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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Angelo Fortunato Formiggini

Parole in libertà

Edizioni Artestampa, Pag. 186 Euro 15,00
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C'era una volta un editore modenese di sette cotte, e perciò italiano sette volte, che risiedeva a Roma. Quando gli dissero: tu non sei italiano egli volle dimostrare di essere modenese di sette cotte e perciò sette volte italiano buttandosi dall'alto della sua Ghirlandina

Nel capitolo 'Imitazione del Cristo' Angelo Fortunato Formiggini anticipa, con elegante sintesi, la sua fine. Editore apprezzatissimo durante il 'suo' quindicennio fascista (morì il 29 novembre del 1938 lanciandosi dalla torre civica modenese della Ghirlandina), dopo le odiose leggi razziali, e dopo alcuni rovesci finanziari dovuti anche alle pressioni e agli interventi di alcuni 'potenti' di allora (si vociferava che a mettergli il bastone tra le ruote dell'attività editoriale del Formiggini ci fosse addirittura il filosofo e ministro Giovanni Gentile), decise di scrivere Parole in libertà, quando già la decisione di porre fine alla propria esistenza era un fatto 'indiscutibile', per scuotere le coscienze e 'allertare' la società sui pericolo della deriva fascista sempre più filo-nazista e sempre più razzista.

Perché Formiggini era di fede fascista, convinto da subito della bontà del movimento (Sta il fatto che il fascismo, nelle sue prime manifestazioni, non negò affatto i diritti dell'uomo. Si annunciò come un ristabilimento energico dell'ordine sociale che era stato scosso. (...) il fascismo mi è piaciuto quando mi parve un elemento di forza al servizio del diritto.) e della concretezza del suo leader. Ma proprio a quest'ultimo l'editore, dopo la vergognosa campagna antisemita, dedica le parole più sferzanti del suo biglietto d'addio.

Parole in libertà, così come si presenta in questa nuova edizione, mostra leggere differenze rispetto alla versione del 1945 curata dalla moglie del Formiggini. Quest'ultima, vuoi per la vicinanza al nefasto epilogo, vuoi per una ancor viva emozione per la guerra appena finita, era assemblata secondo un ordine stabilito dalla consorte. La presente invece riordina l'effettiva centralità voluta dall'autore anche se i capitoli dell'opera rimangono gli stessi. Capitoli che nella loro successione naturale mostrano un uomo deciso e lucidissimo nella sua determinatezza autodistruttiva.

Ecco dunque in ordine le lettere alla moglie (la prima), ai modenesi, agli italiani, al papa e al re, alle sue creature letterarie (Italia che scrive e Chi è, riviste che portò avanti tra mille difficoltà fino alla sua morte) e l'epistola agli ebrei italiani.

Nella lettera al papa (l'allora Pio XI per il quale Formiggini nutriva una stima illimitata, e ci viene da pensare cosa mai avrebbe potuto pensare del successore) e al re, l'ultima parte è dedicata a 'lui' (minuscolo), cioè al duce. In poche ed illuminanti parole ripercorre l'excursus politico di Mussolini mostrando i voltafaccia più clamorosi: Se tu, che dopo aver imprecato 'contro il sozzo dio dei preti' diventasti paladino di Santa Madre Chiesa, tu che sfoderasti la spada dell'Islam facendoti fotografare nella posa e nel gesto di un Colleoni qualunque, se tu che avevi detto raca dei Savoia 'predoni ed assassini' hai voluto offrir loro un vasto impero, se tu che dopo aver detto che il tricolore meritava di essere 'piantato sul letamaio', ti sei fatto monopolista esclusivo ed assoluto dell'amor patrio, se tu che avevi dichiarato teatralmente che non avresti mai perseguitato gli ebrei perché furono visti piangere su la salma di Cesare, se tu che hai detto chiaro e tondo (con ispirazione veramente profetica sebbene tu non appartenga alla razza dei profeti, almeno fino a prova contraria) che l'antisemitismo è pederastia,avessi, come sembrò, sventolato il vessillo di Davide, forse il tuo nuovo Impero avrebbe avuto enormi risorse ed avresti avuto la gloria invece che la esecrazione più assoluta dei contemporanei e dei posteri di tutto il mondo.

Dunque in questa sorta di 'amichevole' rimbrotto (ma c'è davvero tutta l'essenza del ventennio che Formiggini non ebbe a vedere nel suo tragico epilogo) vi è il cuore dell'editore, che più volte tentennò in una direzione piuttosto che in un'altra (tristemente squallida, anche se permeata di una sottile ironia e nello stesso tempo commovente, la lettera al Ministero dell'Interno quando parlando di sé in terza persona dice: E' sempre stato estraneo al culto e si è costituita una famiglia ariana), ma che mai per un secondo abbandonò l'idea di togliersi la vita. Quella vita a cui dedicò delle sentite 'parole in libertà' e che rappresentano perfettamente l'epilogo di questa tristissima esperienza: La vita non vale più nulla se non si può lavorare, se non si può più amare ed essere amati e se, a tradimento, con una pugnalata alla schiena, ti hanno agghiacciata nel cuore la polla viva della serena allegrezza.



di Alfredo Ronci


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