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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Domenico Di Tullio

Nessun dolore

Rizzoli, Pag. 238 Euro 16,50
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Nessun dolore è un romanzo muscolare, veloce, futurista quasi. Un romanzo che si porta addosso la sfrontatezza dell'uomo che si arma dei ricordi passati e li rende giovane sorriso sfacciato.

Una storia virile, a volte piena di livore, di quel livore verso l'essenza stessa della vita, una rabbia pura che rasenta la bellezza e rende il respiro affannato, il battito forte a spingere sulla cassa della gabbia toracica, come un enorme taiko che risuona di tradizioni.

Nessun dolore è un romanzo futurista, che incita alla velocità, all'azione, alla giovinezza, al rombo dei motori delle moto, dei piedi, del sudore che "è il sale della nostra fatica silenziosa" che "è l'acqua della nostra sorgente di carne" che si versa durante gli incontri di Muay Thai , alle corse sui marciapiedi. Un continuo inno al presente gridato al cielo, alla sua irremovibile stabilità sulle teste che ogni tanto si ricordano di parlargli. Un libro che ricorda valori guerrieri, pirateschi, che parla di Santa Teppa e notte, concerti e falangi inamovibili, amicizie e iperboli sentimentali.

E in tutto questo emerge il lato hard boiled, il legal thriller, il noir scuro composto da fatti compiuti alla luce del sole, dalla trappola da cui scappare, dal caso da risolvere con il colpevole da smascherare.

Potrebbe essere un romanzo americano, uno di quei mix perfetti tra il migliore Chuck Palahniuk, Dashiell Hammett e Don Winslow per certi versi. Ma non è americano, non è così spudoratamente tirato, di genere, così ammiccante. È innanzitutto ambientato a Roma, tra le sue strade i suoi quartieri, i suoi punti di riferimento più canonici, che a ben guardarli però nascondono accampamenti, avamposti, luoghi inaccessibili. È ambientato tra le linee di confine invisibili che strattonano da una parte chi sta bene e dall'altra chi sta male, da un lato chi è pariolino e dall'altra il borgataro. Vive in ogni sanpietrino, in ogni vicolo e sotto l'ombra del Colosseo, tra le palme di Piazza Vittorio (Emanuele per chi non è capitolino) e Trastevere, nella calata romanaccia, nelle battute che ingrassano le voci nelle risate. Nessun dolore è romano de Roma.

Ha uno stile narrativo svelto come i piedi di Alì, fulminante come un gancio perfido che entra nella guardia delle proprie convinzioni, dei propri pregiudizi e che se non atterra, comunque fiacca. Spezza il fiato e quando ci si ferma, si respira con i polmoni più aperti, più ossigenati, chinando la testa di lato mentre i colori diventano più vivi, tutto si fa paurosamente più nitido. È a quel punto, quando ci si è dentro e ci si trova in una condizione di pace difesa con ogni goccia di energia, quando si è convinti della propria stazza strategica e delle gambe che hanno retto, che Nessun dolore smette di mostrarsi per quello che è: un romanzo che parla di nuova destra radicale, che racconta una storia legata a Casa Pound, al mondo fatto di magliette nere, teste rasate (ma poi neanche più tanto, ché oramai non serve più), di zone "Nere da sempre", di gergo, di gruppi come gli Zetazeroalfa, di motti che echeggiano "Parte uno, partono tutti", di disinformazione sui "fasci" sui "compagni", di cinghia mattanza e Cutty Sark. Perché prendendolo in mano e vedendo la copertina, che sembra uscita da un film giapponese dove Gamera si appresta a distruggere Tokyo e i suoi palazzi, a freddo, quando si legge "Una storia di Casa Pound" e si mette a fuoco la tartaruga, capendo in un lampo di lucidità cosa si sta tenendo tra le proprie dita, il primo istinto è gettarlo nella pila, come se fosse incandescente e tirare giù la pila di libri, strattonarla fuori come si fa con chi non è invitato alla festa cui ci si appresta a partecipare. È svelare l'infiltrato mostrando appunto quello che è. A freddo, senza aver sudato.

Invece la prima cosa che si deve fare con Nessun Dolore è combattere, Domenico Di Tullio è questo che vuole, ci mette di fronte un nemico, un oscuro presagio di malaugurio che conosciamo per fama da troppo tempo, ma con cui forse non ci siamo mai davvero scontrati. Di Tullio mette a disposizone il ring e l'incontro e sta al lettore accettare di salire per un incontro assolutamente pulito oppure rifiutarsi e restare bordo ring a sputare veleno e sentenze mentre qualcun altro decide di incrociare i guanti.

La storia parla di un avvocato che ha deciso di difendere gli uomini e le donne di Casa Pound, uno che conosce bene l'ambiente, che si lascia logorare dall'odio per le cose che gli servono ma che per fortuna non lo possiedono, che resta in bilico sul filo dell'amore perbenista e borghese e il ferino istinto che gli tira fuori un corpo selvaggio, tatuato, concretamente fatto di strada e sigarette. Un difensore di quarant'anni che non dimentica le battaglie legali, lo schifo del mondo della Legge, i consigli del vecchio Dominus e che si trova ad essere buttato giù dal letto (un'altra volta ancora) da una telefonata che gli comunica che uno dei giovani è stato fermato. Arrestato. Perché aveva una lama e l'ha usata contro chi voleva vendergli per forza droga, anche se lui aveva rifiutato.

Prima storia, l'avvocato.

Seconda storia, l'assistito. Giorgio un ragazzo tutto d'un pezzo, gran cuore, grande fede in quello che fa, con il fratello Massimo che tempo addietro ha fatto parte della Santa Teppa, di quel gruppo di uomini da cui tutto è partito, da cui tutto è cominciato. Un predestinato forse, come poteva esserlo Edward Furlong in American History X. Giorgio si racconta con la sua vicenda, con quello che sta passando, con la sua entrata in carcere, con l'incontro del Legionario, uno che gli spiega cos'è la guerra, cosa vuol dire uscire dalla Legione e andare a combattere per un popolo che nessuno conosce, per difendere strenuamente la sopravvivenza. Giorgio che intreccia la sua vita tra le dita dell'amico, compagno, mimesi ideale Flavio.

La terza storia, quella del giovane pariolino, ben vestito, biondo, emaciato, pacato e silenzioso che al liceo si "scontra" verbalmente con la prorompente gioventù di Giorgio. Lui che molla i sogni proiettati dalla sua famiglia e fa militanza e diventa la seconda lampada del faro che forma con l'amico popolare. Quel faro che con la sua luce riesce a illuminare giovani e sentimenti.

La vicenda si sbroglia lentamente, perché quando si raggiunge una certa velocità tutto rallenta, svela particolari dei tre protagonisti, particolari autobiografici nel caso dell'avvocato, altri biografici quando si leggono i volti e le voci che fanno da coro ai due giovani. La storia si sbroglia lentamente a causa dei tempi legali italiani, per colpa dell'estate che lambisce le forze e a causa di un dubbio che si insinua nella mente del quarantenne. "Ma davvero è stato Giorgio a menare la coltellata?"

Queste le tre storie. Questo il romanzo, dove dentro potrete trovare, seduti dalla prima fila del Garden, soltanto l'apologia della Destra, l'esaltazione del branco, i belli come il sole e neri come la morte.

Questo il romanzo, dove dentro potrete trovare, con il paradenti a rinsaldarvi la mascella, un ottimo libro, scritto bene da un bravo scrittore, un modo per conoscere pur non condividendo.

Combattete. Fatelo per voi. Alla fine non ci saranno perdenti, ma solo un buon incontro.





di Alex Pietrogiacomi


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