RECENSIONI
Tim Krohn
Notti a Vals
Casagrande, Traduzione di Daniela Idra, Pag. 115 Euro 14,50
C’è ancora qualcuno che crede che sia necessario raccontare della solitudine del mondo? Cioè di dire ciò che è e ciò che invece non potrebbe mai essere?
Non è uno scherzo questo, perché l’esperienza di confrontarsi con nuovi autori (o comunque con autori che non abbiamo mai letto) ci porta ad essere intelligenti e nello stesso tempo cinici.
Sì, ho detto bene, cinici.
Innanzi tutto chi è Tim Krohn?
Nato in Germania, è cresciuto in Svizzera ed è vissuto anche in Italia (ecco perché ce lo presenta la Casagrande, editoria di classe della Svizzera e attenta anche alle disperazioni di certa letteratura nostrana). E’ autore di romanzi e racconti ed è conosciuto per Vita di un materasso di ottima fattura, che gli ha creato una sorta di distinguo fra i lettori più emancipati.
Cosa ha dunque fatto Tim Krohn? Ha costruito una storia ambientata tutta, ma proprio tutta, a Vals, una sorta di epifania turistica, dove le persone più disparate e disperate, fanno le loro esperienze ma, ciascuno di loro (ecco il punto) fa i conti con la solitudine del mondo anche se, apparentemente, in alcune vicende, la solitudine sembra solo un appiglio in più (penso alla protagonista della prima storia, dove il contatto con le stelle e con il creato convince la stessa a tenere il bambino che attende ormai da mesi).
Dove Krohn fallisce (è un fallimento in parte, perché poi il linguaggio piatto ma efficace ce lo restituisce significativo)? Fallisce nel lasciare i personaggi tutti in una sorta di attesa perenne, che sembra risolvere la questione, ma in realtà la rimanda soltanto.
Dice l’autore: “ho anche caldo”, disse Jlien, “e ho fame”. Liberò le mani, si alzò e andò al buffet. “Quando sarà”, disse tornata al tavolo, “pensi che papà passerà una volta?”.
“Non lo so” disse soltanto Doris, davvero non lo so”.
Poi tacquero di nuovo, e ognuna seguì il corso dei suoi pensieri.
E’ vero, anche se in coppia o con qualcuno, ognuno dei vari personaggi di questa serie di racconti preferisce seguire il corso dei propri pensieri. Ed è l’unica cosa che può, che ci può, raccordare col senso infinito della solitudine. E del distacco.
di Alfredo Ronci
Non è uno scherzo questo, perché l’esperienza di confrontarsi con nuovi autori (o comunque con autori che non abbiamo mai letto) ci porta ad essere intelligenti e nello stesso tempo cinici.
Sì, ho detto bene, cinici.
Innanzi tutto chi è Tim Krohn?
Nato in Germania, è cresciuto in Svizzera ed è vissuto anche in Italia (ecco perché ce lo presenta la Casagrande, editoria di classe della Svizzera e attenta anche alle disperazioni di certa letteratura nostrana). E’ autore di romanzi e racconti ed è conosciuto per Vita di un materasso di ottima fattura, che gli ha creato una sorta di distinguo fra i lettori più emancipati.
Cosa ha dunque fatto Tim Krohn? Ha costruito una storia ambientata tutta, ma proprio tutta, a Vals, una sorta di epifania turistica, dove le persone più disparate e disperate, fanno le loro esperienze ma, ciascuno di loro (ecco il punto) fa i conti con la solitudine del mondo anche se, apparentemente, in alcune vicende, la solitudine sembra solo un appiglio in più (penso alla protagonista della prima storia, dove il contatto con le stelle e con il creato convince la stessa a tenere il bambino che attende ormai da mesi).
Dove Krohn fallisce (è un fallimento in parte, perché poi il linguaggio piatto ma efficace ce lo restituisce significativo)? Fallisce nel lasciare i personaggi tutti in una sorta di attesa perenne, che sembra risolvere la questione, ma in realtà la rimanda soltanto.
Dice l’autore: “ho anche caldo”, disse Jlien, “e ho fame”. Liberò le mani, si alzò e andò al buffet. “Quando sarà”, disse tornata al tavolo, “pensi che papà passerà una volta?”.
“Non lo so” disse soltanto Doris, davvero non lo so”.
Poi tacquero di nuovo, e ognuna seguì il corso dei suoi pensieri.
E’ vero, anche se in coppia o con qualcuno, ognuno dei vari personaggi di questa serie di racconti preferisce seguire il corso dei propri pensieri. Ed è l’unica cosa che può, che ci può, raccordare col senso infinito della solitudine. E del distacco.
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