RECENSIONI
Linda Nochlin
Perché non ci sono state grandi artiste?
Castelvecchi, Traduzione e cura di Jessica Perna, Pag. 96 Euro 12,00
Uscito nel 1971 e poi tradotto parzialmente in Italia in una raccolta antologica, è stato riproposto in forma integrale precedendo di poco, per pura combinazione, l’uscita del film “Big Eyes” di Tim Burton, che drammaticamente tocca le stesse corde. Il fatto che sia stato scritto nel momento di piena fioritura del movimento femminista non deve trarre nell’errore di una contestualizzazione riduttiva. All’epoca infatti ne venne perfino modificato il titolo (forzando il verbo dal tempo passato al presente) per meglio incanalarlo nello spirito della lotta. Riletto ora, e con il suo titolo originale, rivela la sua natura di analisi storica, scevra da strumentalizzazioni. Con ottica decostruzionista l’Autrice parte dalla formulazione della domanda stessa, smascherandone la mistificazione. Si tratta infatti di una domanda sottilmente tendenziosa, che suggerisce l’assenza del genio nel genere femminile. La Nochlin mette in guardia da facili polemiche.
La prima reazione delle femministe è quella di ingoiare l’esca con tutto l’amo, e cercare di rispondere alla domanda così come è formulata.
Inutile sarebbe reagire elencando un numero, comunque esiguo, di donne che si sono distinte nelle arti figurative. E sarebbe fuorviante voler individuare le caratteristiche di una presunta arte “femminile” con un suo stile peculiare. No, il vero problema è storico e sociale, e va ricercato nel sistema di regole e condizionamenti a cui le donne sono sempre state soggette. Tant’è vero che, come nota l’Autrice, è stato più facile manifestare le proprie capacità per le donne scrittrici, che hanno potuto esercitarsi anche in ambiente domestico, senza dipendere da accademie e atelier. L’arte infatti non è espressione spontanea di un’emozione, ma richiede formazione qualificata e un lungo apprendistato per padroneggiare strumenti idonei. I pregiudizi si fondano su un sistema di miti e di false credenze riguardo al “genio” inteso come qualcosa di innato e autosufficiente.
Dietro al problema della donna artista, infatti, si cela il mito del grande artista: protagonista, eccezionale e divino, di centinaia di monografie, depositario di un’innata essenza misteriosa…
Più realisticamente, si deve considerare l’iter formativo di ogni artista, che necessariamente comprende la frequentazione di scuole e accademie in cui affinare le tecniche di base. Fra queste le scuole di nudo, con la presenza di modelli che vengono ritratti dal vero. Fino a tempi relativamente recenti queste lezioni erano precluse alle donne. A meno che non vi partecipassero come modelle! Questo dà all’Autrice lo spunto per una considerazione amara.
Ciò è una testimonianza interessante dei canoni di decenza: alla donna (naturalmente di “bassa” estrazione sociale) è consentito esporsi nuda a un gruppo di uomini come oggetto, ma le è vietato partecipare allo studio e alla ripresa diretta del corpo-oggetto di un uomo nudo o di un’altra donna!
Nel XVIII secolo la stessa Angelika Kauffmann, unica donna alla Royal Accademy, durante le lezioni di nudo veniva sostituita da un suo ritratto appeso alla parete.
Non a caso dalla storia emerge che molte pittrici erano a loro volta figlie di artisti, quindi già agevolate nell’ambiente domestico ad apprendere quei rudimenti che al di fuori erano così poco accessibili.
Insomma, anche in campo artistico l’aspetto sociale e istituzionale è sempre stato determinante nel favorire o meno l’affermarsi del talento.
La Nochlin conclude il suo saggio raccontando la carriera di Rosa Bonheur, artista del XIX secolo, e illustrando le condizioni particolarmente favorevoli che le avevano consentito di arrivare al successo, nonostante l’appartenenza al genere femminile. Dunque la domanda del titolo va ribaltata così: perché ci sono state artiste donne (nonostante tutto)?
Cose ormai note, in fondo. Ma secondo me c’è ancora qualcuno che ha bisogno di sentirsele spiegare.
di Giovanna Repetto
La prima reazione delle femministe è quella di ingoiare l’esca con tutto l’amo, e cercare di rispondere alla domanda così come è formulata.
Inutile sarebbe reagire elencando un numero, comunque esiguo, di donne che si sono distinte nelle arti figurative. E sarebbe fuorviante voler individuare le caratteristiche di una presunta arte “femminile” con un suo stile peculiare. No, il vero problema è storico e sociale, e va ricercato nel sistema di regole e condizionamenti a cui le donne sono sempre state soggette. Tant’è vero che, come nota l’Autrice, è stato più facile manifestare le proprie capacità per le donne scrittrici, che hanno potuto esercitarsi anche in ambiente domestico, senza dipendere da accademie e atelier. L’arte infatti non è espressione spontanea di un’emozione, ma richiede formazione qualificata e un lungo apprendistato per padroneggiare strumenti idonei. I pregiudizi si fondano su un sistema di miti e di false credenze riguardo al “genio” inteso come qualcosa di innato e autosufficiente.
Dietro al problema della donna artista, infatti, si cela il mito del grande artista: protagonista, eccezionale e divino, di centinaia di monografie, depositario di un’innata essenza misteriosa…
Più realisticamente, si deve considerare l’iter formativo di ogni artista, che necessariamente comprende la frequentazione di scuole e accademie in cui affinare le tecniche di base. Fra queste le scuole di nudo, con la presenza di modelli che vengono ritratti dal vero. Fino a tempi relativamente recenti queste lezioni erano precluse alle donne. A meno che non vi partecipassero come modelle! Questo dà all’Autrice lo spunto per una considerazione amara.
Ciò è una testimonianza interessante dei canoni di decenza: alla donna (naturalmente di “bassa” estrazione sociale) è consentito esporsi nuda a un gruppo di uomini come oggetto, ma le è vietato partecipare allo studio e alla ripresa diretta del corpo-oggetto di un uomo nudo o di un’altra donna!
Nel XVIII secolo la stessa Angelika Kauffmann, unica donna alla Royal Accademy, durante le lezioni di nudo veniva sostituita da un suo ritratto appeso alla parete.
Non a caso dalla storia emerge che molte pittrici erano a loro volta figlie di artisti, quindi già agevolate nell’ambiente domestico ad apprendere quei rudimenti che al di fuori erano così poco accessibili.
Insomma, anche in campo artistico l’aspetto sociale e istituzionale è sempre stato determinante nel favorire o meno l’affermarsi del talento.
La Nochlin conclude il suo saggio raccontando la carriera di Rosa Bonheur, artista del XIX secolo, e illustrando le condizioni particolarmente favorevoli che le avevano consentito di arrivare al successo, nonostante l’appartenenza al genere femminile. Dunque la domanda del titolo va ribaltata così: perché ci sono state artiste donne (nonostante tutto)?
Cose ormai note, in fondo. Ma secondo me c’è ancora qualcuno che ha bisogno di sentirsele spiegare.
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