erano. Se non ci fossimo affrettati noi a liberarli, li avrebbe annessi Hitler!' – che ne dici di questa logica?"
I genitori di Paul erano maestri elementari, inviati a fare i pionieri dell'istruzione là dove non esisteva nemmeno ancora la scuola: il padre l'aveva costruita con le sue mani, mattone su mattone, insieme agli altri membri della comunità. Questo non era valso a proteggerli dalle persecuzioni politiche durante l'occupazione sovietica.
Quando i rumeni scatenano l'offensiva per riappropriarsi del territorio, Mana diventa teatro di battaglia, e il piccolo Paul è costretto a fuggire nei boschi con la madre, insieme alle altre donne del villaggio con i loro bambini. Il padre è ormai stato deportato in Siberia, e se ne ignora la sorte. Tutte le certezze sono naufragate, eppure per il bambino è un magico momento di scoperte e di iniziazione, anche sessuale, assaporata con quella che si potrebbe definire, con un ossimoro, la malizia dell'innocenza.
Si accovaccia accanto a me, ma non smette di dire che le zanzare entrano dai lati e da sotto, dice che siamo troppi per una coperta, dice che dobbiamo fare uno – a causa delle zanzare. Così, per prima cosa dice di sedermi sul suo grembiale, quindi di alzarmi un po' ché le si rovina il vestito. Mi alzo, lei ritira il grembiale, perché non si rovini. Adesso si sta bene: mi pare di essere sulla poltrona di casa, ma molto meglio, fatta solo per me e calda, mi stringe da tutte le parti, la poltrona. Duda dice che ancora meglio sarebbe se mi togliessi i pantaloni...
Poi il ritorno a casa, fra i guasti dei bombardamenti e i soldati da rifocillare e da curare, e i corpi dei morti da seppellire. E ancora esperienze straordinarie quando su Mana liberata piovono i paracadutisti sovietici.
... ho visto molte volte scendere sulla ruggine del bosco i paracadute, corolle nella luce arrossata del crepuscolo, sulle cime rossicce del bosco, con la lentezza dei semi di soffione quando non c'è vento.
I paracadute! Andiamo dai paracadute, forza! Gli abitanti di Mana vanno dai paracadute come in chiesa, o dai pesci quando si rompono le dighe. Appena li vedono, gli uomini più in forma, i ragazzi, le ragazze più intraprendenti, si passano la voce e corrono subito in quella direzione – i più a piedi, ma alcuni anche a cavallo, sui carretti, altri armati con stanghe, uncini, e perfino con falci e le graffe di ferro con le quali i telefonisti salgono sui pali. I bambini non hanno il permesso. I bambini restano a casa.
E aspettano. A volte si addormentano chiedendosi cosa porteranno i genitori andati dai paracadute: le corde di sospensione con le quali giocheranno sul cavalluccio?Insegne? Qualche portacarte? Oppure, chissà, stoffa del paracadute, dal quale la mamma confezionerà belle camicie...
Ma l'odissea non finisce qui, e ci saranno ancora altre battagli e altre fughe...
L'Autore raccoglie in questo romanzo una grande quantità di materiale autobiografico e storico, in altri termini mette tanta carne al fuoco, eppure affronta tutta questa dovizie con atteggiamento rilassato, straordinariamente libero da qualsivoglia canone o cliché. Sembra che non si preoccupi affatto di che cosa (o di come) il lettore voglia ricevere in pasto. Sembra preso solo dal suo interiore lavoro di ricerca, di scavo nel mondo dei ricordi e degli affetti. Si prende i suoi tempi, si dilunga quanto vuole su un dettaglio o sul suono di una parola, a volte corre in avanti nel tempo e a volte torna indietro, e ritorna quante volte vuole sul punto che gli interessa, guidato da una logica sua. In un panorama pieno di corsi di scrittura, di manuali di scrittura, di consolidate tecniche di scrittura, davanti a un libro così piangerei di commozione: che bellezza, che gioia, che libertà! Non solo per chi scrive, ma anche per noi che leggiamo.
di Giovanna Repetto
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