RECENSIONI
Gaspare Baglio
Piccole storie crudeli
LAB Perrone editore, Pag. 99 Euro 12,00
Letteratura nel marasma della cronaca: manca il dibattito finale o il cicaleccio di un pubblico pagante o di un parterre du roi pure lui pagante.
E mi chiedo perché. E mi chiedo anche dove inizia: io un nome ce l'avrei, ma non lo faccio perché finirei per inimicarmi quei pochi che ancora mi sopportano e vedono in lui, nonostante si stia smerdando con la poesia e coi riti mariani (son più che dettagli!), un punto di riferimento.
Gaspare Baglio, che conosco, e so persona attenta, cade nel tranello: pensa che la narrativa sia sociologia, che sia al ricasco o quanto meno sorellastra dell'indagine e della notiziola.
No, l'una e l'altra corrono su strade diverse, non sono nemmeno, e prendo a prestito una definizione di un vecchio democristiano come Moro, convergenze parallele.
Il giornalismo, e quindi anche la cronaca nera se vogliamo, è grande se è grande la cifra stilistica dell'autore, non lo spargimento di sangue o l'efferatezza del delitto, quindi ridurre la letteratura ad esplorazione sociologica è reato, perché si rischia di frantumare l'identità di chi la scrive.
Meglio ancora: cosa so del mondo di Gaspare Baglio se mi racconta di una donna che uccide i figli perché ha scoperto che il marito la tradisce? Cosa so se mi racconta di una ragazza che fa di tutto per farsi fotografare col suo idolo nonostante giaccia morto per overdose? Cosa so se mi racconta di un gay represso malato di diabete che cerca disperatamente un'amicizia? Cosa so se mi racconta di una donna che uccide il marito gravemente ammalato? Cosa so se mi racconta della vendetta di un trans che è stato abbandonato dal solito maschio sposato?
Intuisco da tutto ciò che Baglio è informato (ma lo sapevo!), che Baglio segue le notizie dei giornali, che segue la cronaca, che probabilmente ha un'occhio' di riguardo per le problematiche sociali, ma non mi dice nulla di sé e del suo mondo interiore. Perché lo sfido a confessarsi e a dirmi che il sé sia sovrapponibile alla pubblica piazza. Eh no!
Nemmeno, come la chiamavamo prima, la cifra stilistica mi parla dell'autore, anche se vedo in ciò una parvenza di coerenza: nel senso che la 'mano' è assolutamente speculare a quel che vuole raccontare. Ha un taglio giornalistico, perché del giornale si vuol rubare la maestria.
No (ancora!): per questo andrebbero abolite per decreto legge le scuole di scrittura (che spesso servono a squattrinati scrittori a metter su qualche spicciolo), perché insegnano l'arte della simulazione di sé, del nascondersi (poi che il Baglio le abbia frequentate o meno è tutt'altro discorso).
Ma questo non è errore solo dell'autore, ma sembra di un'intera generazione, che pensa di raccontare il mondo dimenticando il proprio, quel non voler sentire il battito degli altri attraverso il pulsare dell'universo 'nostro'.
Baglio andrebbe rieducato all'arte del silenzio, perché intorno c'è troppo rumore. Poi diceva Busi: Se uno scrittore deve mettersi nei panni dell'orizzonte di attesa di un lettore, questo lettore deve essere lui stesso: che scriva dunque come e cosa gli piacerebbe leggere.
Se poi gli piace leggere gli affari degli altri, allora è proprio un impiccione!
di Alfredo Ronci
E mi chiedo perché. E mi chiedo anche dove inizia: io un nome ce l'avrei, ma non lo faccio perché finirei per inimicarmi quei pochi che ancora mi sopportano e vedono in lui, nonostante si stia smerdando con la poesia e coi riti mariani (son più che dettagli!), un punto di riferimento.
Gaspare Baglio, che conosco, e so persona attenta, cade nel tranello: pensa che la narrativa sia sociologia, che sia al ricasco o quanto meno sorellastra dell'indagine e della notiziola.
No, l'una e l'altra corrono su strade diverse, non sono nemmeno, e prendo a prestito una definizione di un vecchio democristiano come Moro, convergenze parallele.
Il giornalismo, e quindi anche la cronaca nera se vogliamo, è grande se è grande la cifra stilistica dell'autore, non lo spargimento di sangue o l'efferatezza del delitto, quindi ridurre la letteratura ad esplorazione sociologica è reato, perché si rischia di frantumare l'identità di chi la scrive.
Meglio ancora: cosa so del mondo di Gaspare Baglio se mi racconta di una donna che uccide i figli perché ha scoperto che il marito la tradisce? Cosa so se mi racconta di una ragazza che fa di tutto per farsi fotografare col suo idolo nonostante giaccia morto per overdose? Cosa so se mi racconta di un gay represso malato di diabete che cerca disperatamente un'amicizia? Cosa so se mi racconta di una donna che uccide il marito gravemente ammalato? Cosa so se mi racconta della vendetta di un trans che è stato abbandonato dal solito maschio sposato?
Intuisco da tutto ciò che Baglio è informato (ma lo sapevo!), che Baglio segue le notizie dei giornali, che segue la cronaca, che probabilmente ha un'occhio' di riguardo per le problematiche sociali, ma non mi dice nulla di sé e del suo mondo interiore. Perché lo sfido a confessarsi e a dirmi che il sé sia sovrapponibile alla pubblica piazza. Eh no!
Nemmeno, come la chiamavamo prima, la cifra stilistica mi parla dell'autore, anche se vedo in ciò una parvenza di coerenza: nel senso che la 'mano' è assolutamente speculare a quel che vuole raccontare. Ha un taglio giornalistico, perché del giornale si vuol rubare la maestria.
No (ancora!): per questo andrebbero abolite per decreto legge le scuole di scrittura (che spesso servono a squattrinati scrittori a metter su qualche spicciolo), perché insegnano l'arte della simulazione di sé, del nascondersi (poi che il Baglio le abbia frequentate o meno è tutt'altro discorso).
Ma questo non è errore solo dell'autore, ma sembra di un'intera generazione, che pensa di raccontare il mondo dimenticando il proprio, quel non voler sentire il battito degli altri attraverso il pulsare dell'universo 'nostro'.
Baglio andrebbe rieducato all'arte del silenzio, perché intorno c'è troppo rumore. Poi diceva Busi: Se uno scrittore deve mettersi nei panni dell'orizzonte di attesa di un lettore, questo lettore deve essere lui stesso: che scriva dunque come e cosa gli piacerebbe leggere.
Se poi gli piace leggere gli affari degli altri, allora è proprio un impiccione!
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