RECENSIONI
Moustapha Safouan
Perché il mondo arabo non è libero
Spirali, Pag. 196 Euro 30,00
Ci sono quei libri che per il loro contenuto e per il messaggio che trasmettono non hanno bisogno di commenti e di studio, tanta è evidente la sostanza interna di cui si compongono. Mi ricordo di aver avuto difficoltà a recensire il libro di Lingiardi Citizen gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale non perché contenesse in sé considerazioni indigeste o contrarie al mio sentire, piuttosto per il suo opposto: diceva cose talmente evidenti e corrette che era superfluo aggiungere alcunché.
Credo d'aver pensato la stessa cosa nei confronti del saggio in questione: è interessante per come affronta la 'problematica' araba, ma le conclusioni ci sembrano talmente evidenti e lapalissiane che non ci sentiremmo di contestare nulla.
Il sottotitolo dà esattamente la dimensione del 'quid': "Politica della scrittura e terrorismo religioso". Meglio ancora: Safouan ritiene che sia proprio la questione linguistica alla base dell'arretramento culturale e politico dei paesi arabi.
Partendo dall'esempio dell'Egitto: Questa regressione ha due cause. La prima è la funesta degradazione dell'insegnamento a tutti i livelli all'epoca di Nasser, in particolare nelle università, conseguenza del processo con cui lo stato monopolizzò la vita culturale e stabilì un'implacabile egemonia nazionalizzando sia la stampa che l'editoria. (...) La seconda ragione altrettanto importante fu che al-Sadat, che temeva l'opposizione della sinistra, in particolare dei comunisti (...) riattivò i movimenti islamismi che erano stati repressi sotto Nasser.
L'evidenza del discorso di Safouan non sta tanto nella disamina della situazione politica degli anni sessanta-settanta, quanto nelle conclusioni che rappresentano anche un valido contributo 'contemporaneo' all'annosa questione della lingua.
In pratica cosa dice lo psicanalista di formazione lacaniana: rispolverando Lutero secondo cui i migliori dizionari sono le madri nella casa, i bambini nella strada e gli uomini ordinari nei mercati, afferma che è proprio il linguaggio 'classico' della maggioranza degli intellettuali a far sì che quel che poi esce fuori rimanga lettera morta a causa della barriera tra la lingua scritta e il vernacolo. E non è un caso che la percentuale dei contadini egiziani in grado di leggere e di scrivere non supera quella dei contadini ateniesi del V secolo a.C.
Si aggiunga a questo il fatto che tale differenza, anzi, questa autosoddisfatta ironia articolata in linguaggio classico, li fa complici del despota. O dei vari despoti, aggiungeremmo noi.
Non esente da peccato (e ci mancherebbe altro) nemmeno l'Occidente che commette il più grande sbaglio nel pensare che la protezione da un terrorismo sempre più orribile e crudele possa venire da quei paesi che solo a parole, o per complessi sotterfugi utilitaristici, si proclamano amici.
Il peccato più grosso secondo Safouan ci pare però la sostituzione sempre più evidente degli insegnamenti del Corano con un oligarchia terroristica: lo slogan 'L'islam è la soluzione' può essere valido solo se venga meno l'assurdo dettato di alcuni che hanno la pretesa di identificarsi col potere 'reale' riservato a Dio, decidendo della sorte non solo di singoli, ma di interi stati.
Riprendendo l'assunto iniziale: lapalisse no?
di Alfredo Ronci
Credo d'aver pensato la stessa cosa nei confronti del saggio in questione: è interessante per come affronta la 'problematica' araba, ma le conclusioni ci sembrano talmente evidenti e lapalissiane che non ci sentiremmo di contestare nulla.
Il sottotitolo dà esattamente la dimensione del 'quid': "Politica della scrittura e terrorismo religioso". Meglio ancora: Safouan ritiene che sia proprio la questione linguistica alla base dell'arretramento culturale e politico dei paesi arabi.
Partendo dall'esempio dell'Egitto: Questa regressione ha due cause. La prima è la funesta degradazione dell'insegnamento a tutti i livelli all'epoca di Nasser, in particolare nelle università, conseguenza del processo con cui lo stato monopolizzò la vita culturale e stabilì un'implacabile egemonia nazionalizzando sia la stampa che l'editoria. (...) La seconda ragione altrettanto importante fu che al-Sadat, che temeva l'opposizione della sinistra, in particolare dei comunisti (...) riattivò i movimenti islamismi che erano stati repressi sotto Nasser.
L'evidenza del discorso di Safouan non sta tanto nella disamina della situazione politica degli anni sessanta-settanta, quanto nelle conclusioni che rappresentano anche un valido contributo 'contemporaneo' all'annosa questione della lingua.
In pratica cosa dice lo psicanalista di formazione lacaniana: rispolverando Lutero secondo cui i migliori dizionari sono le madri nella casa, i bambini nella strada e gli uomini ordinari nei mercati, afferma che è proprio il linguaggio 'classico' della maggioranza degli intellettuali a far sì che quel che poi esce fuori rimanga lettera morta a causa della barriera tra la lingua scritta e il vernacolo. E non è un caso che la percentuale dei contadini egiziani in grado di leggere e di scrivere non supera quella dei contadini ateniesi del V secolo a.C.
Si aggiunga a questo il fatto che tale differenza, anzi, questa autosoddisfatta ironia articolata in linguaggio classico, li fa complici del despota. O dei vari despoti, aggiungeremmo noi.
Non esente da peccato (e ci mancherebbe altro) nemmeno l'Occidente che commette il più grande sbaglio nel pensare che la protezione da un terrorismo sempre più orribile e crudele possa venire da quei paesi che solo a parole, o per complessi sotterfugi utilitaristici, si proclamano amici.
Il peccato più grosso secondo Safouan ci pare però la sostituzione sempre più evidente degli insegnamenti del Corano con un oligarchia terroristica: lo slogan 'L'islam è la soluzione' può essere valido solo se venga meno l'assurdo dettato di alcuni che hanno la pretesa di identificarsi col potere 'reale' riservato a Dio, decidendo della sorte non solo di singoli, ma di interi stati.
Riprendendo l'assunto iniziale: lapalisse no?
di Alfredo Ronci
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